Dallo studio al lavoro | Claudia Armillotta .edu

November 27, 2017 | Author: Anonymous | Category: Documents
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Orientamento alla professione: strumenti “vecchi” e nuovi a supporto degli .... 14 «La scuola media, con i primi fo...

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l Quaderno, a cura di Benedetto Coccia, analizza la transizione studio-lavoro, compresi gli strumenti che favoriscono il passaggio dai libri alla professione, dal punto di vista sia teorico che pratico. Chi insegna a scrivere un curriculum? Chi offre un metodo efficace per cercare un’occupazione? Chi dà indicazioni su come affrontare un colloquio di lavoro? Spesso i giovani si avventurano nella ricerca del lavoro senza un criterio preciso. La formazione universitaria, molto teorica, da sola non basta. Mancano le competenze trasversali; oppure non è stato acquisito un metodo per selezionare le offerte di lavoro corrispondenti al livello di formazione raggiunto. Autori dei contributi sono Maria Cinque, Manuela Costone, Danilo Gentilozzi e Simona Miano, ricercatori della Fondazione Rui.

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Dallo studio al lavoro

Iniziative, strumenti e criticità nel placement dei laureati

UNIVERSITASQUADERNI

Il Quaderno è frutto della collaborazione tra la rivista “Universitas” e l’Istituto di Studi Politici “San Pio V”.

Dallo studio al lavoro

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dallo studio al lavoro Iniziative, strumenti e criticità del placement dei laureati

Roma, 2015

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Quaderno a cura di Benedetto Coccia Editing Isabella Ceccarini Stefano Grossi Gondi Universitas Quaderni 28 Roma, aprile 2015 Editore: AsRui Viale XXI Aprile 36, 00162 Roma Tel. 06-86321281 E-mail: [email protected] www.rivistauniversitas.it Istituto di Studi Politici “S. Pio V” Corso Rinascimento 19 - 00186 Roma Tel. 06 6879580 E-mail: [email protected] www.istitutospiov.it N.B. Gli indirizzi web citati nelle note sono stati controllati il 20 aprile 2015

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Indice

Nota introduttiva, Benedetto Coccia

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La transizione studio-lavoro: panoramica sul job placement in Italia e in Europa, Danilo Gentilozzi

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Le politiche pubbliche e la normativa italiana su orientamento e placement, Manuela Costone

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Soft skills: competenze che rafforzano un titolo di studio o professionale, Maria Cinque

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Job seeking: istruzioni per l’uso, Simona Miano

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Nota introduttiva

L’Istituto di Studi Politici “San Pio V”, fedele ai propri fini istituzionali di promuovere e incoraggiare, in Italia e all’estero, gli studi nelle discipline economiche e umanistiche e di dedicare particolare attenzione ai problemi della società contemporanea, in collaborazione con la rivista “Universitas”, trimestrale di studi e documentazione sul mondo accademico italiano e internazionale, è felice di presentare al pubblico questo Quaderno focalizzato sull’orientamento al lavoro e sul sistema italiano e internazionale di placement per gli studenti universitari. A metà tra ricerca scientifica e manuale di studi, il volume si pone l’obiettivo di analizzare la transizione studio-lavoro, compresi gli strumenti che favoriscono il passaggio dai libri alla professione, da un punto di vista teorico e pratico assieme. Il tema dell’orientamento alla professione, alla scelta dell’occupazione e alla creazione di possibilità concrete di lavoro per i giovani è un obiettivo politico degli ultimi Governi che si sono succeduti nonché la vera sfida del futuro. In un periodo in cui le statistiche italiane parlano costantemente di un tasso di disoccupazione giovanile ormai oltre il 40%, dell’aumento del fenomeno dei Neet (Not in Education, Employment or Training) e della difficoltà per i giovani laureati di inserirsi nel mondo del lavoro alla fine del percorso di studi, sembra giusto interrogarsi su quali siano i canali offerti dalle istituzioni per aiutare i giovani nella ricerca attiva di un’occupazione, e fornire un possibile supporto orientativo. Chi insegna, oggi, a scrivere un curriculum? Chi offre un metodo studiato efficace per cercare lavoro? Chi dà indicazioni su come affrontare

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un colloquio di lavoro? Molto spesso queste domande hanno una risposta troppo semplice: è la propria esperienza, o l’esperienza di chi ci è già passato, il metodo di base. Spesso però i giovani si lanciano allo sbaraglio, senza un criterio effettivo, nella ricerca del lavoro. La formazione universitaria, molto teorica, da sola non basta. Sono le competenze trasversali a mancare; oppure a non essere sufficientemente acquisito è il criterio nella selezione delle offerte di lavoro che corrispondano al livello di formazione raggiunto dalla persona nell’arco dei suoi studi. Il Quaderno è rivolto ai giovani laureati e laureandi, al personale accademico universitario coinvolto nelle attività di placement, ai docenti universitari e agli imprenditori. Finanziato dall’Istituto di Studi Politici “San Pio V” e realizzato in collaborazione con alcuni ricercatori della Fondazione Rui, esso offre un quadro attuale completo del sistema di transizione studio-lavoro: dalla comparazione di esperienze con altri paesi europei alla presentazione delle singole tappe metodiche di avvicinamento al mondo del lavoro; dall’analisi della normativa italiana sui temi dell’occupazione e della formazione professionale alla necessità dello sviluppo delle soft skills personali. Conclude il volume un’appendice pratica, uno strumentario orientativo per i giovani laureati ideale per capire come muoversi, una volta ottenuto il titolo di studio, alla ricerca della prima occupazione o per riqualificarsi una volta chiusa un’esperienza professionale. Benedetto Coccia Coordinatore scientifico dell’area sociale umanistica e linguistica dell’Istituto di Studi Politici “San Pio V”

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La transizione studio-lavoro: panoramica sul Job Placement in Italia e in Europa Danilo Gentilozzi

1. Orientamento alla professione: strumenti “vecchi” e nuovi a supporto degli studenti universitari 1.1 Breve excursus storico sulle attività di orientamento professionale in Italia La storia dell’orientamento professionale comincia all’inizio del XX secolo. Ancor prima che in Italia, il vero punto di partenza da cui si è sviluppato il concetto di orientamento, e la sua applicazione pratica quale strumento di politica sociale, è collocabile nei Paesi che hanno vissuto in modo più coinvolgente gli effetti positivi della rivoluzione industriale (Stati Uniti, Inghilterra, Francia). «Inizialmente, la società industriale pose il problema dell’orientamento come esigenza interna collegata ad altri due problemi mai prima affrontati: il problema economico dell’impiego della manodopera o delle prestazioni intellettuali, e della loro reperibilità, e il problema dell’accentramento delle attitudini individuali ai fini di un soddisfacente inserimento dell’individuo nel mondo lavorativo»1. L’origine dell’orientamento professionale sconfina nel campo della psicologia ed è a stretto contatto con la sociologia. Si possono distinguere 1 M. G. Moriani, L’orientamento in Italia, Le Monnier, Firenze 1982, p. 10. La prima parte del saggio è dedicata allo sviluppo dell’orientamento a partire dalla psicologia e, in particolare, dall’affermazione di una nuova branca: la psicologia sociale (che Agostino Gemelli definirà sempre come «psicologia del lavoro umano», in quanto più confacente all’analisi dei bisogni della persona e non dell’azienda o del lavoro fine a se stesso).

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sette principali tappe nell’evoluzione del concetto e della pratica dell’orientamento, che ben si possono adattare anche al particolare orientamento di carattere professionale. Nei primi anni del Novecento si sviluppa la fase diagnostico-attitudinale, fondata sul principio di far corrispondere il profilo di un individuo a quello di un’attività lavorativa, mettendo «l’uomo giusto al posto giusto»2. Sono gli anni in cui l’orientamento professionale subisce un’inquadratura sociale come risposta a fatti diversi, quali: incidenti sul lavoro; defezione dal lavoro; insufficienza di rendimento3. Scopo di questa fase è determinare la concordanza tra le attitudini individuali – considerate misurabili attraverso prove e reattivi della psicotecnica4 – e i requisiti necessari allo svolgimento di una particolare attività. Negli anni Trenta si afferma la fase caratteriologico-affettiva, che pone l’accento sul concetto di “interesse personale” come principale motore del rendimento, sostituendolo progressivamente a quello di “attitudine”5. Le altre cinque tappe dell’orientamento professionale sono state: la fase clinico-dinamica (anni Cinquanta), che include anche il contributo della psicanalisi e in cui acquista importanza il vissuto del soggetto, il suo passato, le sue motivazioni inconsce e le più profonde inclinazioni; la fase maturativo-personale (anni Sessanta), che introduce il concetto di auto-orientamento e la creazione di tappe di avvicinamento alla maturazione della scelta6; la fase funzionale-produttiva (anni Settanta-Ottanta), tesa a potenziare il rapporto tra scuola e mondo del lavoro, al fine di favorire l’inserimento dei giovani nel sistema produttivo; la fase scolastico-formativa (anni Novanta), volta a ridurre la dispersione scolastica, a promuovere il successo formativo e a migliorare il clima generale della scuola mediante l’inserimento dell’orientamento nell’intero ciclo di studi della persona; infine, l’attuale fase personale-integrata che 2 F. Parsons, Choosing a Vocation, Londra 1909. 3 Gli incidenti sul lavoro «misero in evidenza come molti svolgessero dei lavori per i quali non erano adatti». La defezione dal lavoro «fece sentire anche il bisogno di determinare non solo le attitudini a una professione, ma anche le controindicazioni ad esse», in M. G. Moriani, op. cit., p. 26. 4 Per le prime definizioni italiane di psicotecnica come «scienza che fornisce i mezzi per raggiungere determinati scopi attraverso l’impiego di procedimenti appropriati», cfr. L. Cimatti, La psicotecnica e la scuola, Consorzio Provinciale per l’Istruzione Tecnica, Bologna 1940, pp. 1-10 e M. Viglietti, Psicologia del lavoro, psicotecnica e orientamento professionale, in “Homo Faber”, 1955, vol. 38, pp. 2426-2428. In realtà il termine era stato già presentato al pubblico da E. Claparède, L’orientation professionnelle, ses problèmes et ses méthodes, Genève 1922, p. 83. 5 C. Castelli, L. Venini, Psicologia dell’orientamento scolastico e professionale, Franco Angeli, Milano 2002, p. 19. 6 S. Cicatelli, A. Ciucci Giuliani, Orientamento, La Scuola, Brescia 2000, pp. 50 ss.

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mira a favorire la maturazione e realizzazione ottimale della persona attraverso il progressivo affinamento delle sue capacità di scelta7. Non possiamo tralasciare la definizione di orientamento data dall’Unesco, valida ancora oggi come concetto generale: «Il modo migliore per mettere l’individuo in grado di prendere coscienza di sé e per adeguare i suoi studi e la sua professione alle varie e sempre mutevoli esigenze della vita, in modo da raggiungere il duplice scopo di contribuire al progresso della società e di realizzare il pieno sviluppo della sua personalità»8. In Italia, tutta la parte psicologica venne recepita nell’attività e nelle opere di alcuni studiosi, soprattutto nella fase tra le due guerre mondiali. Nelle sue prime applicazioni, l’orientamento professionale, per effetto degli incoraggianti successi della psicometria, era identificato con gli stessi interventi psicodiagnostici volti a stabilire le attitudini dell’individuo e quindi il suo successo in certi lavori. In particolare, ricordiamo gli studi di Sante De Sanctis9 all’inizio del secolo scorso, di padre Agostino Gemelli e di Ferruccio Banissoni, che furono poi approfonditi e ammodernati dai loro assistenti10. In Italia, oltre allo studio psicologico, in tema di orientamento professionale è grande l’apporto proveniente dall’ammasso di disposizioni costituzionali, leggi, decreti e altri atti giuridici che formano l’intero corpus della normativa italiana. Il primo vero riconoscimento di un “diritto all’orientamento” venne sancito nell’art. 9 della Carta Sociale Europea sottoscritta a Torino il 18 luglio 1961 dai membri del Consiglio d’Europa, tra cui anche l’Italia11. Nella pratica, prima di questo riconoscimento formale, tale diritto ha avuto un’applicazione stentata nel nostro Paese sia durante 7 C. Castelli, L. Venini, op. cit., pp. 5-30. 8 Raccomandazione conclusiva sul tema dell’orientamento, formulata dal Comitato di esperti sull’orientamento, Convegno Unesco a Bratislava, 1970. 9 De Sanctis (1862-1935) si occupò specificamente dell’orientamento professionale sin dal 1918. Sono sue le teorie della valutazione generica, che mira a stabilire coloro che sono idonei al lavoro, e della valutazione specifica, cioè l’orientamento professionale propriamente detto. Completiamo il discorso ricordando la teoria delle attitudini e della “vocazione” come “inclinazione ereditaria”. S. De Sanctis, Psicologia della vocazione, in “Rivista di psicologia”, XV, 1919, vol. 1, pp. 30-69. 10 F. Banissoni, Alcune caratteristiche dell’orientamento professionale, in L’orientamento nella scuola media e negli istituti dell’ordine superiore classico, Padova 1942, pp. 25-50; A. Gemelli, La psicologia a servizio dell’orientamento professionale nella scuola, Zanichelli, Bologna 1943. Una carrellata di studiosi italiani è riprodotta in M. G. Moriani, op. cit., pp. 68-155. 11 Nella parte I, al punto 9 di tale Carta, è scritto: «Ogni Ogni persona ha diritto a mezzi adeguati di orientamento professionale, che l’aiutino a scegliere una professione conformemente alle sue attitudini personali e ai suoi interessi». Per approfondimenti, cfr. C. Lo Gatto, Orientamento scolastico e professionale, Le Monnier, Firenze 1973, pp. 81-90.

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il periodo fascista che con l’avvento della Repubblica e l’entrata in vigore della Costituzione. Un primo vago accenno all’orientamento professionale si ritrova nelle leggi del 7 gennaio 1929, n. 7 e n. 8 che segnarono un tentativo di raccordare le scelte professionali pratiche con le esigenze dell’economia nazionale12. Si individuò nella scuola media13 un possibile interlocutore principale per lo sviluppo delle attività di orientamento professionale, pur soffermandosi sugli aspetti più pratici di un mero «accertamento di attitudini»14. La Costituzione italiana, sin dalla sua prima stesura, non conteneva un’affermazione del diritto all’orientamento, ma ne affermava un implicito riconoscimento tra i principi fondamentali, all’art. 4, secondo comma: «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società», senza alcun tipo di restrizione o impedimento, come sancisce il secondo comma del precedente art. 3. Sulla base di questi tenui principi costituzionali, la legislazione repubblicana ha prodotto una serie di interventi poco omogenei sulle attività di orientamento, sui soggetti preposti al compimento di tali attività e sulle finalità da raggiungere mediante questi interventi. I primi sforzi normativi furono a favore dell’avviamento al lavoro (L. 29 aprile 1949, n. 264) e di una nuova disciplina dell’apprendistato (L. 19 gennaio 1955, n. 25). All’inizio degli anni Sessanta si cercò di dare nuova importanza alla scuola media statale, includendovi anche il compito importante dell’orientamento dei giovani «ai fini della scelta dell’attività successiva»15. Tale compito venne sviluppato con interventi successivi anche di natura finanziaria16, raccomandando l’istituzione di servizi di orientamento scolastico e professionale per i 12 Nel periodo fascista sono state pubblicate altre leggi con approfondimenti sempre più specifici sull’orientamento professionale: L. 15 giugno 1931, n. 889; L. 22 aprile 1932, n. 490; L. 26 aprile 1934, n. 653; L. 2 gennaio 1936, n. 82 (conversione del RDL 26 settembre 1935, n. 1946); L. 2 giugno 1939, n. 739 (conversione del RDL 21 settembre 1938, n. 1906 – il primo provvedimento organico sull’apprendistato); L. 30 novembre 1942, n. 1545. Non si riuscì, però, a trovare una definizione univoca sul senso e le modalità di orientamento professionale; rimase oscuro perfino capire chi se ne dovesse occupare in via principale. 13 Istituita con L. 1 luglio 1940, n. 899 (GU del 25 luglio 1940, n. 173). 14 «La scuola media, con i primi fondamenti della cultura umanistica e con la pratica del lavoro, saggia le attitudini degli alunni, ne educa le capacità e, in collaborazione con le famiglie, li orienta nella scelta degli studi e li prepara a proseguirli», estratto dall’art. 1 della L. 899/1940. 15 L. 31 dicembre 1962, n. 1859, Istituzione e riordino della scuola media statale. La citazione nel testo è ripresa dall’art. 1. 16 L. 31 ottobre 1966, n. 942, Finanziamento del piano di sviluppo della scuola nel quinquennio 1966-1970.

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giovani e per tutti coloro che ne avevano bisogno, sia per la scelta della professione che per la scelta universitaria17. La vera svolta per l’orientamento professionale avvenne con l’istituzione dell’ordinamento regionale (L. 16 maggio 1970, n. 281) e la conseguente piena attuazione della parte seconda della Costituzione. In particolare, l’articolo 117 conferiva potestà legislativa alle Regioni in materia di «istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica», rimanendo però sul vago in quanto ai servizi di orientamento. A riempire la lacuna costituzionale pensò dapprima il Governo con una serie di decreti ministeriali e con l’emanazione del DPR 15 gennaio 1972, n. 10, poi il Parlamento con la fondamentale Legge-quadro in materia di formazione professionale (L. 21 dicembre 1978, n. 845) che conteneva le linee programmatiche di intervento delle Regioni anche in materia di orientamento professionale, tradendo il dettato costituzionale che prevedeva una legislazione «nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato». Negli ultimi anni, pur mantenendo un controllo sugli atti legislativi regionali, lo Stato non è più intervenuto in maniera normativa sull’orientamento professionale, bensì sull’aspetto sostanziale. In particolare, nella L. 28 marzo 2003, n. 5318 vengono recepiti gli ultimi indirizzi ministeriali sulla concezione e sulla pratica dell’orientamento19, con l’inserimento dell’art. 4 sull’alternanza scuola-lavoro per favorire lo sviluppo delle conoscenze e competenze degli studenti nel periodo fra i 15 e i 18 anni. A nulla è valsa la riforma del Titolo V della Costituzione, avvenuta con L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Il nuovo art. 117 ha introdotto le competenze esclusive statali e le competenze concorrenti, lasciando alle Regioni la potestà legislativa sulle materie residuali. La formazione professionale, esclusa dalle materie a competenza concorrente dal disposto del terzo 17 L. 5 aprile 1969, n. 119 che, seppure nella solita genericità, introduceva per la prima volta anche un tipo di orientamento diverso dal solo fine professionale. 18 Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, GU n. 77 del 2 aprile 2003. 19 Direttiva del Ministero della Pubblica Istruzione n. 487 del 6 agosto 1997 che, all’art. 1, dichiarava l’orientamento «quale quale attività istituzionale delle scuole di ogni ordine e grado, che costituisce parte integrante dei curricoli di studio e, più in generale, del processo educativo e formativo sin dalla scuola dell’infanzia», che si esplicasse in «un insieme di attività che mirano a formare e potenziare le capacità delle studentesse e degli studenti di conoscere se stessi, l’ambiente in cui vivono, i mutamenti culturali e socio-economici, le offerte formative, affinché possano essere protagonisti di un personale progetto di vita e a partecipare allo studio e alla vita familiare e sociale in modo attivo, paritario e responsabile».

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comma del nuovo art. 117, in teoria è materia prettamente regionale, ma in pratica non è così20. Essendo il lavoro un tema delicato, oltreché un diritto civile e fondamentale, il complicato intrecciarsi dei rapporti Stato-Regioni propende per un’interpretazione allargata della norma costituzionale, così come stabilito anche dalla recente giurisprudenza della Corte Costituzionale a partire dal 200521. Il tema dell’orientamento, finalizzato proprio alla formazione di coloro che escono dal segmento formativo per l’inserimento nel mercato del lavoro, risulta essere in posizione ambigua, a metà strada fra competenza statale e competenza regionale. La prova più recente è la pubblicazione della L. 8 novembre 2013, n. 128 di conversione del Decreto Legge 12 settembre 2013, n. 104 (Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca) che, recependo gli articoli 8 e 8bis del Dl, prevede una nuova normativa di principio sull’orientamento per gli studenti e sul tipo di istruzione e formazione per il lavoro22, elemento cardine di un’attività di orientamento destinata alla professione da scegliere23. 1.2 La transizione università-lavoro: strumenti per l’orientamento professionale dei laureandi e dei laureati «L’università dovrebbe puntare a fornire le conoscenze fondamentali e ad integrarle con le attività pratiche (esercitazioni, attività in laboratorio, stage) in modo da preparare i propri laureati ad affrontare i problemi concreti che poi si incontrano nella vita lavorativa»24. Le aspettative degli studenti per gli studi che vanno a intraprendere o che hanno già intrapreso (magari su consiglio di un genitore o di un amico) sono alte e, in questi ultimi anni, destinate a rimanere tali per colpa di un mercato del lavoro in 20 A. Di Casola, Il punto su formazione professionale e competenze regionali, in “Diritti Regionali”, 16 giugno 2011, http://dirittiregionali.org/2011/06/16/il-punto-su-formazione-professionale-e-competenze-regionali/ 21 Corte Cost., sent. 28 gennaio 2005, nn. 50 e 51; 7 dicembre 2006, n. 406; 19 dicembre 2006, n. 425; 2 febbraio 2007, n. 21; 6 febbraio 2007, n. 24; 14 maggio 2010, n. 176; 24 novembre 2010, n. 334. 22 Si segnala la nuova disciplina per la stipulazione dei contratti di apprendistato per il triennio 2014-2016 e la rivalutazione del cosiddetto “apprendistato di alta formazione”. Per approfondimenti si veda il cap. 2 del presente volume. 23 Per una trattazione completa in merito alla normativa italiana sull’orientamento professionale, cfr. M. G. Moriani, op. cit., pp. 157-255. 24 M. Civardi (a cura di), Transizione università-lavoro: la definizione delle competenze – Atti del workshop organizzato dall’Università degli Studi di Milano Bicocca, Dipartimento di metodi quantitativi per le scienze economiche e aziendali, Cleup, Padova 2003, p. 157.

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forte cambiamento e delle nefaste congiunture economiche. L’interesse per la fase di transizione dallo studio al lavoro si è sviluppato soprattutto negli ultimi venticinque-trent’anni alla luce delle modifiche sostanziali che hanno trasformato la ricerca di lavoro da processo diretto e rapido di un tempo in un fenomeno complesso e di medio-lungo periodo25. Il fatto che si esca sempre più tardi dal segmento formativo e che l’inserimento nel mercato del lavoro sia un elemento che interviene quando la persona non è più considerabile “giovane” non è un fenomeno prettamente italiano, ed è capace di condizionare l’intero settore della produzione e l’economia di un Paese. Se il mercato del lavoro è in costante evoluzione, l’università quale luogo di alta formazione per eccellenza necessita di adeguarsi a questi cambiamenti predisponendo un’offerta formativa commisurata ai bisogni e alle aspettative degli studenti. Dinanzi all’alto tasso di disoccupazione, nonché alle altre caratteristiche negative dell’occupazione giovanile in Italia (precariato, lavoro sottopagato, mismatch tra domanda e offerta, imprese in crisi, etc.), gli studiosi che negli ultimi anni si sono interrogati sulla questione hanno sviluppato concetti molto chiari. Da una parte hanno sottolineato, con sempre maggiore preoccupazione, le conseguenze negative dell’uscita tardiva dalla scuola e dall’università, con tendenza alla riduzione delle possibilità d’ingresso in occupazioni di qualità e adeguatamente remunerate, e dall’altra ci hanno aggiunto l’insufficiente qualità dell’offerta formativa, quanto meno rispetto alle richieste delle imprese, e le carenze delle strutture pubbliche deputate a promuovere l’orientamento e a favorire l’impiego26. Le considerazioni fatte fin qui ci spingono a focalizzare l’attenzione sul ruolo attuale dell’università nello sviluppo delle competenze degli studenti e la sua importanza (reale o virtuale) nell’esercizio della funzione mediatrice tra quanto appreso e quanto si andrà a utilizzare una volta entrati nel mondo del lavoro. Non si tratta solo del ruolo che l’università svolge come uno dei principali soggetti dell’orientamento professionale, attraverso gli Uffici placement27, quanto del compito inderogabile di formazione del ca25 P. Grasselli, M. Signorelli (a cura di), Transizione università-lavoro e occupazione giovanile: un tassello importante nella costruzione del bene comune, Franco Angeli, Milano, 2010, p. 47. 26 Ivi, pp. 291-292. 27 Per l’analisi della figura istituzionale e dei compiti degli Uffici placement delle università italiane e dei principali Paesi europei, rimandiamo al par. 2 del presente capitolo.

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pitale umano nella sua interezza e completezza. La fase di profonda trasformazione che attualmente caratterizza il mercato del lavoro ha determinato una richiesta crescente di laureati in grado di riqualificarsi in tempi brevi e con il minimo impiego di energie formative, il che richiede una buona specializzazione e un’elevata flessibilità intellettuale. Specializzazione e flessibilità rappresentano, in fin dei conti, due aspetti del capitale intellettuale di un’impresa e, al tempo stesso, possono essere viste anche come vero valore aggiunto che le università garantiscono ai propri laureati28. Il compito delle università va oltre la semplice profusione di nozioni e conoscenze meccaniche e ripetitive derivanti dall’attività didattica, per puntare dritto alla trasmissione degli strumenti utili all’inserimento nel mondo del lavoro. La dottrina parla, a riguardo, di creazione di «capitale composito umano»29, intendendo con questo termine l’insieme delle competenze specifiche richieste dalle imprese ai laureati (parte manifesta) e delle competenze trasversali30 (parte latente). Proprio la recente attenzione privilegiata al possesso di competenze trasversali nel profilo formativo dei giovani laureati in cerca di lavoro ci riconduce al ruolo che deve essere svolto dal sistema formativo e, in particolare, alla capacità delle università di progettare corsi di studio che siano in grado non solo di trasmettere conoscenze teoriche, ma anche di stimolare questo tipo di abilità31. Negli ultimi anni qualcosa si è mosso, ma non sembra ancora sufficiente. È innegabile che il mondo accademico abbia preso coscienza del fatto che il rapporto con il sistema produttivo sia un’evidente fattore di criticità32 che sta caratterizzando il progressivo disamore dei giovani verso l’università. Non ci si può più permettere di seguire corsi di laurea del tutto scollegati dal mercato del lavoro, ma la risposta data negli ultimi anni a questa necessità non si è tradotta in un miglioramento dell’of28 E. Aureli Cutillo (a cura di), Strategie metodologiche per lo studio della transizione Università-Lavoro: atti del workshop organizzato dall’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” – Dipartimento di statistica, probabilità e statistiche applicate, Cleup, Padova 2004, p. 143. 29 Ivi, p. 141. 30 Si preferisce in questa sede non utilizzare il termine soft skills come traduzione italiana di “competenze trasversali”, in quanto il tema verrà poi approfondito nel cap. 3 del presente volume. Sulla differenza tra skill e competenza, cfr. C. Ciappei, M. Cinque, Soft skills per il governo dell’agire. La saggezza e le competenze prassicopragmatiche, Franco Angeli - Ufficio Studi della Fondazione Rui, Milano 2014, pp. 135-145. 31 R. Di Toma, La (difficile) transizione dall’università al mercato del lavoro: il ruolo strategico della progettazione dell’offerta formativa universitaria, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Modena 2011, pp. 30-31. 32 P. Reggiani Gelmini, M. Tiraboschi (a cura di), Scuola, università e mercato del lavoro dopo la riforma Biagi: le politiche per la transizione dai percorsi educativi e formativi al mercato del lavoro, Giuffrè, Milano, 2006, p. 74.

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ferta formativa. Sia chiaro, non tutto dipende dall’università italiana: anche il sistema produttivo del Paese attraversa una fase critica e necessita di un adeguamento che potrà essere stimolato solo da un’attiva collaborazione con i decisori pubblici. Il quadro odierno si basa sulla riforma degli studi universitari, avviata con la L. 15 maggio 1997 n. 127 (Legge Bassanini-bis, art. 17, comma 95 e ss.) e completata attraverso il Decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (Murst) n. 509 del 3 novembre 1999 e il Decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) n. 270 del 22 ottobre 200433. La riforma dei cicli universitari, con l’introduzione dei corsi di laurea di durata triennale, ha indubbiamente comportato un significativo aumento delle immatricolazioni nei primi anni della riforma, ma non i miglioramenti sperati nella transizione formazionelavoro. È ormai un dato di fatto l’allungamento dei tempi di chiusura del primo ciclo, nonché la tendenza a proseguire gli studi con il successivo ciclo, il corso di laurea magistrale della durata di due anni34. Il modo stesso in cui sono stati impostati i corsi di laurea alla luce della riforma ha tradito le aspettative, in quanto l’impegno profuso dalle università nell’elaborazione dei nuovi ordinamenti didattici appariva orientato prevalentemente a una presentazione delle discipline trattate in modo accattivante, a fronte di una certa genericità nell’individuazione dei relativi sbocchi professionali35. A tale lacuna si è astrattamente posto rimedio con l’introduzione, nel dicembre 2004, dei Descrittori di Dublino, ovvero definizioni generali delle aspettative di apprendimento e di capacità per ciascuno dei titoli conclusivi di ciascun ciclo del Processo di Bologna. Questi descrittori non vanno intesi come prescrizioni; non rappresentano soglie o requisiti minimi e non sono esaustivi; possono essere sostituiti da caratteristiche simili o equivalenti. I descrittori mirano a identificare la natura della qualifica nel suo complesso. Essi non hanno carattere disciplinare e non sono circoscritti in determinate aree accademiche o professionali36. 33 R. Di Toma, op. cit., p. 14. 34 P. Reggiani Gelmini, M. Tiraboschi, op. cit., p. 31. 35 R. Di Toma, op. cit., p. 20. 36 Le definizioni dei Descrittori di Dublino sono contenute nel documento del Bologna Working Group on Qualifications Frameworks, A Framework for Qualifications of the European Higher Education Area, Copenhagen 2005, http://www.bolognaprocess.it/content/index.php?action=read_cnt&id_cnt=6118. Se ne segnala anche una sintetica descrizione nel sito del Quadro dei Titoli Italiani, http://www.quadrodeititoli.it.

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Dalla descrizione delle capacità che lo studente deve acquisire frequentando il corso si possono dedurre gli sbocchi professionali più adeguati a rispondere a determinate esigenze. Come detto, l’aver riformato la struttura dei corsi di studio in cicli non ha prodotto il risultato sperato. La maggior parte degli studenti che consegue il titolo al termine del primo ciclo di studi (laurea) prosegue con la laurea magistrale. Il problema non è tanto nella formazione conseguita nei tre anni di studio, quanto nella consapevolezza che la laurea magistrale «sia sinonimo di contratto più stabile nel settore privato»37, una sorta di maggiore garanzia per la futura ricerca del posto di lavoro. L’obiettivo del triennio di studi è stato mancato clamorosamente. D’altra parte, numerose indagini hanno appurato che la formazione “specialistica”, intendendo con tale termine il biennio di studi successivo alla laurea, impone agli studenti aspettative più ampie rispetto al triennio. C’è chi, al termine del triennio, non è in grado di formulare una richiesta chiara di cosa voglia fare nella vita e si iscrive al biennio specialistico perché “è meglio farlo” o perché “è la naturale prosecuzione”, che comporta, alla fine, il procrastinare quel momento in cui diventerà necessario confrontarsi con le difficoltà del mercato del lavoro. C’è chi pensa che, con un titolo più elevato, possa aumentare il vantaggio competitivo nell’ambito di un’offerta di lavoro sovrabbondante rispetto alla domanda (ipotesi che, in questo momento storico, sembra poco plausibile). Un altro gruppo è costituito da coloro che si iscrivono al biennio solo per accrescere e migliorare la propria preparazione. Infine, un ulteriore gruppo di studenti è consapevole che sia necessario avere una preparazione più completa, ma soltanto una formazione pratica di accompagnamento potrà mettere in grado, una volta usciti dall’università, di cercare e trovare lavoro con maggiore facilità38. Quest’ultimo gruppo propone il ragionamento più interessante, in quanto dimostra pienamente come l’università non possa più essere luogo di formazione solo teorico, ma debba aprirsi al mondo produttivo interfacciando se stessa e i propri studenti con la realtà del lavoro già prima dell’ottenimento del titolo di studio39. 37 P. Grasselli, M. Signorelli, op. cit., pp. 138-142. 38 A. Tonarelli, Posti in piedi: giovani in transizione fra università e lavoro, Pacini, Pisa 2013, pp. 109-112.

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Nella transizione università-lavoro un ruolo fondamentale lo gioca il quadro dell’offerta formativa40 del corso di laurea elaborata dal singolo ateneo in modo autonomo e indipendente. Ciascuna università disegna il profilo formativo che intende preparare, ne definisce gli obiettivi formativi specifici e gli sbocchi concreti sul mercato del lavoro e stabilisce secondo la propria sensibilità gli insegnamenti in cui dovrà articolarsi quel particolare percorso41. È proprio quest’ultimo ad essere il fattore chiave di successo per lo studente. Man mano che si frequentano i vari anni del corso di studio prescelto, la transizione opera all’interno; si riducono le ore totali dedicate allo studio e viene introdotto sempre più l’elemento chiave delle ore di formazione pratica, di vero e proprio lavoro. Di seguito cercheremo di delineare un quadro attendibile di ciò che le università dovrebbero fare per incrementare le conoscenze e le capacità che si acquisiscono frequentando un corso di studio. Si tratta, è bene dirlo subito, di un percorso impervio a causa di una molteplicità di fattori connessi a limiti di natura metodologica, difficoltà organizzative, individuazione e messa a punto di adeguati strumenti di rilevazione che, spesso, non si hanno o si hanno in modo superficiale. È un’analisi forse semplicistica, ma è necessario compierla per individuare quali siano i fattori critici e poter migliorare e indirizzare l’offerta formativa delle università42. Analizziamo un possibile percorso curriculare e cerchiamo di mettere a fuoco quale sia il ruolo teorico-pratico della formazione universitaria nello sviluppo delle competenze lavorative dello studente. All’inizio dell’esperienza universitaria, in via teorica nei primi due anni di corso, la formazione è totalmente pre-professionale: in questa fase le ore di studio impegnano totalmente lo studente, favorendo l’acquisizione delle 39 Era quanto auspicato nel documento Italia 2020 - Piano di azione per l’occupabilità dei giovani attraverso l’integrazione tra apprendimento e lavoro firmato nel 2009 dai ministri Sacconi (Mlps) e Gelmini (Miur): facilitare la transizione dalla scuola al lavoro, rilanciare l’istruzione tecnico-professionale ed il contratto di apprendistato, ripensare il ruolo della formazione universitaria, aprire i dottorati di ricerca al sistema produttivo e al mercato del lavoro. 40 «Questione offerta formativa: oltre a far sviluppare senso critico e capacità di affrontare i problemi, essa potrebbe curare maggiormente le conoscenze e i metodi richiesti sul fronte strategico e operativo dal mondo della produzione, favorendo così l’inserimento dei laureati», è l’indicazione generale contenuta in P. Grasselli, M. Signorelli, op. cit., p. 301. 41 R. Di Toma, op. cit., p. 82. 42 Qualcosa è stato già fatto a livello statistico in E. Aureli Cutillo, op. cit., pp. 150-151. In questa sede seguiremo passo dopo passo lo sviluppo umano e professionale di uno studente, analizzando come l’università gli proponga attività formative utili alla formazione del proprio background di conoscenze e competenze.

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nozioni e dei fondamenti della materia che ha scelto di approfondire. Il percorso può prevedere esami scritti o orali, attività integrative, seminari e convegni di approfondimento, ma non vi è dubbio che lo “studio” è attività full time. A partire dal secondo anno di corso, quando già si sono acquisite le nozioni base, l’attività formativa del corso prescelto può prevedere, come primo step di orientamento professionale, esercitazioni, attività di laboratorio, attività di cantiere o qualunque altro tipo di attività nelle aziende interne all’università prescelta43, utili per iniziare ad acquisire le competenze necessarie. In questa fase diminuisce il tempo dedicato allo studio a favore di quello che possiamo definire “tempo di lavoro”. Il passaggio successivo è rappresentato dalle visite in azienda e dall’esperienza all’estero. Mostrare agli studenti quella che (probabilmente) potrà essere la loro attività futura attraverso le visite ai siti industriali o ai luoghi nei quali ogni giorno vengono messe in pratica le nozioni apprese dai libri è un ulteriore tassello in grado di orientare lo studente al proseguimento del corso di studi. Trascorrere un periodo all’estero – un’esperienza resa ormai consueta dalla notorietà del programma Erasmus della Commissione Europea – ha un’importanza pari alle visite aziendali, in quanto stimola nello studente la conoscenza di culture e lingue diverse dalla propria. Non sono rari i casi in cui questa esperienza ha stimolato gli studenti a perseguire un determinato obiettivo professionale, nonostante le difficoltà dovute alla permanenza in un Paese diverso dal proprio44. Le visite alle aziende possono tradursi, grazie anche all’attività di rappresentanza e collaborazione dell’ateneo con le imprese del territorio, in accordi di tirocinio aziendale o stage. Basandosi su statistiche precise, possiamo affermare che lo stage, nonostante le critiche, i problemi e le proteste per le frustranti modalità di svolgimento (e pagamento)45, è considerato un 43 La differenza sta nel tipo di corso prescelto. Ovvio che chi frequenta un corso di laurea in Giurisprudenza non avrà un “laboratorio” e nemmeno la frequentazione di un “policlinico universitario”, così come invece potrà accadere per chi frequenta Ingegneria o Medicina. Non c’è bisogno di ricordare che alcuni corsi sono più teorici che pratici e viceversa. La vera sfida per questa fase, primo momento orientativo, può essere quella di rendere meno teorico un corso definito tale, mediante attività integrative di orientamento professionali sufficientemente stimolanti, a discrezione del docente e con il consenso dell’ateneo. 44 In questo campo è fondamentale l’avvio dei joint programmes per l’ottenimento dei doppi titoli o titoli congiunti, grazie ai quali uno studente può dividere la durata del suo corso di studi frequentando due o più università di Paesi diversi. Su tutto questo ampio settore, si possono consultare le pagine web del database italiano dei programmi congiunti (CimeaProJoint - http://www.cimea.it/default.aspx?IDC=138) nonché M. Cinque, Tutelare e promuovere i titoli italiani, in M. Cinque, G. Finocchietti, D. Gentilozzi, L. Lantero, B. Coccia (a cura di), I titoli di studio italiani all’estero. Quanto valgono, chi li valuta, come usarli, come farli riconoscere, Editrice Apes, Roma 2011, pp. 156-170.

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elemento fondamentale per un migliore e più rapido accesso al mondo del lavoro: un’occasione per operare scelte consapevoli nel costruire il proprio percorso formativo46. In questo periodo aumenta il tempo dedicato al lavoro e diminuisce quello per lo studio. Oltre agli stage, in questa fase rientrano tutte quelle attività utili ai fini dell’inserimento nel mondo del lavoro prima della laurea: tirocini formativi, tirocini di orientamento, conoscenze o abilità informatiche e linguistiche, conoscenze telematiche, tecnologiche e relazionali. È questo il momento più importante del percorso di studi e, purtroppo, anche quello maggiormente lasciato al caso e al buon cuore di chi si mette in gioco alla ricerca di forze nuove per la propria azienda. Nella transizione università-lavoro non possono mancare i lavori per conto terzi in università. Lo stesso ateneo può essere creatore di spin off imprenditoriali oppure collaborare all’attività di un’azienda che ha bisogno di prove in laboratorio, analisi, collaudi, consulenze, certificazioni. Questo tipo di attività, che in alcuni casi può rientrare nella fattispecie dello stage, è il pane quotidiano di professori universitari che nascono prima di tutto come professionisti indipendenti nel proprio settore di competenza. È nell’esercizio quotidiano di tale lavoro che si educa la persona allo svolgimento ottimale del proprio lavoro. A metà tra studio e lavoro rientra l’attività di redazione della tesi di laurea, specialmente quella di carattere sperimentale. È in questa fase che lo studente, grazie alle capacità e alle competenze acquisite attraverso l’insegnamento e la pratica del lavoro, riesce a sintetizzare le due facce della formazione nella realizzazione di un’opera personale su un argomento scelto in base ai propri interessi. Anche la tesi compilativa richiede un complesso lavoro di ricerca e selezione che solo un esperto della materia può svolgere con attenzione e dedizione; ma la tesi sperimentale mette in contatto lo studente con il tipo di lavoro che egli sente di essere portato a svolgere. Sulla scia della tesi di laurea, a metà fra studio e lavoro sono anche i corsi di formazione post-laurea (scuole di specializzazione, corsi di perfezionamento, master universitari, dottorato di ricerca) che però, nella maggior parte dei casi e tranne il dottorato, vengono frequentati a qualche anno di distanza 45 Come dimenticare le battaglie condotte nel 2009 dall’ex-giornalista di “Panorama” Eleonora Voltolina con la sua testata editoriale “Repubblica degli Stagisti” (http://www.repubblicadeglistagisti.it/)? Si veda anche E. Voltolina, La repubblica degli stagisti. Come non farsi sfruttare, Editori Laterza, Roma-Bari 2010. 46 A. Cammelli, La transizione dall’università al lavoro in Europa e in Italia, Il Mulino, Bologna 2005, p. 68.

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dall’ottenimento del titolo di studio e a motivo di un impiego non trovato o concluso in modo improvviso. A queste ultime due fasi si affianca l’apprendistato di alta formazione e di ricerca, reintrodotto nell’ordinamento italiano con modifiche sostanziali con l’art. 5 del D. Lgs. 14 settembre 2011, n. 167 (Testo unico dell’apprendistato, a norma dell’articolo 1, comma 30, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, GU n. 236 del 10 ottobre 2011)47. Il contratto di apprendistato «per il conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore, di titoli di studio universitari e di alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, per la specializzazione tecnica superiore» è un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato finalizzato all’acquisizione di un titolo di studio che integra la pratica in azienda con l’alta formazione secondaria o universitaria. È un canale di accesso qualificante dei giovani al lavoro, strumento tendenzialmente ideale a favorire l’occupazione dei giovani e sviluppare competenze ritenute essenziali alle persone e ai sistemi produttivi. Regolamentazione e durata dell’apprendistato di alta formazione è competenza delle Regioni per i soli profili attinenti alla formazione, sulla base di accordi con organizzazioni sindacali, datori di lavoro, università e istituzioni formative48. È questa la svolta che si aspettava, l’incontro effettivo tra mondo accademico e mondo produttivo. Finora c’è stato un solo studente che si è laureato con questo strumento49. Si distingue dall’apprendistato perché l’unico obiettivo del contratto di lavoro è il conseguimento del titolo di studio50. L’apprendistato di alta formazione è uno dei nuovi strumenti sfruttati con più attenzione per le attività di placement delle università italiane51. Il percorso verso la professione può proseguire con il tirocinio professionale previsto, ad esempio, per l’esame di abilitazione a una determinata 47 L’apprendistato di alta formazione è stato introdotto all’art. 50 del D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, decreto emanato in base alle indicazioni contenute nella L. 14 febbraio 2003, n. 30 (Legge Biagi). 48 Regione Emilia-Romagna - Assessorato Scuola, Formazione Professionale, Università e Ricerca, Lavoro, Apprendistato di alta formazione e ricerca. Guida informativa – Lavoro e competenze, aprile 2013, http://formazionelavoro.regione.emilia-romagna.it/apprendistato/approfondimenti/apprendistato-per-lacquisizione-di-un-diplomae-per-lalta-formazione. 49 È di Como la prima laureata d’Italia “in alto apprendistato”, in “Corriere.it” - ed. Milano, 9 luglio 2014, http:// milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_luglio_09/como-prima-laureata-d-italia-in-alto-apprendistato-57cc823c0785-11e4-99f4-bbf372cd3a67.shtml 50 R. Di Toma, op. cit., pp. 114-122. 51 Si rimanda al successivo paragrafo per l’analisi degli Uffici placement delle università italiane.

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professione regolamentata, oppure con lo svolgimento di un corso-concorso finalizzato all’occupazione (ramo pubblico), o con borse di studio e assegni di ricerca per lo svolgimento di attività lavorative in ambito accademico. Ulteriore passo verso la professione è il normale contratto di apprendistato52, rapporto di lavoro che si basa su un patto fra datore di lavoro e lavoratore dipendente, in base al quale l’apprendista accetta condizioni contrattuali peggiori (in termini ad esempio di retribuzione, di durata del rapporto, di ammortizzatori sociali) in cambio di una formazione specializzata tale da garantirgli una cospicua crescita professionale53. A questo punto, con l’ulteriore passaggio dell’inquadramento aziendale, il tempo di lavoro è pieno e non c’è più tempo di studio. O forse sì: l’aggiornamento costante delle proprie competenze (lifelong learning, apprendimento durante tutto il corso della vita) prevede il rientro in formazione con corsi professionali e post-esperienza anche a molta distanza dall’uscita dal segmento formativo. 2. Il ruolo del placement universitario per l’occupazione dei laureati: una comparazione fra i principali Paesi europei 2.1 Italia Gli studi sul placement universitario pubblicati negli ultimi anni hanno dimostrato come questa attività sia ormai radicata nelle università italiane, anche se ancora da perfezionare per essere in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni degli studenti. La riforma del mercato del lavoro, introdotta con la Legge Biagi, ha assegnato all’università l’importante attività di intermediazione al lavoro per i propri studenti. Per intermediazione si intende «l’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, anche in relazione all’inserimento lavorativo dei disabili e dei gruppi di lavoratori svantaggiati, comprensiva 52 Disciplinato sempre dal D. Lgs. 167/2011. 53 L. 16 maggio 2014, n. 78 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 20 marzo 2014, n. 34, recante disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese.

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tra l’altro: della raccolta dei curricula dei potenziali lavoratori; della preselezione e costituzione di relativa banca dati; della promozione e gestione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro; dell’effettuazione, su richiesta del committente, di tutte le comunicazioni conseguenti alle assunzioni avvenute a seguito dell’attività di intermediazione; dell’orientamento professionale; della progettazione ed erogazione di attività formative finalizzate all’inserimento lavorativo»54. Tale attività, prevista ex lege, ha il solo vincolo di essere svolta senza finalità di lucro. Il legislatore è intervenuto una seconda volta nel 2010 (art. 48 della Legge 4 novembre 2010, n. 183) disponendo che la principale attività delle università consiste nel «rendere pubblici i curricula dei propri studenti, che sono inseriti nei siti internet dell’ateneo per i dodici mesi successivi alla data di conseguimento del diploma di laurea». Questa precisazione è stata ulteriormente cristallizzata dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111 che ha convertito il Decreto legge n. 98/2011, con la disposizione di accessibilità gratuita ai curricula degli studenti per le aziende55. Il risalto dato alla gratuità della consultazione è dovuto al fatto che gli uffici placement di alcune università italiane mettevano la consultazione dei curricula degli studenti a pagamento. La previsione legislativa invece fa chiarezza sul punto e risulta ormai pienamente recepita dall’intero sistema accademico56. Per placement universitario, però, non si può intendere soltanto una sterile attività di pubblicazione dei curricula degli studenti messi a disposizione delle aziende. «Il placement non serve a presidiare in sé l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, che compete istituzionalmente ad altri soggetti, ma a creare giorno per giorno quell’indispensabile rete di relazioni cooperative e fiduciarie senza le quali il richiamo al capitale umano rischia di essere puramente retorico, in quanto privo dei necessari canali istituzionali per la sua effettiva emersione e valorizzazione»57. 54 Art. 2 del D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276. 55 Fondazione Crui, Le attività di intermediazione al lavoro, in L’evoluzione nei rapporti tra università, territorio e mondo del lavoro in Italia: un riepilogo delle principali trasformazioni degli ultimi venti anni, Roma 2012, pp. 21-22. 56 Al 2011 risultava come la quasi totalità degli atenei disponesse di supporti tecnologici di gestione dei dati: nel 33,3% dei casi avevano una banca dati autogestita, nel 24,2% consorziata (AlmaLaurea, Vulcano, Dioge.net, Cliclavoro, SOUL - Lazio) e nel 42,4% dei casi utilizzavano entrambe le tipologie, autogestita e cogestita. La modalità a pagamento resiste ancora nei casi di banca dati a modalità consorziata. Cfr. A. Grimaldi (a cura di), Rapporto Orientamento 2011. Sfide e obiettivi per un nuovo mercato del lavoro, Isfol, Roma 2012, pp. 220-224. 57 S. Spattini (coordinamento scientifico), Le opportunità occupazionali dei giovani: il ruolo del placement universitario, Adapt Associazione, Modena 2011, p. 20.

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Per questo motivo lo sviluppo degli uffici placement delle università italiane è un fenomeno ancora in divenire58: le modalità più caratteristiche di questo servizio si basano principalmente sulla predisposizione di informazioni sui siti web, contatti diretti con il mondo delle imprese, eventi e giornate informative (career day), materiale promozionale specifico, ricorso ai media per la pubblicizzazione dei servizi di ateneo e attività sui principali social network (su tutti Facebook, Twitter e LinkedIn)59. Le criticità emerse in questi ultimi anni riguardano la carenza di staff predisposto per questo tipo di attività, un budget molto ristretto, scarsa domanda di laureati da parte delle imprese del territorio, mancato riconoscimento – nelle politiche di ateneo – del ruolo strategico e innovativo degli uffici placement, difficoltà di monitorare e verificare gli esiti effettivi delle attività svolte in favore del collocamento occupazionale dei propri laureati60. Quel che manca, in Italia, è una visione unitaria del fenomeno del placement: ogni ateneo pensa per sé e fa quel che può, in considerazione della propria importanza sul territorio e in base al livello qualitativo del proprio background. L’ideale sarebbe un coordinamento superiore, un organo che rappresenti tutti gli uffici placement delle università nei confronti dei poteri pubblici, nonché un pieno riconoscimento a livello ministeriale dell’importanza dei compiti svolti da tali uffici per il miglioramento della situazione occupazionale dei laureati. Solo AlmaLaurea e, in alcune occasioni, anche la Fondazione Crui al momento offrono un monitoraggio costante sulla condizione occupazionale dei laureati. AlmaLaurea – di cui fanno parte una sessantina di università italiane sul totale di novantacinque – svolge anche una funzione di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro ed è a conoscenza delle maggiori criticità del sistema61. 58 Il problema della disoccupazione giovanile non risiede soltanto nel modo in cui una struttura pubblica come una università modella le conoscenze e competenze dello studente, quanto i criteri di pianificazione dello studente stesso che, nell’ottica di una mancanza di stimoli a studiare, non si impegna e si perde dietro a lavori che non danno frutto. «È la cultura della “raccomandazione”, del “non c’è lavoro”, dei dati statistici che terrorizzano, della chiusura in se stessi». Cfr. V. Lorenzini, Al di là dei numeri: i criteri di scelta adottati dai giovani per cercare lavoro, in P. Grasselli, M. Signorelli, op. cit., pp. 271-290. 59 Su quest’ultimo punto si rimanda al n. 133/settembre 2014, della rivista “Universitas”, scaricabile all’indirizzo http://www.rivistauniversitas.it/Precedenti.aspx?anno=2014. 60 Fondazione Crui, I servizi di job placement nelle università italiane, Roma 2010, pp. 5-7 e 10-11. 61 Che questo compito di rappresentanza unitaria sia una prossima competenza dell’Anvur (Agenzia Nazionale per la Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca)? Così sembra, in considerazione dell’avvio del progetto Anvur-Italia Lavoro per la valutazione del placement e la definizione degli standard comuni di qualità. Cfr. G. Trovati, Atenei, sotto esame il “placement”, in “Il Sole 24 Ore”, 27 settembre 2013, p. 53.

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2.2 Regno Unito Pur in mancanza di una legislazione specifica, ogni università e college inglese possiede un proprio servizio di orientamento professionale (Careers Advisory Service), responsabile di fronte all’autorità universitaria competente (direttore generale, rettore, presidente). Alcune università offrono allo studente la possibilità di ottenere un Degree with Employment Experience (Dee)62 che dura un anno all’interno del corso di studi prescelto, ha l’obiettivo di migliorare l’occupabilità, sviluppare competenze personali e professionali e iniziare a lavorare, attraverso stage e internship, in una grande azienda. Per i giovani delle scuole e di altri istituti di istruzione secondaria, i servizi di orientamento professionale sono forniti, per legge, dalle autorità locali in materia di istruzione. Il Governo britannico ha un dipartimento specifico dedicato al mondo del lavoro (Department for Business, Innovation & Skills - BIS63) che si interfaccia spesso con il Dipartimento per l’Educazione nelle materie riguardanti la formazione e l’orientamento professionale. Tra le sue politiche, il Dipartimento ha il compito di accompagnare i giovani nella ricerca del primo lavoro, anche mediante incentivi e contrattazioni con agenzie pubbliche e private, per migliorare l’occupabilità e le competenze di chi si immette nel mercato dopo aver ottenuto un titolo accademico. Uno degli uffici collegati al BIS più attenti all’occupazione nel Regno Unito è l’Ukces - United Kingdom Commission for Employment and Skills64. Essendo un ufficio pubblico, i compiti istituzionali sono più a vantaggio degli imprenditori che degli studenti. Tuttavia, le statistiche diffuse sul mercato del lavoro e sui tassi di occupazione che vengono pubblicate a intervalli di uno o massimo due anni consentono allo Stato di intervenire per risolvere le criticità che emergono dall’insufficiente offerta di lavoro o dalla domanda poco elevata o non abbastanza qualificata. Negli ultimi anni, l’Ukces ha pubblicato una serie di rapporti sul mercato del lavoro per i giovani. Il primo è del 2011 (The Youth Inquiry), al quale sono seguiti The Youth Employment Challenge (2012), Scaling the Youth

62 È il caso dell’Università di Sheffield, http://www.sheffield.ac.uk/placements. 63 www.gov.uk/government/organisations/department-for-business-innovation-skills. 64 www.gov.uk/government/organisations/uk-commission-for-employment-and-skills.

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Employment Challenge (2013) e l’ultimo, del 2014, dal titolo emblematico Precarious futures? Youth Employment in an International Context65. La perla del Regno Unito rimane l’Association of Graduate Careers Advisory Services66, l’associazione che raccoglie i consulenti di orientamento professionale che svolgono tale servizio a tempo pieno nei singoli istituti di appartenenza. Attivo sin dal 1963, l’Agcas è sempre stato il punto di riferimento non solo per studenti universitari, ma per tutti coloro che arrivavano nel Regno Unito per trovare un’occupazione o per cercare i migliori corsi di studio in grado di dare loro la formazione specifica in un determinato campo di applicazione. Le attività dell’Agcas sono da sempre incentrate su vari campi: statistiche sull’impiego dei laureati; corsi di preparazione professionale e di aggiornamento; informazioni sull’occupazione e attività di orientamento professionale; collegamenti tra scuola e università e tra università e mondo del lavoro; comunicazione con i membri dell’associazione; indagini e attività promozionali nei settori occupazionali in cui l’inserimento dei laureati è più difficile. Membri dell’associazione sono i Centri di orientamento professionale delle università e i singoli consiglieri sull’orientamento. È l’esempio lampante di un network tra uffici di orientamento e placement delle università, molto più attento a dare informazioni generali. La parte relativa a stage e internship, tirocini professionali e collaborazioni con aziende è lasciata alle università. Di carattere totalmente diverso è l’organizzazione chiamata Placement UK67, portale web dedicato completamente alla divulgazione di informazioni e contatti per le opportunità di tirocinio dei laureandi, oltre a stage e tirocini professionali. Il portale offre servizi per le università, per gli imprenditori e per gli studenti. Le università inglesi possono registrarsi al portale per far conoscere agli utenti tutte le opportunità di avvicinamento al mondo del lavoro realizzate in collaborazione con industrie e aziende presenti sul territorio. Gli studenti possono registrarsi in modo da venire a conoscenza mediante email delle migliori opportunità per iniziare a la-

65 www.gov.uk/government/collections/ukces-youth-employment-reports. 66 www.agcas.org.uk/. Per una breve storia dell’Associazione, si veda il contributo di E. Mondani, A. Raban, Regno Unito, in Fondazione Rui, L’orientamento e il counselling nelle università della Comunità europea, Fratelli Palombi Editori, Roma 1982, pp. 141-149. 67 http://www.placement-uk.com/pages/index.php.

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vorare nel Regno Unito. Per gli imprenditori, la registrazione al portale è un’ottima opportunità per pubblicare inserzioni lavorative e reclutare staff, con l’unico obbligo di inserire posizioni e occupazioni lavorative della durata minima di sei mesi. L’esperienza del Regno Unito dà l’idea del placement anzitutto come fonte di informazioni per migliorare le proprie competenze professionali, ma non tralascia l’aspetto del monitoraggio costante – e non una tantum – dei risultati di tale attività. Un conto è mettere a disposizione strumenti pratici di formazione e orientamento professionale, altro è vedere che impatto ha quest’attività sul tasso di occupazione dei giovani universitari. Cosa che, in fondo, manca ad alcuni Paesi dell’area Ue posti sullo stesso piano e qui analizzati, quali Italia e Francia. 2.3 Francia La partecipazione attiva alla costruzione dello Spazio europeo dell’istruzione superiore68 (European Higher Education Area) e allo Spazio europeo della ricerca (European Research Area) ha ispirato un primo movimento di riforme, concretizzato nella Loi n. 2007-1199 del 10 agosto 200769. Questo primo atto parlamentare non solo ha prodotto un avvicinamento del sistema universitario francese a quello della maggior parte degli altri Paesi appartenenti all’Unione europea, ma ha avuto conseguenze sullo sviluppo del placement e, in particolare, nella missione tradizionale affidata alle università per quanto riguarda l’orientation et l’insertion professionnelle. L’art. 21 della legge 2007-1119 ha aggiunto l’articolo L611-570 al complesso di norme sul sistema d’istruzione francese contenuto nel Codice dell’Educazione71, nella parte in cui vengono elencate le disposizioni per l’istruzione superiore. L’articolo sopra citato ha inserito una nuova figura

68 C. Finocchietti, D. Giacobazzi, P. G. Palla, Lo Spazio europeo dell’istruzione superiore. Dieci anni del Processo di Bologna, Cimea - Quaderno Universitas n. 25, Roma 2010. 69 Nel titolo è rubricata come legge «relative aux libertés et responsabilités des universités». La legge è consultabile su www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000000824315. 70 Modificato, a sua volta, dagli articoli 24 e 51 della Loi n. 2013-660 del 22 luglio 2013, www.legifrance.gouv. fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000027735009, relative à l’enseignement supérieur et à la recherche. 71 Code de l’éducation, entrato in vigore il 22 luglio 2000. In particolare, le disposizioni sull’istruzione superiore, e sul placement, sono contenute nella Terza parte (“Les enseignements supérieurs”), al Libro VI, nelle Disposizioni comuni.

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all’interno delle università: si tratta del Bureau d’aide à l’insertion professionnelle des étudiantes, organismo che non è ritenuto obbligatorio ma che viene creato in ogni università mediante deliberazione del Consiglio d’Amministrazione. La missione dell’inserimento professionale attribuito dal codice dell’educazione a questo nuovo ufficio consiste nel garantire eguale accesso agli stage per gli studenti universitari e allo sviluppo della formazione professionale specifica in linea con le proposte formative dell’ateneo. Altro compito affidato all’ufficio è quello di aiutare gli studenti a trovare un primo impiego. Subito dopo la riforma del Codice dell’Educazione, in Francia si è sviluppato un acceso dibattito sull’effettivo ruolo che questi uffici avrebbero dovuto svolgere per non entrare in “competizione” con i centri di pubblico impiego e le piccole agenzie locali specificamente destinate al placement. Come in l’Italia, anche in Francia ogni università ha questa “possibilità” di aiutare i propri studenti, mentre scarseggiano capacità umane, finanziarie e logistiche. Ovvero, lo Stato è a conoscenza del difficile e complesso ruolo di un ufficio dedicato all’inserimento professionale dei laureati, ma lo priva del gravoso compito del placement, preferendo parlare di primo impiego attraverso lo strumento dello stage. Ci si concentra molto di più sulle competenze che lo studente acquisisce durante gli anni di formazione mentre, per la fase “pratica”, è il Bureau che dovrebbe occuparsi di ricercare le occasioni migliori e segnalarle ai propri studenti, soprattutto prima dell’ottenimento del titolo di studio. Per comprendere l’efficacia delle attività stabilite dal Bureau, l’art. L611-5 prevede anche una costante attività di monitoraggio che deve essere compiuta direttamente dall’ufficio e deve essere portata a conoscenza del Consiglio Accademico che, di comune accordo con il CdA dell’università, ha autorizzato la creazione del Bureau. I dati, le statistiche, le informazioni sulla qualità e i risultati pratici in tema di inserimento professionale sono indirizzati principalmente al personale accademico, oltre ad essere resi pubblici e disponibili a tutti. Nelle competenze del Bureau si possono riconoscere quelle attività di intermediazione che sono state già ampiamente analizzate per l’Italia, ma con la particolarità di attenzione più capillare, che lascia da parte database o siti e opta per l’incontro personale tra studente e imprenditore72.

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Questo è ciò che accade – o dovrebbe accadere – a livello di singola università. Oltre al primo livello, in Francia agiscono in favore dell’occupazione professionale e dell’inserimento dei laureati anche una serie di associazioni regionali o locali73 che aiutano i giovani a sfruttare le proprie competenze e a cercare l’occasione giusta per mettersi alla prova, oltre allo strumento – sempre utile – dello stage universitario. Infine, l’Onisep (Office National d’Information sur les Enseignements et les Professions74) è un’Agenzia pubblica controllata dal Ministero dell’Educazione Nazionale e dell’Istruzione Superiore e della Ricerca, che produce e diffonde informazioni sulle occasioni di lavoro e di formazione all’interno del settore produttivo, con specifico target per laureati, genitori degli studenti e uffici dedicati all’inserimento professionale dei giovani. Viene da pensare che le informazioni pubblicate sul sito web dall’Onisep siano costantemente monitorate anche dai nuovi uffici universitari per il placement, giusto per dare ai propri studenti informazioni esaurienti sulle professioni più gettonate in un determinato momento storico dal sempre imprevedibile mercato del lavoro. 2.4 Germania L’orientamento universitario e il placement hanno caratteristiche complesse, come a prima vista appare lo stesso sistema d’istruzione tedesco. La divisione tra Universitäten, Hochschulen e Fachhochschulen (queste ultime conosciute come università di Scienze Applicate) ricalca anche una suddivisione di compiti nell’attività didattica professionalizzante. A livello giuridico federale, l’orientamento universitario è stato introdotto solo nel 1976 dalla Legge quadro sugli Istituti di istruzione universitaria (Hrg: Hochschulrahmengesetz)75, riveduta e corretta nel 1999 ed 72 Un ottimo commentario alla figura dei Bureaux è quello di T. Chaudron, J. M. Uhaldeborde, Contribution à la mise en œuvre de bureaux d’aide à l’insertion professionnelle dans les universités, giugno 2008, scaricabile all’indirizzo www.ladocumentationfrancaise.fr/rapports-publics/084000642/, scritto e pubblicato da un Gruppo di lavoro durante la direzione di Valérie Pécresse al Ministero dell’Educazione francese (2007-2011, durante la presidenza di Sarkozy). 73 Alcuni esempi: Association pour faciliter l’insertion des jeunes diplômés (Afij); Agence nationale pour l’emploi (Anpe); Confédération étudiante; Fédération des associations générales étudiantes (Fage). 74 Si consulti il sito www.onisep.fr. Da una prima comparazione, possiamo considerarlo un parente vicino del sito italiano “ClicLavoro”: le informazioni sono praticamente le stesse e uniscono informazioni pratiche ad articoli di taglio giornalistico molto efficaci. 75 H. J. Beyer, Germania Federale, in Fondazione Rui, L’orientamento e il counselling nelle università della Comunità europea, op. cit., pp. 89-99.

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emendata nel 2004. All’articolo 14 della Hrg viene dichiarato che gli istituti di istruzione superiore devono informare gli studenti sulle disponibilità di corsi di studio e sui contenuti, struttura e requisiti per accedere agli stessi; devono, inoltre, assistere gli studenti durante tutta la durata del corso per far capire loro se sono adatti a frequentarlo. Infine, alla conclusione del primo anno di studi, chi si occupa di orientamento deve valutare il percorso professionale compiuto dallo studente e consigliarne o meno il proseguimento. Oggi, in Germania, ogni università ha un ufficio dedicato all’orientamento durante il corso degli studi; negli ultimi anni, grazie anche alla collaborazione con l’Agenzia federale per il lavoro (Bundesagentur für Arbeit), sono state avviate anche attività di orientamento professionale. Nelle università, ad esempio, sono stati introdotti i tirocini all’interno del percorso di studi (Studienbegleitendes Praktikum) che sono opzionali e che offrono maggiori possibilità agli studenti che li frequentano di trovare in poco tempo un posto di lavoro. L’aggiunta dell’orientamento professionale a quello strettamente universitario è stata una necessaria conseguenza della collaborazione con le imprese territoriali, che vedono nelle università il partner necessario per la loro sopravvivenza. Gli studenti internazionali che optano per andare a lavorare in Germania possono frequentare l’Anerkennungspraktikum, un semestre di tirocinio in azienda a conclusione di un corso di specializzazione teorico-pratico che può essere svolto anche al di fuori delle università e che consente di ottenere il riconoscimento di una qualifica professionale già posseduta dallo studente in quanto ottenuta nel proprio Paese. Le Fachhochschulen da più di quarant’anni76 offrono una formazione superiore alternativa rispetto alla tradizionale formazione universitaria, dapprima breve e oggi più applicativa e professionalizzante. La loro crescita esponenziale le ha fatte diventare in pochi anni il principale canale professionalizzante nel settore dell’istruzione terziaria, con un’intensa attività didattica e di ricerca applicata. 76 Sono state istituite nell’anno accademico 1970-71 a seguito di un accordo stipulato nel 1968 tra gli stati federali della Germania Ovest. Si veda il contributo di F. Corradi, Fachhochschulen: lo stato della questione oggi, in D. Checchi (guest editor), Scuola Democratica – Learning for democracy, Special Issue: Education, Occupazione, Crescita, n. 2, maggio/agosto 2013, pp. 401-420.

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L’orientamento professionalizzante di queste università è concentrato nel Praxissemester, un periodo di formazione on the job svolto di solito alla fine dei corsi di livello base (primo anno), che dura minimo venti settimane, distribuite in uno o due semestri e che si conclude con un esame. Strumenti come il Praxissemester hanno aiutato gli studenti a trovare facilmente lavoro e hanno mantenuto basso il tasso di disoccupazione77 per i laureati delle Fachhochschulen rispetto ai laureati delle normali università78. 2.5 Spagna Come in altri Paesi europei, l’orientamento professionale in Spagna si sviluppa agli inizi del Novecento su un piano psicopedagogico79. Il primo ente istituito a questo scopo fu l’Instituto Nacional de Orientación Profesional, sorto in Catalogna nel 1935. Dopo la guerra civile spagnola e sotto il regime franchista vennero alla luce i Servicios de Orientación Profesional, di carattere marcatamente psicologico, che si occupavano di offrire risposte agli interessi professionali dei soggetti che vi si rivolgevano. Durante gli anni Sessanta e i primi anni Settanta, infatti, l’orientamento professionale era considerato un compito specifico dei centri per l’impiego che non poteva coinvolgere le università e, in generale, tutto il sistema della formazione universitaria. Solo nel 1970, a livello legislativo, ci fu il primo riconoscimento integrativo dell’orientamento professionale all’interno del sistema educativo spagnolo: ogni istituto di scuola secondaria era invitato a dotarsi o di un sistema valutativo del rendimento scolastico o di vari servizi di orientamento educativo e professionale. Così veniva esplicato il valore dell’orientamento professionale: «Dovrà essere un servizio continuato durante tutto il percorso di studi, dovrà esaminare con attenzione le capacità, le attitudini e la

77 Ivi, p. 413. 78 M. Klumpp, U. Teichler, German Fachhochschulen. Towards the End of a Success Story?, in J. S. Taylor, J. B. Ferreira, M. L. Machado, R. Santiago (a cura di), Non-University Higher Education in Europe, Springer, Dordrecht 2008, pp. 96-119. 79 J. Puig, E. Repetto, V. Rus, Orientación educativa e intervención Psicopedagógica, Uned, Madrid 1998. Un contributo di facile lettura è quello di C. Sànchez Mendias, Evolución histórica de la orientación académica y profesional en España: servicios, necesidades, agentes, demandantes y niveles de intervención, in “Educaweb. com”, 8 febbraio 2010, http://www.educaweb.com/noticia/2010/02/08/evolucion-historica-orientacion-academica-profesional-espana-servicios-necesidades-agentes-demandantes-niveles-intervencion-4073/.

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vocazione degli alunni e dovrà facilitare la loro scelta in modo cosciente e responsabile»80. In particolare, dal 1972 sorsero in ogni struttura uffici dedicati a questo servizio (Departamentos de orientación actuales) e furono istituiti molti corsi di orientamento universitario (Cou - Cursos de Orientación Universitaria), con la finalità di indicare allo studente la facoltà più adatta alle proprie capacità e aspirazioni professionali81. La Ley Organica 1/1990 del 3 ottobre 1990 e, soprattutto, la Ley Organica 2/2006 del 3 maggio 2006, inserirono in modo stabile l’orientamento professionale nelle attività di formazione sia della scuola secondaria che dell’università. Per il sistema di istruzione superiore si iniziò a parlare di “orientación vocacional” solo a partire da quest’ultima legge, in considerazione del fatto che gli studenti universitari non erano in grado di superare le proprie indecisioni e insicurezze soltanto mediante la frequentazione dei corsi di studio. Nacquero, così, in breve tempo i Servicios de Orientación e información del empleo e i Servicios de Orientación profesional, con la finalità di mettere in contatto diretto studenti e aziende. Non si può, a rigore, parlare esattamente di un servizio placement. Le università spagnole non hanno un ufficio simile a quello già analizzato per l’Italia e per la Francia. Tali uffici, presenti nelle due definizioni già citate in base a criteri di scelta propri delle singole università, svolgono anch’essi attività di intermediazione mediante la pubblicazione di curricula e offerte di lavoro, ma effettuano un servizio generale di informazioni sul mercato del lavoro senza scendere troppo nel particolare e senza dare troppo peso alla formazione professionale. È un dato di fatto che in Spagna la tendenza è a scindere le due realtà: l’università è maggiormente adatta ad attività di formazione classica e di ricerca, mentre altre strutture sono maggiormente dedicate alla formazione professionale. Una cosa è certa: secondo gli studiosi, i due sistemi (accademico-didattico e la vocational education) dovrebbero provare a integrarsi reciprocamente, mantenendo però la loro caratteristica di base82.

80 Art. 9 della Ley 14/1970 del 4 agosto 1970. 81 S. Romero, Orientacion para la transicion. De la escuela a la vida activa, Laertes, Barcelona 1999. 82 P. Pineda, Una Universidad se dirige hacia la agencia de colocación, in “Revista El Observador”, 14 novembre 2011, http://www.revistaelobservador.com/2-uncategorised/5397-una-universidad-que-se-dirige-hacia-la-agencia-de-colocacion.

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Quest’ultimo punto è ben rimarcato nella Ley Organica 5/2002 del 19 giugno 200283 che, agli articoli 14, 15 e 15bis, definisce l’informazione e l’orientamento professionale come attività dedicata a «informare sulle opportunità di accesso al lavoro, sulle possibilità di acquisizione, valutazione, accreditamento di competenze e titoli professionali, informare sulla presenza di percorsi formativi che facilitino l’inserimento o il reinserimento lavorativo, così come la mobilità professionale nel mercato del lavoro». Tra le strutture che possono istituire servizi di informazione e orientamento professionale vengono genericamente elencate tutte le Administraciones publicas locali e delle Comunità Autonome, e si autorizza il Governo a porre in essere un sistema integrato di informazione e orientamento professionale, attraverso la creazione di reti e piattaforme informatiche adatte allo scopo. Anche se quasi tutte le università spagnole oggi hanno un ufficio competente per questo tipo di attività, negli ultimi anni sono nate moltissime Agencias de Colocación pubbliche e private che svolgono il ruolo di intermediari tra le persone e le aziende84. Tali Agenzie rispondono alla grave crisi occupazionale che ha colpito la Spagna tra il 2008 e il 2010 e si rivolgono a persone singole, imprenditori e università pubbliche in modo da facilitare l’accesso ad attività che possano migliorare le possibilità di occupazione85. Il monitoraggio sull’occupabilità dei giovani è compito del Consejo de la Juventud de España86, piattaforma creata con la Ley 18/1983 del 16 novembre 1983 che, attraverso le pubblicazioni annuali del suo Observatorio de Empleo, permette di far conoscere da diverse prospettive i vari aspetti collegati all’occupazione degli studenti universitari che viene svolta dagli uffici dedicati a questo compito all’interno degli atenei.

83 Rubricata come Ley “de las Cualificaciones y de la Formación Profesional”. 84 Il regolamento delle Agenzie di Collocamento è contenuto nel Real Decreto del Ministero de Trabajo e Inmigración n. 1796/2010 del 30 dicembre 2010, pubblicato nel Boletín Oficial del Estado del 31 dicembre 2010, pp. 109404-109415. 85 Ecco alcuni esempi di agenzie nate negli ultimi cinque anni, che tra i propri “clienti” annoverano alcune università spagnole: Agencia Privada de Colocación, creata dall’Aupex - Asociación Regional de Universidades de Extremadura; Adagcre - Asociación Nacional de Agencias de Colocación y Recolocación; Anac - Asociación Nacional de Agencias de Colocación. 86 www.cje.org.

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3. Il contributo dell’Unione europea al placement dei laureati: politiche a favore dell’occupazione per i Paesi membri 3.1 La disoccupazione giovanile in Europa: statistiche degli ultimi 5 anni Il tasso di disoccupazione giovanile nell’Europa a 28 Stati, che sin dal 2000 si attestava al 18%, ha avuto una leggera flessione fra il 2005 e il 2007 arrivando al minimo storico del 15,7%. In seguito all’inizio della crisi economica, a partire dal secondo trimestre del 2008 il tasso di disoccupazione giovanile ha assunto una costante tendenza al rialzo, con un picco al 23,6% nel primo trimestre del 2013, prima di retrocedere al 23,1% alla fine dell’anno. Uno dei Paesi più colpiti dalla crisi è la Spagna, passata dal 24,5% del 2008 al 55,5% del 2013. La Grecia, oltre ad essere attualmente il Paese con il tasso di disoccupazione più alto (58,3% alla fine del 2013), è anche quello con il rialzo più significativo negli ultimi 5 anni (nel 2008 il tasso di disoccupazione giovanile era al 21,8%). I tassi di disoccupazione riflettono le difficoltà incontrate dai giovani nella ricerca di posti di lavoro. Questo fenomeno comporta due risultati strettamente connessi alla crisi economica: 1) gli studenti ritardano l’ingresso nel mercato del lavoro; 2) diminuisce il numero degli studenti che lavorano mentre studiano. Se il trend della disoccupazione giovanile continua ad aumentare nei singoli Paesi, il compito dell’Unione europea è principalmente quello di aiutare gli Stati membri a fermare questo fenomeno che tende a influenzare negativamente anche il settore economico. Rimanendo, infatti, di più all’università senza lavorare e senza cercare un’occupazione, il peso della formazione degli studenti ricade tutto sulle famiglie, costrette a spendere cifre ingenti. Se le famiglie spendono di più per la formazione dei figli, esse tendono a risparmiare dove possibile, producendo un abbassamento dei consumi e, di conseguenza, una riduzione della produzione. Le statistiche sulla transizione scuola-lavoro sono più ottimistiche, ma tendono ad agganciarsi alle statistiche sulla disoccupazione. Nel 2009 il periodo di passaggio dall’educazione formale al primo impiego era all’incirca di 6 mesi e mezzo; tre anni dopo, il periodo si è allungato a circa un anno in Paesi quali Danimarca, Olanda e Germania. Nei Paesi più colpiti dalla crisi (Portogallo, Spagna, Italia, Cipro e Grecia) il passaggio dall’istruzione al lavoro dura quasi dieci anni.

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Proprio il 2009, con le difficoltà nell’inserimento occupazionale dei giovani laureati e l’aumento del tasso di disoccupazione, è stato l’anno di riferimento durante il quale l’Unione europea ha preso maggiormente coscienza del fatto che occorreva fare qualcosa per invertire la rotta e cercare di arginare l’ascesa di questo fenomeno. Nella sua visione sociale, l’Ue ha posto i giovani, in quanto futuro capitale umano, come priorità assoluta di tutte le azioni e i programmi in corso di definizione. A novembre del 2009 un Consiglio dei ministri della Gioventù aveva elaborato una prima strategia (EU Youth Strategy for 2010-2018) che poneva due obiettivi generali: 1) prevedere maggiori opportunità di accesso per i giovani all’istruzione e al mercato del lavoro; 2) promuovere la cittadinanza attiva e l’inclusione sociale per tutti i giovani. L’implementazione della strategia venne affidata alla cooperazione volontaria fra Paesi membri mediante l’Omc - Open Method of Coordination, linee guida che vennero pubblicate qualche mese dopo e che definivano i meccanismi di cooperazione con cui arrivare alla creazione di condizioni maggiormente favorevoli ai giovani, in grado di svilupparne le competenze, aumentarne il potenziale, offrire loro più posti di lavoro e ampliarne la partecipazione attiva nella società87. 3.2 L’occupazione nella strategia Europa 2020 Il contenuto della strategia elaborata a novembre 2009 è stata pienamente recepita all’interno della strategia Europa 202088, adottata nel giugno 2010. Europa 2020 è la strategia decennale per la crescita e l’occupazione che non mira soltanto a superare la crisi, ma vuole anche colmare le lacune del modello di rafforzamento del capitale umano dell’Ue e creare le condizioni per una crescita più intelligente, sostenibile e solidale.

87 Eurostat, Youth unemployment, Eurostat Statistics Explained, luglio 2014, http://epp.eurostat.ec.europa.eu/ statistics_explained/index.php/Unemployment_statistics. 88 «La strategia Europa 2020 punta a rilanciare l’economia dell’Ue nel prossimo decennio. In un mondo che cambia l’UE si propone di diventare un’economia intelligente, sostenibile e solidale. Queste tre priorità che si rafforzano a vicenda intendono aiutare l’Ue e gli Stati membri a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. In pratica, l’Unione si è posta cinque ambiziosi obiettivi – in materia di occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale e clima/energia – da raggiungere entro il 2020. Ogni Stato membro ha adottato per ciascuno di questi settori i propri obiettivi nazionali. Interventi concreti a livello europeo e nazionale vanno a consolidare la strategia» (José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, alla presentazione della Strategia, Consiglio europeo informale dell’11 febbraio 2010).

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La strategia Europa 202089 mira a una crescita intelligente, grazie a investimenti più efficaci nell’istruzione, la ricerca e l’innovazione; sostenibile, grazie alla scelta a favore di un’economia a basse emissioni di CO2; solidale, ossia focalizzata sulla creazione di posti di lavoro e la riduzione della povertà. La strategia si basa su cinque obiettivi: occupazione, innovazione, istruzione, riduzione della povertà e cambiamenti climatici/energia. Nel settore dell’occupazione l’Ue ha individuato tre parole chiave per fermare il tasso di disoccupazione, sfruttare il capitale umano potenziale in formazione presso gli Stati membri e raggiungere l’obiettivo dell’innalzamento al 75% del tasso di occupazione (per la fascia di età compresa tra i 20 e i 64 anni) contenuto nella Strategia: istruzione e formazione di qualità, integrazione tra settore formativo e mercato del lavoro, mobilità dei giovani90. Per raggiungere l’obiettivo fondamentale in tema di occupazione, sono state lanciate tre iniziative principali a seguito dell’adozione di Europa 2020. Youth on the Move91 mira ad aumentare le opportunità di lavoro dei giovani, aiutando studenti e apprendisti ad acquisire un’esperienza professionale in altri Paesi e migliorando la qualità e attrattività dell’istruzione e della formazione in Europa. L’Agenda for new skills and jobs92 intende dare nuovo impulso alle riforme del mercato del lavoro, per aiutare le persone ad acquisire le competenze necessarie per le future professioni, creare nuovi posti di lavoro e rivedere il diritto del lavoro europeo. La Platform against Poverty and Social Exclusion93, inaugurata alla fine del 2010, ha il compito di stimolare a tutti i livelli gli sforzi per conseguire l’obiettivo di liberare almeno 20 milioni di persone dalla povertà e dall’emarginazione entro il 2020. Accanto alle iniziative sopra descritte, per raggiungere i risultati della strategia prima del 2020, l’Ue si avvale in modo più efficiente dell’intera gamma di politiche e strumenti “trasversali”, quali: il mercato unico; il bilancio dell’Ue e i Fondi strutturali (Fondo sociale, Fondo di coesione e

89 http://ec.europa.eu/europe2020/index_it.htm. 90 Eurostat, School-to-work transition statistics, Eurostat Statistics Explained, settembre 2012, http://epp.eurostat. ec.europa.eu/statistics_explained/index.php/School-to-work_transition_statistics. 91 http://ec.europa.eu/youthonthemove/index_en.htm. 92 http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=568. 93 http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=751.

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Fondo di sviluppo regionale); gli strumenti di politica estera e di coordinamento tra Paesi membri e Paesi terzi. Nel corso degli anni, l’Unione europea ha introdotto il tema della crescita sostenibile e dell’aumento delle opportunità di lavoro per i giovani con altri due programmi: Erasmus Placement e Youth Guarantee, uno dedicato più alla formazione e l’altro alla ricerca della prima occupazione. Nelle conclusioni di una riunione del Consiglio dell’Unione europea su Istruzione, Gioventù, Cultura e Sport (maggio 2012) c’è un passaggio che sembra utile menzionare per mostrare come il problema della mancanza di occupazione per i giovani sia al centro di tutte le politiche europee e di come esso inglobi altri aspetti della vita dei cittadini europei: «L’attuale crisi economica accentua l’importanza della transizione studio-lavoro. Garantire che i giovani escano dagli anni d’istruzione e formazione con il miglior supporto possibile per ottenere il loro primo lavoro è fondamentale. Nei giovani che devono affrontare la disoccupazione o una transizione lenta possono verificarsi effetti negativi nel lungo periodo in termini di futuro successo nel mercato del lavoro, guadagni o nella decisione di formare una famiglia. Ciò potrebbe a sua volta compromettere l’investimento pubblico e privato nella loro istruzione e formazione, che si traduce in una perdita per la società nel suo complesso. Ciò è particolarmente vero nel contesto delle sfide demografiche, che hanno messo ulteriore pressione sulla sempre più bassa capacità dei giovani europei di integrarsi rapidamente ed efficacemente nel mercato del lavoro»94. 3.3 Erasmus Placement Poiché il problema della disoccupazione giovanile è legato soprattutto alla fascia d’età 15-29 anni, l’Unione europea ha inserito le priorità della strategia Europa 2020 in tutti i programmi finanziati con fondi diretti e indiretti. In alcuni casi, come quello preso in esame nel presente paragrafo, l’Ue si è dimostrata capace di anticipare le problematiche, inserendo l’attenzione verso il capitale umano del futuro all’interno dei suoi programmi più conosciuti ed essenzialmente strategici. 94 Council of the European Union, Council conclusions on the employability of graduates from education and training, 3164th Education , Youth, Culture and Sport Council Meeting, Bruxelles, 2012, http://www.consilium. europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/educ/130142.pdf.

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Sin dal 1987, il Programma Erasmus ha consentito a quasi tre milioni di studenti la possibilità di svolgere un periodo di studi all’estero. Ha valorizzato il ruolo della mobilità dei giovani universitari nel processo di integrazione europea e restituito importanza alle politiche educative comunitarie, messe in secondo piano dalle decisioni relative alla libera circolazione di merci, servizi e capitali95. Se nei primi anni del Programma ci si era concentrati soprattutto sulla mobilità per motivi di studio, lo sviluppo successivo di Erasmus ha comportato una riflessione sull’ipotesi di prevedere la mobilità anche per motivi di studio e lavoro congiunti. La decisione di inaugurare Erasmus Placement dall’anno accademico 2007-2008 è stata accolta con interesse dai Paesi membri dell’Ue, perché può mettere in relazione il mondo accademico con quello delle imprese. Erasmus Placement, che è entrato a far parte del nuovo programma Erasmus+ nella Key Action 1 (Mobilità individuale ai fini dell’apprendimento – Mobility for youth workers), prevede l’accesso degli studenti Erasmus a tirocini presso imprese, centri di formazione e ricerca (ma non istituzioni europee o organizzazioni che gestiscono programmi europei) presenti in uno dei Paesi membri che partecipano al Programma96. L’obiettivo di Erasmus Placement è di far acquisire allo studente le competenze specifiche della sua futura professione, nonché una migliore comprensione della cultura socio-economica del Paese ospite. Per ottenere ciò, lo studente potrà usufruire, prima della partenza, di corsi di perfezionamento nella lingua del Paese di accoglienza o nella lingua di lavoro. Oltre agli studenti, la mobilità per fini di tirocinio viene consigliata anche allo staff delle università, in modo da potersi confrontare con le problematiche relative all’accesso degli studenti o alla cooperazione internazionale o alla collaborazione con il mondo delle imprese negli atenei internazionali. L’idea è sempre la stessa: svolgere un tirocinio formativo di buon livello e apprendere una cultura diversa dalla propria, nello stile consolidato del programma Erasmus97.

95 M. L. Marino, Auguri Erasmus! Da 25 anni cambia le vite e apre le menti, in “Universitas” (www.rivistauniversitas.it), febbraio 2012, http://www.rivistauniversitas.it/Articoli.aspx?IDC=2475. 96 Per maggiori informazioni si rinvia al cap. 4 del presente volume. 97 D. Gentilozzi, Erasmus Placement: primi dati e prime certezze, in “Universitas”, ottobre 2009, http://www.rivistauniversitas.it/Articoli.aspx?IDC=1228.

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3.4 European Youth Guarantee Mentre Erasmus Placement è considerato lo strumento per acquisire capacità e competenze maggiori mediante un periodo di tirocinio all’estero, European Youth Guarantee entra più nello specifico, in quanto predispone concrete opportunità di occupazione per giovani rigorosamente senza lavoro, mediante un percorso personalizzato. European Youth Guarantee è un’iniziativa lanciata dalla Commissione europea nel 2011, di cui è stata ribadita la necessità di attivazione all’interno delle raccomandazioni del Consiglio dell’Unione europea del 22 aprile 2013. Interessa analizzarla in questa sede in quanto rientra nell’iniziativa più generale Youth on the Move che, come è stato già detto, rientra a sua volta nella strategia Europa 2020. Obiettivo della Garanzia per Giovani Europei è la lotta alla disoccupazione giovanile: per i Paesi membri con tassi di disoccupazione superiori al 25% sono stati previsti finanziamenti da investire in politiche attive di orientamento, istruzione e formazione e inserimento al lavoro, a sostegno dei giovani che non sono impegnati in un’attività lavorativa, né inseriti in un percorso scolastico o formativo (Neet - Not in Education, Employment or Training). La “garanzia” prevede che la persona aderente al programma, entro quattro mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscita dal sistema d’istruzione formale, riceva un’offerta qualitativamente valida di lavoro o, nel caso ciò non accada, una concreta occasione per proseguire gli studi, l’avviamento di un tirocinio, l’apprendistato, un corso di formazione professionale. Non un parcheggio, dunque, ma un percorso ben definito che consenta al giovane di inserirsi in una prospettiva di lavoro. Un ruolo chiave è affidato ai Servizi per l’impiego, che fungono da interfaccia e coordinamento con le istituzioni formative e il mondo del lavoro98. L’Italia ha presentato regolarmente un Piano di attuazione e il 15 gennaio 2014 è stata inserita dalla Commissione europea nella lista di Paesi che hanno adempiuto a tutte le operazioni preventive allo stanziamento di fondi (530 milioni di euro)99. 98 F. Giubileo, F. Pastore, Una garanzia europea per i giovani, in “Lavoce.info”, 11 giugno 2013, http://www.lavoce. info/una-garanzia-europea-per-i-giovani/. 99 In arrivo 530 milioni dall’Ue per l’attuazione del programma Youth Guarantee in Italia, in “Universitas”, 24 gennaio 2014, http://www.rivistauniversitas.it/articoli.aspx?IDC=3126.

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Il 20 febbraio 2014 il Governo italiano ha sottoscritto con le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano l’Accordo Linee guida regionali sulla piattaforma tecnologica di supporto alla Garanzia Giovani e, tre mesi dopo, ha attivato il portale ufficiale in lingua italiana100. La partecipazione dei giovani italiani non si è fatta attendere: al 4 settembre 2014 sono registrati al portale 179.439 giovani (53% uomini, 47% donne), 97.793 al portale nazionale e 81.646 ai portali regionali. La regione con più iscritti è la Sicilia (31.879), seguita da Campania (25.713), Lazio (12. 439), Puglia (11.743) e Veneto (11.298). Per quanto riguarda il titolo di studio, i registrati al portale sono soprattutto diplomati (56%) mentre laureati e titolari di licenza media o inferiore sono sullo stesso piano (rispettivamente 21% e 23%)101. Il monitoraggio fatto a livello nazionale valuta anche le attività realizzate dalle singole Regioni. Punto critico del programma, almeno fino a questo momento, è la crisi irreversibile che stanno avendo i Servizi per l’impiego e il mondo delle imprese italiane: non ci sono abbastanza imprese per consentire l’inserimento occupazionale di tutti i disoccupati; i Servizi per l’impiego dispongono di strutture limitate e svolgono un monitoraggio del lavoro limitato alla propria provincia; c’è carenza di personale all’interno delle strutture; i compiti amministrativi e burocratici sono preponderanti e di difficile risoluzione102. La volontà di porre un freno alla disoccupazione è, dunque, un problema che l’Unione europea sta affrontando con vari mezzi a disposizione e, soprattutto, con l’aiuto degli Stati membri. Per vedere l’effetto concreto della Youth Guarantee probabilmente dovremo aspettare un paio d’anni. Sulla base dei risultati del monitoraggio italiano, incrociati con i dati europei, l’Ue potrà prendere altre decisioni e confermare o meno il raggiungimento dei risultati previsti nella strategia Europa 2020. 3.5 Rete Eures – Programma Cosme Concludiamo la rassegna europea con due servizi più vicini al mondo del100 http://www.garanziagiovani.gov.it/Pagine/default.aspx. 101 17° Report settimanale – Aggiornamento al 4 settembre 2014, nella sezione “Monitoraggio e Valutazione” del portale italiano della Garanzia Giovani, http://www.garanziagiovani.gov.it/Monitoraggio/Pagine/default.aspx. 102 F. Giubileo, F. Pastore, op. cit.

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le imprese, svincolati dal mondo accademico ma rientranti sempre nell’attuazione di una politica europea di aiuto al cittadino per fermare il flusso di disoccupati in Europa e stimolare la crescita professionale dei giovani. La rete Eures - European Employment Service esiste dal 1993 e collega la Commissione europea con i servizi pubblici per l’impiego dei Paesi appartenenti allo Spazio economico europeo (i Paesi dell’Ue più Norvegia, Islanda e Lichtenstein), la Svizzera e altre organizzazioni partner. In Europa ci sono più di 850 consulenti Eures che ogni giorno sono in contatto con persone alla ricerca di un impiego e datori di lavori in tutta Europa: forniscono servizi ai lavoratori e ai datori di lavoro, nonché a tutti i cittadini che desiderano avvalersi del principio della libera circolazione delle persone. I servizi prestati sono di tre tipi: informazione, consulenza e assunzione/collocamento (incontro domanda/offerta). In particolare, il servizio di consulenza sull’occupazione viene offerto principalmente sia ai lavoratori che ai datori di lavoro, consentendo ai primi di cercare lavoro nel Paese prescelto e ai secondi di selezionare personale oltre il territorio nazionale. Eures ha un ruolo particolarmente importante da svolgere nelle regioni europee transfrontaliere, in quanto risponde alle esigenze di informazione e aiuta a risolvere tutti i problemi legati al pendolarismo transfrontaliero che possono toccare lavoratori e datori di lavoro103. L’Unione europea ha lanciato anche Cosme104, il nuovo programma di sostegno alle Pmi per il periodo 2014-2020, che idealmente prosegue le attività inserite nell’attuale programma quadro per la competitività e l’innovazione (Cip). Cosme, che ha una dotazione finanziaria di 2,5 miliardi di euro, ha l’obiettivo di incrementare la competitività delle Pmi sui mercati, anche internazionali, sostenendo l’accesso ai finanziamenti e incoraggiando la cultura imprenditoriale, inclusa la creazione di nuove imprese. Si concentrerà sugli strumenti finanziari e sul sostegno all’internazionalizzazione delle imprese e sarà semplificato per agevolare la partecipazione delle piccole imprese. In particolare, il nuovo programma si rivolge a: imprenditori, soprattutto Pmi, che beneficeranno di un accesso agevolato ai finanziamenti per le 103 Si rinvia al cap. 4 del presente volume per un’analisi approfondita del portale web di Eures. 104 http://ec.europa.eu/enterprise/initiatives/cosme/index_en.htm.

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proprie imprese; cittadini che desiderano mettersi in proprio e devono far fronte alle difficoltà legate alla creazione o allo sviluppo della propria impresa; autorità degli Stati membri che riceveranno una migliore assistenza nell’elaborazione e attuazione di riforme politiche efficaci. Vediamo di seguito gli obiettivi generali del programma. Migliorare l’accesso ai finanziamenti destinati alle Pmi sotto forma di capitale o debito. Innanzitutto, uno strumento di capitale proprio per gli investimenti in fase di sviluppo fornirà alle Pmi, tramite intermediari finanziari, finanziamenti di capitale proprio rimborsabili ad orientamento commerciale, principalmente sotto forma di capitale di rischio. In secondo luogo, uno strumento di prestito prevederà accordi di condivisione dei rischi diretti o di altro tipo con intermediari finanziari per coprire i prestiti destinati alle Pmi. Agevolare l’accesso ai mercati sia dell’Unione che mondiali. Servizi di sostegno alle imprese orientate alla crescita, tramite la rete Enterprise Europe, per favorirne l’espansione commerciale nel mercato unico. Questo programma fornirà inoltre sostegno commerciale alle Pmi al di fuori dell’Ue. Non mancherà inoltre il sostegno alla cooperazione industriale internazionale, in particolare per ridurre le differenze nei contesti normativi ed imprenditoriali tra l’Ue e i suoi principali partner commerciali. Promozione dell’imprenditorialità. Le attività in questo settore comprenderanno lo sviluppo di abilità e attitudini imprenditoriali, in particolare tra i nuovi imprenditori, i giovani e le donne. Si prevede che il programma assisterà circa 39.000 imprese all’anno, aiutandole a creare o a salvare 29.500 posti di lavoro e a lanciare 900 nuovi prodotti, servizi o processi commerciali. L’accesso al credito sarà più facile, specie per gli imprenditori che desiderano avviare attività transfrontaliere, con 3,5 miliardi di prestiti e investimenti aggiuntivi previsti per le imprese europee. Dei 2,5 miliardi di euro di dotazione finanziaria per l’attuazione del programma, 1,4 miliardi saranno destinati agli strumenti finanziari. L’Ue sottolinea infine, ancora una volta, l’importanza per le Pmi di unirsi in reti di imprese: il restante bilancio sarà impiegato per finanziare l’Enterprise Europe Network105, ossia la rete tra imprese europee, la coope105 http://een.ec.europa.eu/. Il sito italiano è http://www.enterprise-europe-network-italia.eu/.

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razione internazionale fra le industrie e l’educazione all’imprenditorialità, compreso l’avvio di nuove realtà imprenditoriali. L’idea è di accompagnare gli aspiranti imprenditori nello sviluppo del proprio progetto e aiutare le autorità degli Stati membri a definire appropriate politiche economiche di sostegno all’attività imprenditoriale. 4. Orientamento al lavoro nei collegi universitari di merito legalmente riconosciuti dal Miur 4.1 Il ruolo dei collegi universitari nella formazione umana e professionale dei propri residenti per il lavoro del futuro106 Nel panorama dell’orientamento al lavoro e alla professione svolto dalle università di concerto con il mondo delle imprese, una parte non irrilevante nella formazione umana e professionale dei giovani studenti universitari è svolta anche dai collegi universitari legalmente riconosciuti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, la cui natura giuridica si fonda sull’art. 191 del Regio Decreto 31 agosto 1933 n. 1592, Testo Unico dell’Istruzione superiore107. I collegi universitari legalmente riconosciuti sono istituzioni di natura giuridica privata che esercitano funzioni di interesse pubblico108 delle quali il Miur riconosce l’importante ruolo svolto nell’attuazione del diritto allo studio. Contribuiscono ad ampliare e integrare l’offerta formativa universitaria mediante la realizzazione di progetti educativi personalizzati destinati alla crescita – libera e responsabile – intellettuale, professionale e umana degli studenti residenti nelle strutture di loro pertinenza: il loro modello

106 Questa parte del volume prende spunto dai tre Rapporti annuali della Conferenza dei Collegi Universitari pubblicati nel 2005, nel 2007 e nel 2009, consultabili in schede sintetiche nel sito della Ccum (www.collegiuniversitari.it). 107 «[…] le Opere e le Fondazioni che hanno per fine l’incremento degli studi superiori e l’assistenza nelle sue varie forme agli studi nelle Università e negli Istituti di Istruzione Superiore, sono sottoposte alla vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione». Tale norma legittima, quindi, anche istituzioni non statali a promuovere l’acceso agli studi superiori. 108 Nel 1997 i collegi hanno costituito la Conferenza permanente dei Collegi Universitari (Ccu) e nel 2012, a Roma, la Conferenza si è costituita in Associazione, con l’approvazione contestuale dello Statuto: l’Associazione dei Collegi, ora ufficialmente “di merito” (Ccum - Conferenza dei Collegi Universitari di Merito) è l’organo che oggi riunisce e rappresenta, presso le istituzioni e i gruppi di interesse, 14 enti che gestiscono in totale 47 collegi di merito su tutto il territorio nazionale.

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interdisciplinare, infatti, pone al centro lo studente in quanto persona capace di sviluppare senso critico e di responsabilità. I collegi promuovono e potenziano, in dimensione internazionale, forme di collaborazione con l’università e di collegamento con la società civile, con un’attenzione particolare alla formazione delle competenze trasversali (soft skills) funzionali anche al futuro inserimento dello studente nel mondo del lavoro109. Il compito formativo dei collegi universitari non si esaurisce nel momento in cui lo studente ottiene il titolo di studio: già durante gli anni di vita in residenza, viene elaborato un percorso di formazione professionale volto all’orientamento “in uscita” verso il mondo del lavoro. La collaborazione sempre più attenta con il mondo del lavoro si è concretizzata, negli ultimi anni, nell’organizzazione di master e di incontri di orientamento al lavoro, nell’offerta di stage e tirocini formativi e nella segnalazione di opportunità professionali. Molte aziende si rivolgono ai collegi per selezionare neolaureati, sapendo che da queste strutture escono giovani che hanno preparazione, serietà e impegno non solo connaturati, ma anche affinati dall’esercizio e dallo svolgimento di attività pratiche propedeutiche all’inserimento professionale. In questo contesto, l’orientamento al lavoro è già un avviamento alla professione, con attività specifiche in base al corso di studi frequentato dallo studente e con un’attenzione ai possibili sbocchi professionali110. Oltre il 70% dei collegi si occupa di orientamento al lavoro e alcuni offrono un vero e proprio servizio di placement. Le attività di orientamento hanno visto l’attivazione di un migliaio di stage negli ultimi cinque anni e hanno coinvolto duecento aziende nei programmi specifici dedicati all’inserimento dei laureati. In molti casi i singoli enti che gestiscono collegi universitari hanno partecipato, in passato, a jobfair come Brain at Work o ad iniziative locali periodiche come i Career Day organizzati anche dalle università territoriali di riferimento. Infine, gli ex-residenti (alumni) tornano spesso nei collegi che li hanno visti crescere come “facilitatori” per il futuro inserimento degli studenti agli ultimi anni di corso e dei neolaureati.

109 Cfr. il cap. 3 del presente volume. 110 M. Cinque, Soft Skills in action. Halls of residence as centres for life and learning, EUCA - European University College Association, Bruxelles 2012, http://www.euca.eu/it/prs/soft-skills-in-action.aspx.

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4.2 Strumenti per l’orientamento professionale dei residenti nei collegi universitari: coaching, mentoring, tutoring, case study, visite alle aziende Quando si parla di orientamento nei collegi, non si vuole definire essenzialmente una politica di attrazione di nuovi studenti, ma un concreto accompagnamento durante il corso di studi e una guida verso il mondo del lavoro. Si è già visto nel paragrafo precedente in cosa consistano le attività di orientamento al lavoro più comuni all’interno dei collegi universitari, molto simili a quelle svolte dalle università in collaborazione con imprese e aziende territoriali. In questo paragrafo si passano sinteticamente in rassegna le attività di orientamento umano e professionale che supportano lo studente di un collegio nella prosecuzione degli studi e nell’inserimento professionale più adeguato alle proprie capacità e competenze. Coaching Il coaching viene definito come l’arte di favorire o accelerare un cambiamento personale. Il termine inglese coach, da cui deriva l’attività qui presa in esame, significa carrozza o vagone, un mezzo di trasporto, metafora di un viaggio alla scoperta delle proprie capacità o da una situazione a un’altra del tutto nuova. Coach, però, nel gergo sportivo è anche l’allenatore che sprona dalla panchina i ragazzi durante una partita. Nella situazione di base, la persona che ha bisogno di coaching (il coachee) vede come opportuno o desiderabile un cambiamento personale nella propria vita; il coach non prende decisioni al posto suo, ma lo aiuta a capire esattamente dove vuole arrivare, ad assumere consapevolezza degli strumenti a disposizione per operare un cambiamento, a progettare le tappe del percorso. Questo strumento sembra particolarmente adatto alle esigenze attuali dei giovani, in quanto aiuta a sviluppare il potenziale implicito nella persona e a rafforzare abiti positivi, che la scuola tradizionale o l’insegnamento universitario spesso non riescono a trasmettere. Il coaching, inoltre, può essere facilmente utilizzato al fine di consentire allo studente universitario di prepararsi alle sfide del mondo del lavoro giocando d’anticipo su ciò che gli servirà dopo qualche anno: orientando, cioè, il proprio cambiamento verso l’acquisizione o il rafforzamento delle capacità che il mondo del lavoro gli richiederà. Ponendosi l’obiettivo di sviluppare negli studenti le competenze

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necessarie a iniziare un lavoro professionale, la preparazione universitaria – prevalentemente informativa o intellettuale – viene completata dalla formazione allo sviluppo del potenziale e degli abiti comportamentali. I collegi, in questo modo, vanno a formare una serie di coachee bisognosi di sostegno (gli studenti universitari), nonché gli stessi coach presenti stabilmente all’interno delle residenze, ai quali gli studenti potranno sempre chiedere aiuto111. Mentoring Affine al coaching112, il mentoring deve il suo nome a Mentore, il personaggio dell’Odissea al quale Ulisse affidò il figlio Telemaco prima di partire per Troia con il compito di seguirlo e consigliarlo fino al suo ritorno. Il mentor, dunque, è un consulente di strategie di comportamento, nel medio e nel lungo periodo, relative alla carriera professionale. Generalmente è una persona con grande esperienza, che lavora nello stesso campo della persona che si rivolge a lui per una consulenza, in quanto è considerato un modello esperto. Mentre il coaching è un vero e proprio allenamento, il mentoring è una forma di consulenza d’indirizzo che si esaurisce nel momento in cui vengono forniti suggerimenti di indirizzo concreto per la propria attività e per la propria carriera professionale113. Tutoring L’altro strumento affine al coaching è il tutoring, che consiste in una relazione di aiuto per l’inserimento di una persona in una realtà nuova della quale il tutor ha già grande esperienza. Il tutor può aiutare l’inserimento in un nuovo ambiente professionale, scolastico o universitario. All’interno dei collegi, il tutor è uno studente più grande che ha già qualche anno di esperienza in residenza e che insegna al nuovo arrivato le regole da rispettare per vivere assieme, o il metodo migliore per studiare o adattarsi alla nuova realtà. Oltre all’aspetto prettamente universitario, nel caso di stage

111 M. Tucciarelli, F. Cassoli, Il coaching universitario per competenze. Principi, metodologia, esperienze, Ufficio Studi della Fondazione Rui, Franco Angeli, Milano 2009, pp. 43-50 e 85-89. 112 Per il rapporto fra coaching, competenze trasversali, soft skills e studi universitari, cfr. M. Tucciarelli, Coaching e sviluppo delle soft skills, Editrice La Scuola, Brescia 2014. 113 M. Tucciarelli, F. Cassoli, op. cit., pp. 90.

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predisposto dalle aziende per i residenti di un collegio, le funzioni di tutor saranno assolte da un ex-residente che lavora in quell’azienda, con il compito di aiutare l’ultimo arrivato a inserirsi nella realtà lavorativa non definitiva114. Per concludere e riassumere le tre figure sopra analizzate: il tutor insegna, il mentor orienta, il coach allena. L’elemento essenziale di questi tre strumenti è la relazione personale. Non sono psicoterapeuti, perché non fanno diagnosi e non prescrivono né praticano terapie. Non sono nemmeno consulenti specifici, in quanto non trattano situazioni critiche, ma forniscono aiuto in situazioni normali. Case study All’interno dei collegi è facile trovare gruppi di studenti che frequentano uno stesso corso di studi o una stessa facoltà. Come supporto alla didattica teorica fornita dall’università, il case study ha come obiettivo lo studio di casi pratici relativi alla materia che i residenti dovrebbero saper maneggiare con destrezza sia prima che dopo la laurea. Si distinguono, quindi, in: business case, legal case, medical case. La particolarità del case study sta nel portare lo studente a riflettere sulle conseguenze pratiche di una determinata azione in presenza di elementi scientifici, etici, bioetici, legali, etc. La finalità pratica è l’elaborazione di un percorso decisionale concreto da parte del singolo studente e la relazione, a volte conflittuale, con i pensieri e le decisioni da parte degli altri membri del gruppo, per arrivare alla mediazione delle opposte soluzioni e quindi ad un’unica conclusione115. Visite alle aziende Nei programmi di orientamento al lavoro, come detto al paragrafo 4.1, 114 Ivi, p. 91. 115 Il maggiore studioso dei case study è stato Robert K. Yin, il quale ha identificato tre tipi specifici di studi di caso: esplorativo, esplicativo, e descrittivo. I casi esplorativi sono talvolta considerati come un preludio alla ricerca, quelli esplicativi possono essere usati per indagini casuali, mentre quelli descrittivi richiedono il precedente sviluppo di una teoria descrittiva. Successivamente, Robert E. Stake ha introdotto altri tre tipi di studi di caso: intrinseco, quando il ricercatore ha un interesse nel caso; strumentale, quando il caso è utilizzato per comprendere più di ciò che è ovvio all’osservatore; collettivo, quando viene studiato un gruppo di casi. R. Yin, Applications of case study research, Sage Publishing, Newbury Park 1993; S. K. Soy, The Case Study as a Research Method, University of Texas, 1997, https://www.ischool.utexas.edu/~ssoy/usesusers/l391d1b.htm.

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le aziende sono state coinvolte in vari momenti. Il primo, precedente allo stage, è la visita in azienda, con un incontro diretto con manager di successo o con personale altamente qualificato. Negli anni i collegi universitari della Ccum hanno sviluppato una serie di collaborazioni con realtà molto importanti nel panorama italiano e internazionale, tra cui Accenture, Bain, McKinsey, Egon Zehnder International, Pricewaterhouse Coopers, Kpmg, Ernst & Young, Mediaset, Vodafone, Unicredit, Edison, Eni, Pirelli, Gruppo Angelini, AstraZeneca, Coca Cola, Averna, Microsoft, Ibm, Maserati e Fiat. 4.3 Casi pratici: servizi di orientamento e tutorato. La Fondazione Collegio delle Università Milanesi Per chi studia e risiede al Collegio di Milano116, campus inter-universitario di merito delle sette università milanesi (Milano Statale, Milano Bicocca, Politecnico, Vita-Salute San Raffaele, Cattolica, Bocconi e Iulm), la Fondazione Collegio delle Università Milanesi ha predisposto un servizio di orientamento universitario per la scelta professionale del futuro. A sostegno del progetto didattico complessivo, per lo studente sono previste anche alcune attività di tutorship, orientamento e counselling alla carriera. L’obiettivo generale è quello di aiutare gli studenti a produrre il proprio orientamento universitario, rielaborando i vari stimoli proposti dalle attività svolte in collegio, definendo con chiarezza un progetto professionale individuale secondo le proprie capacità per poi inserirsi con successo nel mondo del lavoro. Durante la permanenza nel Collegio di Milano lo studente viene sostenuto individualmente: nell’integrazione tra vita universitaria e vita nel Collegio; nella fase di orientamento verso scelte accademiche in Italia o all’estero in linea con le proprie aspettative, capacità e curriculum; nella preparazione delle application per i percorsi studi all’estero (Master e PhD) in inglese; nell’ingresso nel mercato del lavoro. In particolare gli studenti del Collegio possono usufruire di un percorso di studi in cui vengono trasmesse le informazioni base su come proporsi sul mercato del lavoro, con particolare enfasi a quello privato. Attraverso

116 http://www.collegiodimilano.it/web/guest.

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l’offerta di diversi casi ed esempi, è stato sviluppato un percorso che, dalla compilazione del curriculum vitae e della lettera di autopresentazione, passando dai canali di ricerca del lavoro, arriva fino ai colloqui e alle prove di selezione in generale. Successivamente, attraverso un counselling individuale lo studente è aiutato a individuare le scelte professionali coerenti con le sue potenzialità e caratteristiche personali, valorizzando i propri punti di forza e, quindi, il proprio curriculum. 4.4 Casi pratici: career service. La Fondazione Ceur La Fondazione Ceur ha introdotto in Italia il career service nel 1997 con un buon anticipo sui tempi, interpretando un’esigenza che si è poi rivelata cruciale, e lo ha gestito per conto dell’Università di Bologna per più di 10 anni. Lavorando con le aziende e con gli studenti dell’Ateneo, ha sviluppato quel patrimonio di conoscenze di cui ora beneficia Camplus (la rete delle residenze della Fondazione Ceur) e che è focalizzato sulle esigenze degli studenti. L’obiettivo principale di Camplus è valorizzare il talento di ogni studente attraverso un inserimento graduale nella cultura e nel mondo del lavoro e far emergere personalità, competenze, vocazione, quindi la professionalità. Attraverso il career service, Camplus costituisce un ponte fra il mondo universitario e quello del lavoro grazie a un percorso strutturato che permette a ogni studente di acquisire criteri e strumenti per vivere in prima persona, da protagonista, il proprio sviluppo formativo e lavorativo. In questo senso, lo staff del career service programma un calendario d’iniziative di orientamento professionale e attività di raccordo con il mondo aziendale. In Camplus si sviluppa una “cultura del lavoro” attraverso le iniziative – individuali e di gruppo – di orientamento professionale e di raccordo con il mondo aziendale proposte ogni anno dal career service: incontri con professionisti e ricercatori di settore, visite in azienda, workshop based learning, workshop on the job (simulazione di processo di selezione di gruppo), piani formativi ad hoc, tirocini curricolari, stage post laurea, tesi in azienda e colloqui individuali. Alla fine di questo percorso emerge lo studente ormai laureato in quanto persona, elemento che in azienda rappresenta il valore aggiunto117.

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Gli ex-studenti Camplus diventano parte integrante del progetto di orientamento al lavoro essendo costantemente coinvolti nei vari progetti formativi e spesso essi stessi organizzatori delle iniziative rivolte agli studenti Camplus118. 4.5 Lo sviluppo della cultura all’imprenditorialità: il concorso “Mimprendo Italia” La Conferenza dei Collegi Universitari di Merito e il Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria hanno messo a punto il programma Mimprendo Italia119: una competizione nazionale fra team multidisciplinari di studenti impegnati a sviluppare progetti innovativi proposti da imprenditori in undici città italiane. Il progetto nasce da una prassi ideata e condotta nel 2009 dal Collegio Don Nicola Mazza di Padova con la collaborazione del Gruppo Giovani di Confindustria del capoluogo veneto. In un momento storico nel quale l’innovazione non rappresenta più un plus per le aziende ma un asset strategico fondamentale, Mimprendo Italia si è posto una serie di obiettivi: 1) incoraggiare lo sviluppo e fornire supporto alle aziende pronte a innovarsi attraverso l’incontro tra idee innovative di imprenditori e abilità creative degli studenti universitari; 2) incrementare il rapporto università-impresa mediante l’inserimento di cultura imprenditoriale nella formazione universitaria e di capitale intellettuale nel patrimonio aziendale; 3) formare all’imprenditorialità creando un percorso di promozione alla stessa, attraverso una contaminazione diretta tra imprenditori e universitari; 4) promuovere il merito con un concorso che premia la creatività e la capacità di proporre e sviluppare idee innovative applicabili a realtà aziendali esistenti. Il progetto è partito nel marzo 2013 in undici distretti territoriali di Confindustria (Roma, Padova, Milano, Bologna, Pavia, Verona, Catania, Palermo, Napoli, Modena, Bari): i vincitori della prima edizione sono stati premiati a febbraio 2014.

117 http://www.camplus.it/contenuti-camplus-life/careers-service. 118 Si rinvia al cap. 3 del presente volume per un ulteriore caso pratico: i corsi Jump (Job University Matching Program) della Fondazione Rui, altro ente inglobato nella Ccum. 119 https://www.mimprendoitalia.it/cgi-bin/web.cgi.

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L’obiettivo era trasferire cultura imprenditoriale agli universitari attraverso la creazione di gruppi multidisciplinari che sviluppano progetti realmente proposti dalle aziende. In un momento nel quale la disoccupazione giovanile si attesta ai massimi livelli storici per il nostro Paese e la spendibilità dei titoli di studio universitari rappresenta una delle sfide del sistema di istruzione superiore, la collaborazione tra collegi universitari e Confindustria ha contribuito a rispondere alla necessità di rapporti più virtuosi tra università e impresa. Mimprendo Italia si è caratterizzato anche per l’innovazione metodologica con cui si è svolto: ai team meeting in azienda si sono alternati lavoro a distanza e attività di coaching, in logica organizzativa lean e secondo approcci di open innovation. Per molti universitari si è trattato della prima esperienza di collaborazione diretta con un imprenditore o un manager aziendale, che hanno seguito passo dopo passo il team fino al raggiungimento dell’obiettivo finale. I risultati del concorso hanno confermato la validità di questa metodologia, perché molte aziende coinvolte nel progetto hanno dato spazio nelle proprie strutture ai ragazzi che vi hanno partecipato. Per alcuni, l’esperienza si è tradotta in un vero e proprio lavoro. L’impatto in termini di placement e startup sono stati il segno tangibile della sua efficacia120. Sarebbe quindi auspicabile trasferire il modello realizzato con il concorso Mimprendo Italia a realtà più grandi e a situazioni economiche più complesse. Conclusioni «Per dare un futuro alle nuove generazioni è necessario affrontare tematiche complesse e modificare tra i giovani, le loro famiglie, le istituzioni, il mondo dell’istruzione e quello delle imprese, gli schemi di pensiero e i modi di operare che rendono oggi così ardua la transizione dall’educazione all’occupazione. […] Questi risultati si possono conseguire soltanto se tutti gli attori coinvolti decidono, all’unisono, mettendo da parte punti di vista o interessi individuali, di impegnarsi con generosità per imprimere una svolta radicale, avviando in tempi rapidi un programma di intervento per agire sulle cause strutturali che ostacolano la transizione scuola-lavoro»121. 120 M. Paoletto, Mimprendo Italia. Il punto di incontro tra innovazione aziendale e cultura universitaria, in “Fondazione Rui - Rivista di cultura universitaria”, n. 107, marzo 2013, pp. 54-55.

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Non esiste una soluzione certa per fermare la disoccupazione. Bisogna avere la volontà politica di fare qualcosa di concreto, anziché continuare a produrre libri e statistiche che suggeriscono strategie per uscire da una crisi che sembra eternamente uguale a se stessa. L’università, con la sua trama complicata e fittissima di relazioni giuridico-politico-istituzionali, appare come il sistema strategico per mediare gli opposti interessi in gioco122. A questo settore in continuo fermento, la politica dovrebbe prestare maggiore attenzione, e non più solo in termini di finanziamento o riforme strutturali123.

121 A. Castellano, X. Kastorinis, R. Lancellotti, R. Marracino, L. A. Villani, Studio ergo lavoro. Come facilitare la transizione scuola-lavoro per ridurre in modo strutturale la disoccupazione giovanile in Italia, McKinsey & Company, 2014, p. 42. Il rapporto è scaricabile all’indirizzo http://www.mckinsey.it/idee/practice_news/laricerca-mckinsey-studio-ergo-lavoro.view. 122 R. Di Toma, op. cit., p. 40. 123 M. Civardi, op. cit., p. 296

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Le politiche pubbliche e la normativa italiana su orientamento e placement Manuela Costone

1. Orientamento al lavoro e placement in Italia In Italia per placement (“posizionamento”) si intende il collocamento nel mercato del lavoro, cioè l’esito occupazionale di coloro che hanno beneficiato di misure di politica attiva per l’occupazione, come ad esempio interventi di formazione professionale o di orientamento1. Le azioni di placement hanno come fine l’inserimento professionale di coloro che sono in cerca di un lavoro, mentre le analisi di placement indicano l’esito occupazionale (sia in termini di condizione raggiunta che di tempi di collocamento) e le caratteristiche dell’eventuale inserimento lavorativo (posizione professionale e contrattuale). Le politiche per l’orientamento al lavoro hanno l’obiettivo di ridurre al minimo il numero di disoccupati, in particolar modo quelli a lungo termine, e al tempo stesso di incrementare i tassi di attività e di occupazione, con particolare attenzione ai giovani, alle donne e ai lavoratori anziani. Si distinguono in politiche passive, indirizzate a chi ha perso un lavoro e politiche attive di tipo preventivo. Recentemente queste ultime hanno acquisito un’importanza crescente, secondo un approccio che si basa sulla diagnosi precoce dei bisogni di ogni persona alla ricerca di occupazione e su interventi personalizzati. 1 Glossario di Europa Lavoro, http://europalavoro.lavoro.gov.it/EuropaLavoro/Glossario/Orientamento

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In particolare, per “politiche attive del lavoro” si intendono tutte le iniziative messe in campo dalle istituzioni, nazionali e locali, per promuovere l’occupazione e l’inserimento lavorativo. L’orientamento professionale è un intervento finalizzato a porre la persona nelle condizioni di effettuare scelte autonome circa il proprio progetto lavorativo e personale. L’orientamento può considerarsi come un’azione “globale” in grado di attivare e facilitare il processo di conoscenza del soggetto e del contesto, al fine di effettuare scelte consapevoli in ambito formativo e lavorativo. Tale azione non coincide con un particolare momento dell’esistenza (ad esempio la scelta o il cambiamento di un percorso formativo e/o lavorativo), ma rappresenta un sostegno lungo tutto il corso della vita. Nella società moderna il processo di socializzazione adulta e le traiettorie di carriera del singolo individuo sono sempre più caratterizzati da irregolarità, interruzioni e deviazioni. In questo contesto, gestire la propria storia formativa e lavorativa significa anche imparare a governare cambiamenti di ruolo e di responsabilità: i cambiamenti non sono sempre prevedibili, perciò è necessario essere in grado di costruire o riorganizzare in itinere un progetto lavorativo soddisfacente che possa dare continuità e senso al cambiamento. Sempre più spesso il soggetto è considerato in grado di negoziare le proprie competenze rispetto alle opportunità di lavoro, in un mercato nel quale orientarsi e ri-orientarsi è essenziale per aumentare il proprio grado di occupabilità. Inoltre, il confronto con culture nuove e diverse e con organizzazioni ogni giorno più “piatte” e globali richiede di saper ristrutturare e attivare le proprie risorse in modo strategico. In tale contesto diventa necessario intendere l’orientamento come un servizio accessibile a tutti in maniera permanente. Si può dire, infatti, che non ci sia target di popolazione, ma anche passaggio o transizione di vita che non siano toccati, oggi più che mai, da un problema di orientamento, ovvero di scelta. La molteplicità di destinatari e di fasi implica altrettanta molteplicità di soggetti che a diverso titolo operano nel campo dell’orientamento, cosa che, in assenza di integrazione e coordinamento, comporta un certo grado di frammentarietà e di sovrapposizione in termini di competenze e quindi di interventi. La normativa prevede diverse tipologie di incentivi, diretti a molteplici soggetti ed erogati sia a livello centrale che regionale. Questa frammen-

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tazione rende difficile per cittadini, imprese e operatori avere un quadro completo di quanto viene messo a disposizione per ogni categoria di lavoratori, per ogni tipo di azienda o in ogni territorio. L’Accordo sulla definizione del sistema nazionale sull’orientamento permanente2, approvato in Conferenza Unificata il 20 dicembre 2012 su proposta del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, si configura come una pietra miliare sulla strada dell’integrazione delle attività e della messa in rete dei servizi di orientamento. In Italia mancava, infatti, fino a quel momento un quadro di riferimento nazionale che, da un lato, favorisse e consolidasse una cultura e un linguaggio comune tra gli operatori dell’orientamento e, dall’altro, rafforzasse e promuovesse la condivisione di livelli di governance dell’orientamento nei e tra i sistemi dell’istruzione, dell’università, della formazione e del lavoro. Gli aspetti qualificanti che caratterizzano l’accordo sono: - la definizione di orientamento permanente (art. 1) quale «processo volto a facilitare la conoscenza di sé, del contesto formativo, occupazionale, sociale, culturale ed economico di riferimento, delle strategie messe in atto per relazionarsi e interagire con tali realtà, al fine di favorire la maturazione e lo sviluppo delle competenze necessarie per poter definire o ridefinire autonomamente obiettivi personali e professionali aderenti al contesto, elaborare o rielaborare un progetto di vita e sostenere le scelte relative»; - l’esplicitazione degli obiettivi perseguiti dal sistema nazionale di orientamento permanente (art. 2); - la definizione dei livelli di governance del sistema stesso, che prevede sia un livello nazionale di coordinamento e di integrazione tra tutti i soggetti che operano nel campo dell’orientamento – con il compito di elaborare una proposta di Linee guida nazionali dell’orientamento e una proposta per l’individuazione di standard minimi dei servizi e delle competenze professionali degli operatori – sia un livello territoriale che, nell’ambito della cornice condivisa del sistema nazionale, realizzi politiche di orientamento permanente sulla base delle proprie specificità locali (artt. 3, 4). 2 Accordo tra governo, Regioni e enti locali - Repertorio n. 152 del 20 dicembre 2012.

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2. Principali attori italiani in materia di placement Negli ultimi anni il mercato del lavoro italiano è stato profondamente modificato sia per quanto riguarda le competenze istituzionali che spettano al governo centrale e agli enti territoriali, sia dal punto di vista delle regole generali. La governance multilivello che si è sviluppata ultimamente ha la finalità di far coordinare e condividere i processi decisionali delle politiche di orientamento, in cui ciascun soggetto si riconosce partner corresponsabile di una strategia che, coinvolgendo sia il livello politico-istituzionale sia quello tecnico-operativo, valorizzi la programmazione e la realizzazione di interventi di orientamento integrati, continui e rispondenti ai bisogni della persona. Entrando nel dettaglio delle specifiche competenze, le Regioni definiscono specifiche priorità regionali, nel rispetto delle priorità nazionali e, di concerto con gli altri soggetti di espressione locale, programmano e coordinano gli interventi e le politiche di orientamento con riferimento agli standard comuni di qualità dei servizi, secondo forme e modalità organizzative individuate dalle stesse Regioni che, con riguardo alle specificità territoriali, valorizzino il ruolo e le competenze degli enti locali con il coinvolgimento attivo dei soggetti istituzionali, sociali ed economici del territorio (università, Ufficio scolastico regionale, parti sociali). I servizi di orientamento professionale sono di competenza regionale e ogni Regione li organizza in autonomia, delegandoli prevalentemente alle Province3. Con il D.Lgs. 276/20034 (la cosiddetta riforma Biagi) sono state introdotte numerose novità nell’ambito dei servizi per il lavoro e sono stati riconosciuti nuovi soggetti di intermediazione. Nella rete dei nuovi servizi, infatti, possono agire sia soggetti pubblici che privati. Tra i soggetti privati che possono erogare servizi di orientamento vi sono: agenzie per il lavoro autorizzate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, enti di formazione, cooperative sociali, fondazioni, onlus, sindacati e associazioni di categoria. Per aspiranti imprenditori e i neoimprenditori i servizi di orientamento, informazione, formazione, consulenza e assistenza per l’avvio dell’attività economica sono forniti dalle Camere di Commercio. 3 I principali soggetti pubblici che erogano servizi di orientamento sul territorio sono: i Centri per l’Impiego, i Centri comunali di orientamento al lavoro; Informagiovani. 4 GU n. 235 del 9 ottobre 2003 - Supplemento Ordinario n. 159.

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All’interno di questo sistema complesso, il web è lo strumento più utilizzato (da circa una persona ogni due). Nella fascia di età che va dai 25 ai 34 anni, la percentuale di chi utilizza internet supera il 58%. Gli altri due canali principali sono l’invio diretto dei curriculum a privati (anche attraverso il web) e il ricorso a segnalazioni da parte di parenti, amici o conoscenti5. È possibile acquisire informazioni utili alla scelta di percorsi formativi o professionali disponibili, consultando i numerosi siti web che forniscono tale supporto6. 2.1 Centri per l’Impiego I CpI (CpI)7 rappresentano il punto di riferimento pubblico per le persone in cerca di occupazione, per chi vuole cambiare lavoro, per le aziende che cercano personale, per chi vuole seguire un percorso formativo e per chi ha bisogno di una consulenza orientativa. Operano a livello provinciale, secondo gli indirizzi dettati dalle Regioni. I principali servizi offerti dai CpI, che possono differenziarsi sul territorio, sono: t accoglienza e informazione: individuazione delle necessità e orientamento al servizio più idoneo; t auto-consultazione: banche dati, gazzette, stampa nazionale e locale, bacheche annunci, dossier tematici e siti internet dedicati al mercato del lavoro; t orientamento: facilitazione dei processi di scelta, analisi delle caratteristiche personali, attitudini, motivazioni, conoscenze e competenze, formazione sulle strategie di ricerca di lavoro e accompagnamento nella definizione di un progetto di sviluppo professionale e/o formativo; t promozione di tirocini: esperienze di formazione e orientamento realizzate attraverso l’inserimento lavorativo in azienda; t incontro domanda-offerta di lavoro e preselezione: servizio di raccolta dei curricula delle persone in cerca di occupazione, ricezione delle richieste delle aziende in cerca di personale, individuazione e verifica dei requisiti dei candidati con invio dei nominativi alle aziende; 5 Fonte: Isfol, Indagine Nazionale Placement 2013, febbraio 2014. 6 Tra gli altri: www.euroguidance.it, www.isfol.it/orientaonline.it, www.jobtel.it 7 Per la mappa nazionale dei Centri per l’impiego cfr. http://europalavoro.lavoro.gov.it/Europalavoro/varie/indirizzario-centri-impiego

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t laboratori di ricerca attiva del lavoro: supporto nella scrittura del curriculum vitae o della lettera di presentazione e informazione utili su come sostenere un colloquio di selezione; t collocamento mirato: sostegno per l’inserimento nel mondo del lavoro delle persone disabili e di persone appartenenti ad altre categorie protette (ex lege 68/99). 2.2 Centri comunali di orientamento al lavoro I Centri di informazione e orientamento al lavoro8 offrono servizi di accoglienza, di informazione (sia individuale sia organizzata in seminari formativi di gruppo o anche strutturata in forma di auto-consultazione) sulle tematiche relative al mondo del lavoro, e di orientamento di secondo livello, individuale e/o di gruppo, che prevede la possibilità di elaborare un progetto individuale per la formazione e/o la ricerca del lavoro. I Centri comunali di orientamento al lavoro operano a livello comunale e nelle diverse realtà territoriali possono avere differenti denominazioni, ad esempio Cilo (Centro di Iniziativa Locale per l’Occupazione) o Col (Centro di orientamento al lavoro). 2.3 Informagiovani I centri Informagiovani9 sono strutture ubicate a livello comunale o provinciale che offrono un servizio informativo gratuito ai giovani. Le informazioni fornite abbracciano aree diverse: informazioni utili per la propria scelta formativa o professionale (offerte di lavoro, concorsi pubblici, stage, tirocini, università, borse di studio, scuole); informazioni per organizzare meglio il proprio tempo libero, aggiornarsi sugli eventi in corso nella propria città (mostre, concerti, fiere e altro), organizzare le proprie vacanze, svolgere attività di volontariato. 2.4 Italia Lavoro Italia Lavoro è una società per azioni, totalmente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Opera, per legge, come ente strumen8 Per la lista dei Centri comunali di orientamento al lavoro cfr. http://europalavoro.lavoro.gov.it/Europalavoro/varie/ indirizzario-centri-orientamento-locale 9 http://www.informagiovani.it/

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tale del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali per la promozione e la gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell’occupazione e dell’inclusione sociale. Italia Lavoro SpA nasce per effetto della Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 13 maggio 199710 per la promozione, la progettazione, la realizzazione e la gestione di attività e interventi finalizzati allo sviluppo dell’occupazione sull’intero territorio nazionale, con particolare riguardo alle aree territoriali depresse e ai soggetti svantaggiati del mercato del lavoro. Oggi la sua missione è offrire servizi e svolgere azioni nell’ambito delle competenze esclusive e concorrenti che la Costituzione assegna allo Stato in materia di lavoro. Italia Lavoro mette a disposizione il suo patrimonio di esperienze, di competenze, di buone pratiche e la sua rete di consulenti, collaborando con Regioni, Province, amministrazioni locali, soggetti pubblici e privati su: t Diritti di cittadinanza e livelli essenziali delle prestazioni. Garantire il diritto dei cittadini di accedere a servizi che assicurino livelli essenziali e uniformi di qualità su tutto il territorio nazionale, in linea con quelli degli altri paesi dell’Unione Europea. t I cittadini svantaggiati, prima di tutto. Mettere le persone, soprattutto quelle più svantaggiate, al centro delle politiche del lavoro, garantendo servizi personalizzati capaci di soddisfarne i bisogni di orientamento, formazione, sostegno al reddito e collocamento. t Welfare to Work per superare le crisi occupazionali. Un nuovo patto vincolante che prevede l’erogazione di ammortizzatori sociali, di formazione personalizzata e di servizi per il collocamento, solo a seguito di un impegno attivo del disoccupato nella ricerca del lavoro. Azioni d’emergenza per il reinserimento lavorativo nei bacini in crisi, collegando i sussidi alle misure per l’occupazione. t Sostegno occupazionale allo sviluppo economico. Sostenere la governance fra i diversi attori nazionali; sostenere le associazioni di categoria, valorizzando la bilateralità; sostenere e potenziare il raccordo tra i sistemi produttivi e la rete dei servizi per il lavoro; sostenere i processi che concorrono alla valorizzazione del capitale intellettuale; sostenere 10 GU del 4 giugno 1997 - Serie Generale n. 128.

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l’avvio di nuove imprese nei settori che valorizzano le potenzialità di sviluppo degli ambienti naturali protetti e dei beni architettonici e di altri settori che presentano forti elementi di innovazione. t Verso l’Europa dell’innovazione e della conoscenza. Aumentare l’adattabilità dei lavoratori e delle imprese all’evoluzione dell’economia globale, più occupazione di qualità, formazione permanente, occupazione delle donne, mobilità territoriale, pari opportunità e lotta al lavoro nero. Modernizzare e rafforzare la coesione sociale. t Scuola&Lavoro per l’occupabilità. Costruire un ponte fra scuola e lavoro, alternando l’istruzione con la formazione, i tirocini e gli stage nelle imprese. Aiutare scuole e università ad assumere anche il compito di favorire il collocamento degli studenti. t Integrazione e inclusione sociale in una società più equa. Governare i flussi migratori e lottare contro l’esclusione e l’emarginazione, sperimentare nuove modalità per l’inserimento al lavoro dei disabili, dei soggetti svantaggiati e dei disoccupati di lunga durata. Sul piano operativo Italia Lavoro si avvale di una rete capillare di soggetti e organizzazioni pubbliche e private operanti sul territorio. Una parte importante delle politiche per il lavoro è costituita dagli incentivi all’occupazione, stimolo alla qualificazione e all’inserimento lavorativo di particolari categorie di lavoratori che sono spesso ai margini del mercato del lavoro. 2.5 Agenzie per il Lavoro Le Agenzie per il Lavoro11 sono soggetti privati ai quali è consentito erogare servizi come il collocamento, la ricerca e selezione, l’orientamento professionale, la formazione e la somministrazione di lavoro. Le Agenzie per il Lavoro sono soggetti autorizzati e accreditati mediante l’iscrizione all’Albo informatico istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: una sorta di registro elettronico che contiene tutte le informazioni utili e i contatti di ogni agenzia accreditata.

11 L’elenco completo delle Agenzie per il Lavoro è disponibile nel “Cerca Sportello” sul portale “Cliclavoro” del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

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L’iscrizione all’Albo garantisce agli operatori la possibilità di offrire servizi e rappresenta una tutela per il cittadino, perché certifica quali sono gli enti effettivamente autorizzati. L’Albo, la cui gestione è affidata alla Direzione generale per il mercato del lavoro del Ministero, è suddiviso in sezioni, sulla base della tipologia di servizio che le Agenzie sono autorizzate a svolgere: t somministrazione di lavoro (ex lavoro interinale): si mettono a disposizione degli utilizzatori (aziende private, etc.) lavoratori direttamente assunti dall’Agenzia di somministrazione. Il lavoratore ha quindi un contratto di lavoro subordinato con l’Agenzia di somministrazione, ma lavora presso un altro soggetto da cui riceve le direttive per lo svolgimento del proprio lavoro; t intermediazione: è un’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, realizzata tramite la raccolta dei curricula dei lavoratori, la promozione e gestione dell’incontro tra domanda e offerta di impiego, l’orientamento professionale, l’erogazione di attività di formazione per l’inserimento lavorativo; t ricerca e selezione del personale: consiste nel ricercare e individuare il lavoratore più idoneo a soddisfare le esigenze di un’impresa; t supporto alla ricollocazione professionale: su specifico incarico del committente, anche in base ad accordi sindacali, si ricolloca sul mercato un lavoratore o un gruppo di lavoratori, grazie ad attività di formazione specifica e di affiancamento nello svolgimento della nuova attività. Le Agenzie per il Lavoro si distinguono, a seconda dell’attività che sono autorizzate a svolgere, in: t agenzie di somministrazione di lavoro di tipo generalista: operano a tutto campo in materia di somministrazione a tempo determinato e indeterminato. Sono autorizzate all’attività di intermediazione, ricerca e selezione del personale e supporto alla ricollocazione professionale; t agenzie per la somministrazione di lavoro di tipo specialista: operano solo per la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato ed esclusivamente per alcune attività consentite (art. 20, comma 3 del D.Lgs. 276/2003);

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t agenzie di intermediazione (con le sottosezioni dedicate ai soggetti

privati e ai regimi particolari di autorizzazione): svolgono attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, anche in relazione all’inserimento lavorativo dei disabili e dei gruppi di lavoratori svantaggiati. Le agenzie iscritte a questa sezione sono autorizzate anche a svolgere attività di selezione, supporto e ricollocazione professionale; t agenzie di ricerca e selezione del personale: si occupano di tutte le attività connesse alla scelta ottimale delle risorse umane per un determinato posto di lavoro da occupare, sulla base delle indicazioni fornite dal committente; t agenzie di supporto alla ricollocazione del personale: si occupano del supporto alla ricollocazione nel mercato del lavoro di prestatori di lavoro, singoli o gruppi di lavoratori, attraverso la preparazione, la formazione finalizzata all’inserimento lavorativo, l’accompagnamento della persona e l’affiancamento per l’inserimento nella nuova attività. Tra i soggetti che svolgono intermediazione rientrano anche quelli, pubblici e privati, che operano con i regimi particolari di autorizzazione (Decreto 20 settembre 2011 - Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali): t scuole secondarie di secondo grado, statali e paritarie; t università, pubbliche e private, e consorzi universitari; t comuni, singoli o associati nelle forme delle unioni di comuni e delle comunità montane, e camere di commercio; t associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori più rappresentative sul piano nazionale (anche tramite associazioni territoriali e società di servizi controllate); t patronati, enti bilaterali e associazioni senza fini di lucro; t gestori di siti internet senza finalità di lucro. Anche l’Ordine nazionale dei Consulenti del lavoro può chiedere, a particolari condizioni, l’iscrizione all’albo di una fondazione o altro soggetto dotato di personalità giuridica. Tutti coloro che cercano lavoro e le imprese alla ricerca di personale possono prendere direttamente contatto con i soggetti autorizzati, la cui prestazione è gratuita per i lavoratori e a pagamento solo per le imprese.

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2.6 Istituto per lo Sviluppo della Formazione professionale dei Lavoratori (Isfol) L’Istituto per lo Sviluppo della Formazione professionale dei Lavoratori (Isfol) è un ente nazionale di ricerca sottoposto alla vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. L’Istituto opera nel campo della formazione, del lavoro e delle politiche sociali per contribuire alla crescita dell’occupazione, al miglioramento delle risorse umane, all’inclusione sociale e allo sviluppo locale. L’Isfol svolge e promuove attività di studio, ricerca, sperimentazione, documentazione, informazione e valutazione. Inoltre, fornisce supporto tecnico-scientifico allo Stato, alle Regioni e agli enti locali. L’Isfol gestisce l’Archivio nazionale orientamento12, che è una banca dati degli enti che a diverso titolo erogano servizi di orientamento in Italia. Attraverso un modulo di ricerca è possibile interrogare l’archivio sulla base di alcuni criteri specifici: per regione, provincia, città, denominazione, sistema e tipologia di appartenenza e, dove disponibili, anche sulla base di specifiche caratteristiche organizzative (ad esempio, tipologia di utenti, servizi erogati, strumenti utilizzati, figure professionali coinvolte). Alla stesura del presente documento (ottobre 2014) è appena partita la seconda Indagine Nazionale Placement (indagine campionaria su “I percorsi di studio e di lavoro dei partecipanti ad interventi formativi” finanziati dal Fondo Sociale Europeo) che l’Isfol realizza su incarico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. L’indagine ha come obiettivo la misurazione degli esiti occupazionali degli interventi finalizzati all’occupabilità cofinanziati dal Fse attraverso i Programmi Operativi Regionali. L’edizione 2014 si presenta come estensione longitudinale dell’Indagine Nazionale Placement 2013. Per questa sua natura essa è finalizzata allo sviluppo di analisi longitudinali e mira a ricostruire l’evoluzione della condizione occupazionale e professionale, nonché le modalità di ricerca di lavoro adottate dagli individui intervistati nella precedente edizione a distanza di un anno di tempo. 12 http://www.isfol.it/temi/Lavoro_professioni/orientamento-al-lavoro/archivio-nazionale-orientamento

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Il piano di campionamento è stato costruito in maniera tale da garantire significatività a livello regionale delle stime delle principali variabili statistiche oggetto di studio. Il campione è costituito da 10.800 individui, già intervistati nel corso della precedente indagine e che si sono resi disponibili per una nuova intervista. 3. La normativa italiana per l’orientamento e il placement dei laureati Nel nostro ordinamento interno il diritto all’orientamento viene sancito dall’articolo 4 della Costituzione della Repubblica italiana13. Sulla base della normativa italiana che ne dà attuazione, ad ogni cittadino italiano sono riconosciuti, durante tutto l’arco della vita, prestazioni e servizi di orientamento per il pieno sviluppo della sua personalità nelle attività lavorative. Inoltre, il diritto all’orientamento viene assicurato tramite specifiche politiche promosse nell’ambito di un ampio quadro d’interventi nei settori dell’alta formazione, del lavoro e dell’inclusione sociale. Nelle ultime legislature l’attività legislativa in materia di politiche del lavoro è stata caratterizzata dal progressivo ampliamento delle misure di sostegno al reddito già previste per le situazioni di crisi aziendale e da un’estensione del campo di applicazione degli ammortizzatori sociali, per affrontare le crisi e i problemi occupazionali che hanno investito vari settori produttivi. Questo processo non ha però assunto una natura sistematica, dal momento che l’intervento legislativo si è posto per lo più in rapporto di deroga rispetto alla disciplina generale sulla normativa sugli interventi nelle situazioni di crisi aziendale. Il legislatore è quindi intervenuto a prorogare la durata dei trattamenti oltre i limiti temporali ordinariamente previsti oppure ad estenderne il campo di applicazione, ricomprendendo situazioni che altrimenti sarebbero rimaste escluse. A fronte della crisi produttiva e occupazionale che continua a investire l’economia nazionale, alla fine del 2013, la XI Commissione (Lavoro) della Camera ha svolto un’indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l’emer13 «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».

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genza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile. Dall’indagine (che ha visto la partecipazione, unitamente alle parti sociali e ai rappresentanti di varie realtà economiche, di qualificati esponenti del mondo accademico ed esperti delle materie lavoristiche), è emersa la necessità di riconsiderare l’intervento pubblico a sostegno dell’occupazione, attraverso la puntuale valutazione della reale efficacia degli incentivi monetari e fiscali, la predisposizione di strumenti per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro nel quadro di una solida infrastruttura del mercato del lavoro che rafforzi il ruolo dei servizi pubblici per l’impiego e delle agenzie private, la valorizzazione dell’apprendistato e delle forme di alternanza scuola-lavoro. Un’ampia discussione, che ha coinvolto anche le Regioni, ha investito il tema degli ammortizzatori sociali in deroga, la cui richiesta da parte delle aziende, a fronte del perdurare della crisi produttiva e occupazionale, continua a mostrarsi assai sostenuta. A tale riguardo il legislatore è ripetutamente intervenuto per il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, dapprima con il Dl n. 54 del 2013 (che ha previsto, in particolare, l’introduzione di nuovi criteri di concessione, con l’obiettivo di contenere abusi e sprechi di risorse, rimettendone la definizione a un decreto ministeriale) e, successivamente, con il Dl n. 102 del 2013. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, è in corso un ampio dibattito sull’applicazione della Legge n. 92/201214 (la cosiddetta Legge Fornero) e sugli effetti da essa prodotti in un contesto di perdurante recessione15. La Legge Fornero ha previsto l’istituzione (senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica) di un sistema permanente di monitoraggio e valutazione, basato su dati forniti Istat e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan), volto a verificare lo stato di attuazione degli interventi e a valutarne gli effetti sull’efficienza del mercato del lavoro, sull’occupabilità dei cittadini e sulle modalità di entrata e di uscita nell’impiego. Al sistema di monitoraggio e valutazione, istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in collaborazione con le altre istituzioni competenti, concorrono le parti sociali (attraverso le organizzazioni mag14 GU del 3 luglio 2012 - Serie Generale n. 153 - Supplemento Ordinario n. 136. 15 Stefano Beretta e Giacinto Favalli, Introduzione in Studio Trifirò & Partners (a cura di), La riforma del lavoro, Ed. CorrierEconomia, 2014.

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giormente rappresentative a livello nazionale dei lavoratori e dei datori di lavoro), nonché l’Inps e l’Istat, chiamati a organizzare banche dati informatizzate anonime (contenenti i dati individuali anonimi, relativi ad età, genere, area di residenza, periodi di fruizione degli ammortizzatori sociali con relativa durata e importi corrisposti, periodi lavorativi e retribuzione spettante, stato di disoccupazione, politiche attive e di attivazione ricevute), aperte ad enti di ricerca e università. Il sistema permanente di monitoraggio e valutazione è chiamato a produrre rapporti annuali sullo stato di attuazione delle singole misure, da cui desumere elementi per successivi interventi di implementazione o correzione delle norme introdotte. Tenendo anche conto delle evidenze emerse dai primi dati risultanti dal monitoraggio sull’attuazione della Legge Fornero, il Governo è intervenuto con il Dl n.76 del 2013, che rappresenta un provvedimento organico estremamente importante in materia di lavoro. Il decreto, in particolare: t introduce, in via sperimentale, un incentivo per i datori di lavoro che entro il 30 giugno 2015 assumano, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, lavoratori di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi o privi di un diploma di scuola media superiore o professionale; t detta norme in materia di apprendistato professionalizzante e tirocini formativi e di orientamento (con la previsione di un’indennità di partecipazione); t istituisce una struttura sperimentale di missione presso il Ministero del Lavoro per l’attuazione, dal 1o gennaio 2014, del programma “Garanzia per i giovani”; t prevede la stabilizzazione degli associati in partecipazione; t modifica in più parti la Legge n. 92/2012, con particolare riguardo all’attività di monitoraggio, all’assunzione di lavoratori che beneficiano dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego (Aspi)16, ai fondi di 16 L’Assicurazione Sociale per l’Impiego (Aspi) è un ammortizzatore sociale istituito a seguito della riforma del mercato del lavoro (la cosiddetta riforma Fornero) e operativa dal 1° gennaio del 2013. L’Aspi è uno strumento che entra in funzione quando si verifica per un lavoratore un evento di disoccupazione. L’Aspi sostituisce la maggior parte delle indennità di disoccupazione vigenti in precedenza oltre all’indennità di mobilità. L’accesso a questo ammortizzatore è concesso solo se il lavoratore ha raggiunto un livello minimo di contribuzione. Il beneficiario ottiene un’indennità mensile di disoccupazione erogata dall’Inps. Per i lavoratori che hanno invece raggiunto requisiti contributivi inferiori è prevista una forma di ammortizzatore ridotta che viene chiamata mini Aspi.

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solidarietà bilaterali per i settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale, alle dimissioni e risoluzioni consensuali dei rapporti di lavoro di collaborazione; t detta misure per promuovere l’alternanza fra studio e lavoro. Nella Legge di stabilità per il 2014 è stata prevista l’applicazione a regime delle deduzioni Irap per l’incremento di base occupazionale, è stato rideterminato l’importo delle detrazioni Irpef spettanti per i redditi da lavoro dipendente, sono stati ridotti i premi e i contributi per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ed è stata prevista l’integrale restituzione al datore di lavoro del contributo addizionale dell’1,4% della retribuzione previsto per i rapporti di lavoro non a tempo indeterminato nel caso in cui vengano trasformati in rapporti a tempo indeterminato. Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente e del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, ha approvato il cosiddetto decreto Poletti (Dl 20 marzo 2014, n. 34) in materia di “Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese”. È stato convertito con modificazioni dalla Legge 16 maggio 2014, n. 78, ed è entrato in vigore il 21 maggio 2014. Rappresenta un primo stralcio del cosiddetto Jobs Act, sulla cui attuazione è attualmente impegnato il Governo e che investirà molti e complessi temi: riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, di semplificazione delle procedure e degli adempimenti in materia di lavoro, di riordino delle forme contrattuali e di miglioramento della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita. Il Jobs Act ha due obiettivi fondamentali: rilanciare l’occupazione e semplificare gli adempimenti a carico delle imprese, attraverso la “liberalizzazione” dei contratti a termine e di somministrazione, ponendo minori vincoli per l’apprendistato e i contratti di solidarietà, semplificando le attestazioni della regolarità contributiva. C’è chi ha criticato aspramente il modus operandi del legislatore17, sostenendo che il Jobs Act non si discosta dagli schemi utilizzati fino ad oggi 17 Salvatore Trifirò, in La riforma del lavoro, Ed. CorrierEconomia, 2014.

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e che si sono rivelati infruttuosi. Per favorire la crescita e l’occupazione si auspicava un abbattimento del costo del lavoro, tagliando tasse e contributi, incentivando le aziende ad assumere e ad espandersi, sostenendo le imprese che funzionano. In un secondo momento, si sarebbe potuto ragionare su quale contratto di lavoro puntare. Altri18, invece, hanno apprezzato ed enfatizzato le novità del Jobs Act, perché contengono strumenti di flessibilità, preziosi sia per migliorare le iniziative iniziate dalla Legge Fornero, sia per rendere maggiormente organico il mondo del lavoro. Il Jobs Act ha dato il via a una riforma in due tempi. La prima fase per risolvere l’emergenza, la seconda per tracciare un quadro completo delle regole applicabili al mondo del lavoro. La prima è già realtà, con la semplificazione del contratto a termine e di apprendistato. Per quanto riguarda il contratto a termine, in particolare, è stata eliminata la necessità di indicare la causale ed è stata prevista la possibilità di prorogare il contratto fino a 5 volte; a fronte di ciò, è stato introdotto un tetto all’utilizzo di tale contratto, pari al 20% dei lavoratori a tempo indeterminato dipendenti dallo stesso datore di lavoro. Per quanto attiene all’apprendistato sono state semplificate le procedure per la redazione del piano formativo e per lo svolgimento della formazione pubblica; inoltre sono stati attenuati gli obblighi di stabilizzazione e fissati criteri volti al contenimento della retribuzione nell’apprendistato di primo livello. La vera sfida sarà nella seconda fase della riforma, quando verranno attuate le deleghe contenute nel disegno di legge, ora all’esame del Parlamento, con importanti novità anche in materia di ammortizzatori sociali. Le deleghe riguardano il riordino delle forme contrattuali, i servizi per il lavoro e le politiche attive e la semplificazione delle procedure e degli adempimenti. Delega per il riordino delle forme contrattuali La delega in materia di riordino delle forme contrattuali è finalizzata a rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché a riordinare i contratti di 18 Stefano Colli-Lanzi, in Jobs Act - Come cambia il lavoro, Instant book del Sole 24 Ore, 2014.

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lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto produttivo nazionale e internazionale. A tal fine sono stati individuati i seguenti principi e criteri direttivi: t analizzare tutte le forme contrattuali esistenti ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il contesto occupazionale e produttivo nazionale e internazionale, anche in funzione di eventuali interventi di riordino delle medesime tipologie contrattuali; t procedere alla redazione di un testo organico di disciplina delle tipologie contrattuali dei rapporti di lavoro, riordinate secondo quanto indicato alla lettera a), che possa anche prevedere l’introduzione, eventualmente in via sperimentale, di ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti; t introdurre, eventualmente anche in via sperimentale, il compenso orario minimo, applicabile a tutti i rapporti di lavoro subordinato, previa consultazione delle parti sociali; t procedere all’abrogazione di tutte le disposizioni che disciplinano le singole forme contrattuali, incompatibili con il testo organico di cui alla lettera b), al fine di assicurare certezza agli operatori, eliminando duplicazioni normative e difficoltà interpretative e applicative. Delega in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive La delega è finalizzata a garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché ad assicurare l’esercizio unitario delle relative funzioni amministrative. A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi: t razionalizzare gli incentivi all’assunzione già esistenti, da collegare alle caratteristiche osservabili per le quali l’analisi statistica evidenzi una minore probabilità di trovare occupazione; t razionalizzare gli incentivi per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità; t istituire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un’Agenzia nazionale per l’impiego per la gestione integrata delle politiche attive e passive del lavoro, partecipata da Stato, Regioni e Province autonome e vigilata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. All’Agenzia sarebbero attribuiti compiti gestionali in materia di servi-

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zi per l’impiego, politiche attive e Aspi e vedrebbe il coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee di indirizzo generali. Si prevedono meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e l’Inps, sia a livello centrale che a livello territoriale, così come meccanismi di raccordo tra l’Agenzia e gli enti che, a livello centrale e territoriale, esercitano competenze in materia di incentivi all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità; razionalizzare gli enti e le strutture, anche all’interno del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, che operano in materia di ammortizzatori sociali, politiche attive e servizi per l’impiego allo scopo di evitare sovrapposizioni e garantire l’invarianza di spesa; rafforzare e valorizzare l’integrazione pubblico/privato per migliorare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro; mantenere in capo al Ministero del Lavoro la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che debbono essere garantite su tutto il territorio nazionale; mantenere in capo alle Regioni e Province autonome le competenze in materia di programmazione delle politiche attive del lavoro; favorire il coinvolgimento attivo del soggetto che cerca lavoro; valorizzare il sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e il monitoraggio delle prestazioni erogate.

Delega in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti La delega punta a conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, al fine di ridurre gli adempimenti a carico di cittadini e imprese. A tal fine vengono individuati i seguenti principi e criteri direttivi: t razionalizzare e semplificare le procedure e gli adempimenti connessi con la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro, con l’obiettivo di dimezzare il numero di atti di gestione del rapporto di carattere burocratico e amministrativo; t eliminare e semplificare, anche mediante norme di carattere interpretativo, le disposizioni interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali e amministrativi;

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t unificare le comunicazioni alle pubbliche amministrazioni per i mede-

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simi eventi (ad esempio gli infortuni sul lavoro) ponendo a carico delle stesse amministrazioni l’obbligo di trasmetterle alle altre amministrazioni competenti; promuovere le comunicazioni in via telematica e l’abolizione della tenuta di documenti cartacei; rivedere il regime delle sanzioni, valorizzando gli istituti di tipo premiale, che tengano conto della natura sostanziale o formale della violazione e favoriscano l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita (a parità di costo); individuare modalità organizzative e gestionali che consentano di svolgere, anche in via telematica, tutti gli adempimenti di carattere burocratico e amministrativo connesso con la costituzione, la gestione e la cessazione del rapporto di lavoro; revisione degli adempimenti in materia di libretto formativo del cittadino.

Liberalizzazione delle professioni Una menzione a parte deve essere fatta per il settore delle professioni, che recentemente è stato oggetto di numerosi interventi volti a favorire i principi di liberalizzazione e di concorrenza. Con la Legge di stabilità 2012 (Legge n. 183/201119) è stata prevista la delegificazione degli ordinamenti professionali; dopo che il cosiddetto decreto “liberalizzazioni” (Dl n. 1/201220) ha abrogato il sistema delle tariffe professionali regolamentate, la delegificazione è stata attuata con il DPR 7 agosto 2012, n. 13721. Di particolare rilievo, poi, la riforma della professione forense attuata con la Legge 247/201222. Modifiche hanno, inoltre, interessato la disciplina del notariato e, in attuazione di obblighi unionali, quella dei servizi. Inoltre, per la prima volta, il Parlamento, con la Legge 4/201323, ha dettato una disciplina organica delle professioni non regolamentate diffuse in particolare nel settore dei servizi, che non necessitano di alcuna iscrizione a un ordine o collegio professionale per poter essere esercitate. 19 GU del 14 novembre 2011, n. 265. 20 GU del 24 gennaio 2012, n.19 - Supplemento Ordinario n. 18. 21 GU del 14 agosto 2012, n. 189. 22 GU del 18 gennaio 2013 - Serie Generale n. 15. 23 GU del 26 gennaio 2013, n. 22.

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4. I principali contratti di lavoro per i laureati 4.1 Il contratto di lavoro a tempo indeterminato È il contratto con cui il lavoratore si impegna, a fronte del pagamento di una retribuzione, a prestare la propria attività lavorativa a favore del datore di lavoro, a tempo indeterminato, cioè senza vincolo di durata. Questo tipo di contratto è la forma comune di rapporto di lavoro, cioè la forma da utilizzare di regola per le assunzioni. Il contratto a tempo indeterminato deve essere redatto in forma scritta e contenere tutte le principali informazioni sul rapporto di lavoro: t la mansione, ossia l’insieme delle attività lavorative richieste al lavoratore; t l’inquadramento, ossia il livello e la qualifica attribuita al lavoratore; t la data di inizio del rapporto di lavoro; t l’eventuale durata del periodo di prova; t l’importo iniziale della retribuzione e i relativi elementi costitutivi, con l’indicazione del periodo di pagamento; t il luogo e l’orario di lavoro; t i giorni di ferie e le ore di permesso; t i termini del preavviso in caso di recesso. È possibile che il contratto individuale, per alcune informazioni, rimandi al contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) di riferimento. Il periodo di prova, che serve a entrambe le parti per valutare la convenienza del rapporto di lavoro, e la relativa durata sono normalmente stabiliti dai diversi contratti collettivi, entro la durata massima fissata dalla legge di sei mesi. Il lavoratore ha diritto anche nel periodo di prova di percepire una retribuzione non inferiore a quella prevista dal contratto collettivo di categoria. Poiché questo contratto non ha un termine di durata, perché si risolva, salvo il caso di accesso alla pensione, è necessario un atto di recesso. Il recesso dal contratto deve avvenire in forma scritta e può essere concordato dalle parti, scelto dal lavoratore (dimissioni) o scelto dal datore di lavoro (licenziamento). Il datore di lavoro può licenziare un dipendente a tempo indeterminato solo per una giusta causa, ossia solo in caso di gravi azioni commesse dal lavoratore che non permettano lo svolgersi della normale

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attività. Il licenziamento può avvenire anche per un giustificato motivo oggettivo (ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento) o un giustificato motivo soggettivo (inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro, meno grave della giusta causa). Il lavoratore, invece, è libero di dare le dimissioni senza dover addurre alcuna motivazione. Sia in caso di licenziamento (tranne che per giusta causa) sia in caso di dimissioni, chi decide di interrompere il contratto di lavoro deve dare un preavviso all’altro soggetto coinvolto, la cui durata è di norma stabilita dal contratto collettivo di riferimento. In mancanza di preavviso, chi recede è tenuto a versare all’altra parte un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. Il lavoratore ha diritto di recedere immediatamente dal rapporto, senza obbligo di dare il preavviso, in presenza di un grave inadempimento del datore di lavoro tale da non permettere la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto (ad esempio nel caso di mancato pagamento della retribuzione). 4.2 Il contratto di lavoro a tempo determinato È il contratto di lavoro che prevede un termine finale, una durata prestabilita. Rappresenta il 68% degli avviamenti totali. Può essere concluso tra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, per una durata massima di 36 mesi. Il termine finale del contratto può essere prorogato per un massimo di cinque volte, quando il contratto iniziale ha una durata inferiore a tre anni e con il consenso del lavoratore. Le proroghe sono ammesse se si riferiscono alla stessa attività lavorativa per la quale era stato stipulato il contratto iniziale. In tal caso, la durata complessiva del rapporto di lavoro (durata iniziale + proroghe) non può superare i 3 anni. Qualora il rapporto di lavoro abbia complessivamente superato i 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato a partire dalla scadenza dell’ultimo termine. Questo tipo di contratto prevede alcune eccezioni:

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t anche se complessivamente il rapporto di lavoro ha superato i 36 mesi,

un successivo contratto a termine può essere concluso per una sola volta, a condizione che la stipula avvenga presso la Direzione Provinciale del lavoro, con l’assistenza di un rappresentante sindacale; t il limite dei 36 mesi non si applica nei confronti delle attività stagionali; t diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale. È sempre consentita l’assunzione a termine dei dirigenti, purché la durata del contratto non sia superiore a 5 anni. Casi particolari si rilevano inoltre nel settore del trasporto aereo dove sono ammessi contratti a termine di durata complessiva non superiore a 6 mesi nei periodi compresi tra aprile e ottobre di ogni anno, nonché contratti a termine di durata non superiore a 4 mesi per periodi diversamente distribuiti. Se il lavoratore viene riassunto con contratto a termine entro 10 o 20 giorni dalla scadenza, a seconda che il primo contratto fosse di durata rispettivamente inferiore o superiore a 6 mesi, il secondo contratto viene considerato a tempo indeterminato. Se invece il lavoratore viene riassunto con contratto a termine immediatamente dopo la scadenza del primo contratto, in modo che tra il primo e il secondo contratto non vi sia alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato fin dalla data della stipulazione del primo contratto. Se il rapporto di lavoro prosegue dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione complessiva pari al 20% fino al decimo giorno successivo alla scadenza, e pari al 40% per ogni giorno ulteriore. È previsto un termine massimo per la prosecuzione oltre la scadenza, termine pari a 30 giorni, se il contratto a termine aveva una durata inferiore a 6 mesi, e a 50 giorni negli altri casi. Se il rapporto di lavoro prosegue oltre i suddetti termini, il contratto deve essere considerato a tempo indeterminato a partire dalla scadenza dei termini. Al di là del termine finale, il lavoratore a tempo determinato ha diritto allo stesso trattamento dei lavoratori assunti a tempo indeterminato che

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svolgano la stessa attività, o che abbiano lo stesso inquadramento contrattuale. In particolare, al lavoratore a termine spettano le ferie, la gratifica natalizia, la tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento in atto nell’impresa, a meno che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a tempo determinato. Il lavoratore assunto a termine ha inoltre diritto a ricevere una formazione specifica in materia di sicurezza per l’esercizio delle mansioni per le quali è stato assunto (principio di non discriminazione). I lavoratori a termine hanno lo stesso trattamento previdenziale e gli stessi diritti in caso di malattia, maternità, infortuni, rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato. A decorrere dal 2013, ai contratti a termine è applicata l’aliquota contributiva aggiuntiva dell’1,4%, salvo specifiche eccezioni. Il numero complessivo di rapporti di lavoro a termine costituiti da ciascun datore di lavoro non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, salvo specifiche eccezioni. Per le imprese che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato. L’assunzione a termine non è ammessa: t per sostituire lavoratori in sciopero; t per le aziende che abbiano effettuato licenziamenti collettivi nei sei mesi precedenti l’assunzione, salvo alcuni casi particolari indicati dalla legge; t per le aziende che sono ammesse alla Cassa Integrazione Guadagni; t per le aziende non in regola con la normativa in materia di sicurezza sul lavoro. L’apposizione del termine deve risultare da atto scritto; in mancanza, il contratto si considera a tempo indeterminato. Una copia dell’atto scritto deve essere consegnata al lavoratore entro cinque giorni dall’inizio del rapporto di lavoro. La forma scritta non è richiesta quando la durata del rapporto di lavoro non supera 12 giorni. Il lavoratore che abbia prestato attività lavorativa a termine presso la stessa azienda per un periodo superiore ai 6 mesi, ha diritto di precendenza nelle assunzioni a tempo indeterminato per mansioni equivalenti, effettuate dal datore di lavoro entro i 12 mesi successivi. Il lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza

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fatte salve diverse disposizioni dei contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale, nelle assunzioni a termine per le medesime attività stagionali. In entrambi i casi, il diritto di precedenza può essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti la propria volontà al datore di lavoro rispettivamente entro 6 mesi o 3 mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Il diritto di precedenza si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Le seguenti tipologie contrattuali hanno una specifica disciplina e sono quindi escluse dall’ambito di applicazione della normativa sui contratti a termine: t rapporti di lavoro tra datori di lavoro agricoli ed operai assunti a tempo determinato; t contratti di lavoro temporaneo; t contratti di inserimento; t contratti di apprendistato; t tirocini, stage; t rapporti di lavoro instaurati con aziende che esercitano il commercio all’ingrosso, importazione ed esportazione di prodotti ortofrutticoli; t lavoro cosiddetto “extra”; t contratti di lavoro dei dirigenti. Hanno una specifica disciplina anche le seguenti tipologie di assunzione: t assunzione a termine di lavoratori in mobilità; t assunzione di lavoratori a tempo determinato in sostituzione di lavoratori in astensione obbligatoria o facoltativa per maternità. Il lavoratore assunto a tempo determinato non può essere licenziato prima della scadenza del termine se non per giusta causa, cioè per un fatto talmente grave da non consentire la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro. Non è possibile, in altre parole, il licenziamento per giustificato motivo, sia soggettivo che oggettivo (ad esempio per riduzione dell’attività dell’impresa). Il licenziamento intimato senza giusta causa prima della scadenza del termine comporta il diritto del lavoratore al risarcimento del danno, pari a tutte le retribuzioni che sarebbero spettate al lavoratore fino alla scadenza inizialmente prevista, dedotto quanto eventualmente percepito dal lavoratore lavorando presso un altro datore di lavoro nel periodo considerato.

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4.3 Contratto di inserimento lavorativo Il contratto di inserimento lavorativo sostituisce, a seguito della cosiddetta riforma Biagi, il contratto di formazione e lavoro. Il contratto di inserimento lavorativo tende all’inserimento, o al reinserimento, del lavoratore nel mercato del lavoro mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del soggetto a un determinato contesto lavorativo. I lavoratori destinatari possono essere: t giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni; t disoccupati di lunga durata da ventinove fino a trentadue anni; t lavoratori con più di 50 anni, senza un posto di lavoro; t lavoratori che non hanno lavorato nell’ultimo biennio e che intendono riprendere l’attività lavorativa; t donne senza limiti di età che risiedono in zone in cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore almeno del 20% rispetto a quello maschile, ovvero il tasso di disoccupazione femminile sia superiore al 10% di quello maschile; t persone con grave handicap fisico, mentale o psichico. I contratti di inserimento possono essere stipulati da enti pubblici economici, imprese e loro consorzi, gruppi di imprese, associazioni professionali, associazioni socio-culturali, associazioni sportive, fondazioni, enti di ricerca pubblici e privati, organizzazioni e associazioni di categoria; questo a condizione che abbiano mantenuto in servizio almeno il 60% dei contratti di inserimento scaduti nei 18 mesi precedenti la nuova assunzione. Tale limite non è rilevante se negli ultimi 18 mesi è scaduto un solo contratto di inserimento. Il contratto deve avere forma scritta, a pena di nullità, e deve specificatamente indicare il progetto individuale di inserimento. In mancanza di forma scritta si avrà come conseguenza l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Per assumere carattere di inserimento occorre altresì che: t venga definito un progetto individuale di inserimento; t il lavoratore sia consenziente; t il progetto sia finalizzato all’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore al contesto del lavoro.

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La durata non potrà essere inferiore ai 9 mesi e non potrà superare i 18 mesi (36 se si tratta di portatori di handicap). Ai contratti di inserimento stipulati con soggetti svantaggiati (quindi a tutte le categorie sopra indicate, con l’eccezione relativa ai giovani tra i 18 e 29 anni) si applicano le stesse agevolazioni previste in precedenza per i contratti di formazione e lavoro. 4.4 Contratto di apprendistato Il rapporto di lavoro si basa su un patto fra datore di lavoro e lavoratore dipendente, in base al quale l’apprendista accetta condizioni contrattuali peggiori (in termini ad esempio di retribuzione, di durata del rapporto, di ammortizzatori sociali) in cambio di una formazione specializzata tale da garantirgli una cospicua crescita professionale. Nel caso di una formazione sul lavoro all’interno di un apprendimento tecnico-professionale le diverse modalità sono previste dal progetto educativo dell’istituzione educativa di appartenenza. Per il contratto di apprendistato si prevede il ricorso alla forma scritta per il solo contratto e patto di prova (e non, come attualmente previsto, anche per il relativo piano formativo individuale) e l’eliminazione delle attuali previsioni secondo cui l’assunzione di nuovi apprendisti è necessariamente condizionata alla conferma in servizio di precedenti apprendisti al termine del percorso formativo. È inoltre previsto che la retribuzione dell’apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, sia pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento. Per il datore di lavoro viene eliminato l’obbligo di integrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con l’offerta formativa pubblica, che diventa un elemento discrezionale. Il piano formativo individuale dell’apprendista va messo per iscritto, anche in forma sintetica. Può essere definito sulla base di moduli o formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali (bisogna scriverlo nell’atto di assunzione). Nelle aziende con almeno 50 dipendenti l’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla stabilizzazione di almeno il 20% degli apprendisti nei 36 mesi precedenti (clausole inizialmente eliminate dal decreto, poi riformulate nella legge). Infine, nel contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma profes-

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sionale, al lavoratore è riconosciuta una retribuzione pari alle ore di lavoro prestato e di quelle di formazione, che devono essere pari ad almeno il 35% del monte ore complessivo. Per il contratto di apprendistato professionalizzante, la formazione è obbligatoria. La Regione ha l’obbligo di trasmettere al datore di lavoro entro 45 giorni dal contratto le informazioni sull’offerta formativa pubblica, altrimenti questi è non è sanzionabile se non offre formazione all’apprendista. Nelle intenzioni del legislatore il contratto di apprendistato avrebbe dovuto costituire lo strumento privilegiato per consentire l’accesso dei giovani al mondo del lavoro, anche attraverso la loro contestuale formazione. Le percentuali di assunzione avvenute con questo strumento non sono state rilevanti (al di sotto del 5%) e l’intento di favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro attraverso lo strumento del contratto di apprendistato non è riuscito. 4.5 Il contratto di lavoro a tempo parziale (part-time) È un contratto di lavoro subordinato, a termine o a tempo indeterminato, che prevede un orario inferiore al normale orario di lavoro, ossia rispetto a quello a tempo pieno. Il lavoratore part-time ha diritto allo stesso trattamento dei lavoratori assunti a tempo pieno. Per quanto riguarda la retribuzione, ha diritto alla stessa paga oraria del lavoratore a tempo pieno, ma la sua retribuzione complessiva – compreso il trattamento economico per malattia, infortunio e maternità – è calcolata in proporzione al numero di ore lavorate (principio di non discriminazione). Il rapporto di lavoro a tempo parziale può essere: t di tipo orizzontale, quando la riduzione di orario rispetto al tempo pieno è prevista in relazione all’orario normale giornaliero di lavoro (ad esempio una prestazione lavorativa di 4 ore al giorno a fronte di un orario normale di lavoro di 8 ore al giorno); t di tipo verticale, quando è previsto che l’attività lavorativa sia svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno (ad esempio 3 giorni di 8 ore lavorative nell’arco della settimana; 6 mesi a tempo pieno nel corso dell’anno);

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t di tipo misto, quando le modalità di svolgimento dell’attività lavora-

tiva risultano dalla combinazione di part-time orizzontale e part-time verticale. Il contratto di lavoro a tempo parziale deve indicare in modo preciso: t la durata della prestazione lavorativa (salvo la possibilità di apporre le cosiddette “clausole elastiche”); t la collocazione temporale dell’orario, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno (salvo la possibilità di apporre le cosiddette “clausole flessibili”). Con la clausola flessibile il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa, rispetto a quanto previsto nel contratto di lavoro. Con la clausola elastica, che può essere prevista solo nel part-time di tipo verticale o misto, il datore di lavoro può aumentare, rispetto a quanto previsto nel contratto di lavoro, la durata della prestazione lavorativa. La clausola elastica determina un incremento definitivo della quantità della prestazione, a differenza dello straordinario o del supplementare ove si verifica solo un aumento temporaneo della stessa. Tali patti possono essere concordati anche quando il rapporto di lavoro è a termine. All’atto dell’apposizione di clausole flessibili ed elastiche nel contratto di lavoro, il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante sindacale indicato dal lavoratore medesimo. L’eventuale rifiuto da parte del lavoratore non costituisce giustificato motivo di licenziamento. Le clausole flessibili ed elastiche possono essere apposte solamente se previste e regolamentate dalla contrattazione collettiva. In assenza di specifica previsione da parte della contrattazione collettiva, le parti non possono concordare direttamente l’adozione di clausole flessibili ed elastiche. Il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale e la variazione in aumento della prestazione lavorativa, dando al lavoratore un preavviso di almeno cinque giorni lavorativi. Le parti possono stabilire anche un preavviso diverso, ma non possono comunque eliminarlo completamente. Il lavoratore ha inoltre diritto a specifiche compensazioni. La contrattazione collettiva nazionale può prevedere la possibilità per il lavoratore di eliminare o modificare le clausole elastiche e flessibili del proprio contratto. Inoltre, in determinati casi il lavoratore ha diritto, senza

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necessaria previsione della contrattazione collettiva, di revocare il consenso già manifestato ad una clausola elastica: se il lavoratore soffre di patologie oncologiche o se ne sono affetti il coniuge, i figli o i genitori; se convive con figli sotto i 13 anni o con familiari portatori di handicap; se è uno studente. Il lavoro supplementare è il lavoro reso oltre l’orario concordato nel contratto individuale ma entro il limite del tempo pieno. La legge prevede la possibilità di ricorrere al lavoro supplementare nel part-time di tipo orizzontale. Ciò non esclude che il lavoro supplementare possa ipotizzarsi anche nel lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto, tutte le volte che la prestazione stabilita sia inferiore all’orario normale settimanale. Spetta alla contrattazione collettiva individuare il numero massimo di ore effettuabili, le causali nonché le conseguenze del superamento dei limiti massimi consentiti. In presenza della regolamentazione collettiva non è inoltre necessario il consenso al lavoro supplementare da parte del lavoratore. L’eventuale rifiuto non può in ogni caso essere considerato un giustificato motivo di licenziamento. Anche in mancanza di regolamentazione collettiva il lavoro supplementare è comunque ammesso con il consenso del lavoratore interessato, fermo restando il limite del tempo pieno. Per quanto riguarda la retribuzione, la legge non prevede una maggiorazione per il lavoro supplementare, ma i contratti collettivi hanno tuttavia la facoltà di introdurre una maggiorazione oraria. Il lavoro straordinario è il lavoro prestato oltre la giornata lavorativa nel part-time di tipo verticale o misto. È consentito il ricorso al lavoro straordinario solo quando sia stato raggiunto il tempo pieno settimanale. In caso contrario, la variazione in aumento dell’orario può essere gestita mediante il ricorso al lavoro supplementare. Il contratto di lavoro può prevedere, in caso di assunzione di lavoratori full-time, un diritto di precedenza a favore di lavoratori assunti part-time presso unità produttive site nello stesso ambito comunale e adibiti alle stesse mansioni o a mansioni equivalenti a quelle a cui si riferisce l’assunzione. In caso di assunzione di lavoratori a tempo parziale, il datore di lavoro deve tempestivamente informare il personale già dipendente con rapporto a tempo pieno e deve prendere in considerazione le eventuali domande di

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trasformazione a tempo parziale degli stessi. Il datore di lavoro può rifiutare la trasformazione non dando alcuna motivazione. 4.6 Contratto di lavoro a progetto Si tratta di collaborazioni coordinate e continuative in cui l’attività prevalentemente personale è svolta senza vincolo di subordinazione nei riguardi del committente. Si caratterizza perciò per l’autonomia del soggetto che la svolge. L’attività del collaboratore deve essere riconducibile a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente. L’attività del collaboratore si deve svolgere nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi. Il contratto di lavoro a progetto è stipulato in forma scritta e deve contenere i seguenti elementi: 1. indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro; 2. descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire ; 3. il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese; 4. le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l’autonomia nell’esecuzione dell’obbligazione lavorativa; 5. le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall’art. 66, comma 4. Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito e non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico dai contratti collettivi in base alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati. In assenza di contrattazione collettiva specifica, si deve fare riferimento alle retribuzioni

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minime previste dai contratti collettivi per le figure professionali analoghe a quelle del collaboratore a progetto. La gravidanza, la malattia e l’infortunio del collaboratore a progetto non comportano l’estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo. Di regola, la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. In caso di gravidanza, la durata del rapporto è prorogata per un periodo di centottanta giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale. Al contratto di lavoro a progetto si applicano in particolare, le norme sul processo del lavoro; le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro, quando la prestazione lavorativa si svolge nei luoghi di lavoro del committente e le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il contratto di lavoro a progetto termina al momento della realizzazione del progetto. Le parti possono recedere prima solo per giusta causa. Il committente può altresì recedere qualora siano emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto. Il collaboratore può recedere prima della scadenza del termine, dandone preavviso, quando tale facoltà è prevista nel contratto individuale di lavoro. I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa sono convertiti in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato nei seguenti casi: 1. se non è stato individuato il progetto; 2. se l’attività del collaboratore è svolta con modalità analoghe a quelle dei lavoratori dipendenti dell’impresa committente. Sono fatte salve le prestazioni di elevata professionalità e la prova contraria del committente. Le disposizioni previste per le collaborazioni a progetto non si applicano a: t prestazioni occasionali; t lavoro autonomo professionale, effettuate da soggetti che esercitano un’attività rientrante tra le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi (ad esempio: ingegneri, architetti, psicologi, etc.); t componenti di organi di amministrazione e controllo delle società, membri di collegi e commissioni; t coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.

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4.7 Prestazioni con Partita Iva Le prestazioni lavorative rese da persone titolari di Partita Iva, salva la prova contraria, si considerano collaborazioni coordinate e continuative, e quindi soggette alla disciplina prevista per i contratti a progetto, se ricorrono almeno due delle seguenti ipotesi: 1. la collaborazione con lo stesso committente abbia una durata complessiva superiore a 8 mesi annui (anche non continuativi) per due anni consecutivi (anni civili dal 1° gennaio al 31 dicembre); 2. il corrispettivo costituisca più dell’80% dei corrispettivi annui percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi (due periodi consecutivi di 365 giorni, non necessariamente coincidenti con l’anno civile); 3. il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso il committente. Tale presunzione non opera se la prestazione: 1. è caratterizzata da competenze elevate, sia teoriche che tecnico-pratiche ed è svolta da un soggetto titolare di un reddito da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 1, comma 3 della Legge n. 233/1990 (pari ad € 18.357,30 per l’anno 2013); 2. è svolta nell’esercizio di attività professionali per le quali sia richiesta l’iscrizione in registri o albi. 4.8 Contratto di stage Con il termine “stage in azienda” si indica un’esperienza lavorativa svolta all’interno di un’azienda con obiettivo formativo. Lo stage in azienda consente allo stagista di essere inserito in una realtà aziendale che gli permetterà di apprendere maggiormente e più facilmente. Nei paesi anglosassoni tale modalità di apprendimento e di inserimento nel mondo del lavoro è denominata internship ed è una sistema per assumere (dopo il periodo di inserimento attraverso lo stage) giovani neodiplomati o neolaureati. Anche in Italia lo stage in azienda è una modalità per inserirsi in un contesto lavorativo rivolta agli studenti o a coloro che desiderano cambiare lavoro o reinserirsi in un contesto lavorativo dopo un periodo di pausa.

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Le proposte di stage sono generalmente il risultato del dialogo tra aziende, associazioni di studenti ed enti di formazione (scuole e università). Attraverso lo stage si acquisiscono delle competenze professionali e un’idea più chiara relativa al lavoro che si svolgerà in seguito. Possono proporre stage in azienda: aziende private, enti pubblici, organizzazioni no-profit. In Italia, nelle aziende che hanno più di 20 dipendenti, il numero di stagisti non può essere superiore al 10% del personale dipendente. La durata dello stage in azienda è variabile, solitamente è di tre o sei mesi rinnovabile sino ad 1 anno. Gli stage in azienda possono prevedere un rimborso spese, ma tale decisione è riservata all’ente erogatore. In Italia non è obbligatorio neanche il versamento dei contributi previdenziali da parte delle aziende; l’unico dovere dell’azienda che ospita lo stagista è quella di sostenere la spesa relativa alla copertura assicurativa antinfortunistica. Per attivare uno stage o un tirocinio formativo è necessario che esista un contratto di stage basato sulla convenzione stipulata tra l’ente promotore ed il soggetto ospitante, includente il progetto formativo stilato dal soggetto ospitante (sia pubblico che privato). Il progetto formativo deve essere firmato dal soggetto ospitante, dal tirocinante e dall’ente promotore. Quest’ultimo avrà l’onere di inviarne una copia alla Regione, al Ministero del Lavoro e alle rappresentanze aziendali. Lo svolgimento del progetto formativo e il tirocinante sono seguiti da altri due soggetti: tutor aziendale e tutor del soggetto promotore. Il tutor aziendale è un dipendente dell’azienda ospitante il tirocinio, denominato responsabile aziendale dello stage; il tutor del soggetto promotore è appunto nominato dall’ente che promuove lo stage (ad esempio il tutor accademico se il contratto di stage è promosso dall’università). Il contratto di stage è composto da diversi elementi tra cui la durata del tirocinio ed eventuali rimborsi spesa a favore del tirocinante. La durata del tirocinio formativo ha dei limiti massimi stabiliti in base alla condizione scolastica e occupazionale del tirocinante e va dai 4 mesi per gli studenti di istituti scolastici secondari ai 24 mesi per i soggetti portatori di handicap. Il contratto di stage «non costituisce rapporto di lavoro», ai sensi dell’art. 1, co. 2, DM 142/98 e quindi non prevede alcuna forma di retribuzione. Il soggetto ospitante, a sua discrezione, può corrispondere allo stagista un

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compenso come rimborso spese assoggettato alla ritenuta d’acconto a fini Irpef del 20%. In base alla Legge 24 giugno 1997, n. 19624 (Legge Treu) i soggetti ospitanti che accolgono giovani provenienti dalle regioni del sud Italia possono ottenere il rimborso totale o parziale degli oneri finanziari sostenuti per coprire le spese di vitto e alloggio del tirocinante (art. 9 regolamento, art. 18, Legge 196/97). La finalità del contratto di stage è quello di conseguire un’esperienza lavorativa pratica che per il tirocinante può essere il trampolino di lancio per il mondo del lavoro e per l’azienda ospitante consente di acquisire informazioni sui giovani prima dell’assunzione con notevoli vantaggi economici. Se il contratto di stage non si trasforma in contratto di lavoro, i tirocinanti possono spendere tale esperienza in termini di crediti formativi, se certificata dall’ente promotore. Il contratto di stage non include i minimi contrattuali previsti nei “classici” contratti di lavoro. Sono numerosi i casi in cui gli stagisti sono “invitati” in azienda perché essa necessità di personale in determinati momenti (ad esempio, sostituzione di un dipendente in maternità). Alcune aziende, a volte, ne approfittano per ottenere manovalanza a costi tendenti allo zero o per avere personale a cui far svolgere mansioni dequalificanti. Per tali ragioni, di contro, i stagisti insoddisfatti interrompono lo stage appena trovata un’occupazione più gratificante e stabile. In base alla Legge Treu possono essere soggetti promotori dei tirocini i seguenti soggetti: t centri, agenzie e sezioni circoscrizionali per l’impiego o enti che si occupino di obiettivi analoghi; t istituti e università che rilascino titoli accademici (gli enti possono essere statali e non statali); t provveditorati agli studi; t organismi scolastici (statali e non statali) che rilascino titoli di studio legalmente riconosciuti; t enti pubblici o a partecipazione pubblica che si occupino della formazione professionale e dell’orientamento al lavoro; t enti che offrano servizi di inserimento lavorativo per disabili; 24 GU del 4 luglio1997 n. 154 - Supplemento Ordinario n. 136.

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t organismi formativi privati, senza fini di lucro se autorizzati dalla Regione;

t comunità terapeutiche e cooperative sociali.

A volte la proposta ad uno di questi enti di attuare tirocini può essere promossa da enti bilaterali, dalle associazioni sindacali di lavoratori o di datori di lavoro. Gli obblighi dei soggetti promotori del tirocinio sono: t assicurare i tirocinanti controgli infortuni sul lavoro presso l’Inail; t assicurare i tirocinanti per la responsabilità civile verso terzi; t definire il progetto formativo del tirocinante; t stipulare il contratto di stage. È necessario che la copertura assicurativa comprenda anche le attività che il tirocinante svolge fuori dell’azienda, ma che rientrano nel progetto formativo. Possono ospitare tirocinanti tutte le imprese pubbliche o private. Il numero dei tirocinanti che un’azienda può ospitare dipende dal numero di dipendenti con contratto a tempo indeterminato (in base all’art. 1, DM 142/98) e sono: t massimo un tirocinante per le aziende fino a 5 lavoratori a tempo indeterminato; t 1 o 2 tirocinanti nelle aziende che hanno tra i 6 e i 19 dipendenti a tempo indeterminato; t un numero di tirocinanti non superiore al 10% dei dipendenti per le imprese con più di 20 lavoratori a tempo indeterminato. 4.9 Dottorato di ricerca in azienda Secondo uno studio del Centro Studi di Confindustria, il 75% dei 12 mila dottorandi italiani che ogni anno entra in un ciclo di dottorato non riuscirà ad accedere ai ruoli universitari. Ogni quattro PhD soltanto uno troverà uno sbocco nell’accademia. Dall’altra parte è sempre più forte la richiesta del mondo economico e produttivo di favorire gli investimenti in ricerca e innovazione per rilanciare la competitività e l’occupazione delle imprese25. 25 F. F. Sernia, Il dottorato di ricerca in azienda, in Il dottorato di ricerca - Profili innovativi, Ed. Apes 2013, p. 151.

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Sulla scia di questi dati è nato il dottorato di ricerca in azienda, con il ruolo di far incontrare il bisogno di molte aziende di risorse umane che siano capaci di “generare sviluppo” e l’esigenza degli scienziati di vincere la sfida delle nuove conoscenze e dell’innovazione. I percorsi triennali di dottorato in azienda sono in vigore dall’anno accademico 2013-2014, disciplinati dall’art. 11 del Dm 8 febbraio 2013 n. 4526, “Dottorato in collaborazione con le imprese, dottorato industriale e apprendistato di alta formazione”. Così come già avviene in molti Paesi europei, il regolamento apre le porte della formazione di terzo livello alle imprese creando una stretta collaborazione fra il sistema universitario – che rimarrà “sede amministrativa” e titolare del rilascio del titolo accademico – con il sistema produttivo. L’art. 11 stabilisce, nello specifico, che «le università possono attivare corsi di dottorato, previo accreditamento ai sensi dell’articolo 3, in convenzione con imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo. Le università possono altresì attivare corsi di dottorato industriale con la possibilità di destinare una quota dei posti disponibili, sulla base di specifiche convenzioni, ai dipendenti di imprese impegnati in attività di elevata qualificazione, che sono ammessi al dottorato a seguito di superamento della relativa selezione». Tra le fattispecie dei dottorati in azienda, disciplinati dalla legge, troviamo: t il «dottorato in collaborazione con le imprese» che si realizza attraverso il convenzionamento dei corsi e delle scuole di dottorato con «imprese che svolgono attività di ricerca e sviluppo»; t il «dottorato industriale»; t il contratto di apprendistato di alta formazione. 4.10 L’apprendistato di alta formazione Il contratto di apprendistato di alta formazione è un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato finalizzato all’acquisizione di un titolo, che integra la formazione pratica in azienda con l’alta formazione. Rappresenta un canale per un accesso qualificante dei giovani al lavoro, uno strumento fondamentale per favorire l’occupazione dei giovani e sviluppare competenze ritenute essenziali alle persone e ai sistemi produttivi. 26 GU del 6 maggio 2013 - Serie Generale n. 104.

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Si tratta di un contratto di lavoro finalizzato a favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro attraverso l’acquisizione di una professionalità specifica. Si caratterizza per l’alternanza di momenti lavorativi (nell’impresa) e momenti di formazione (all’università). Può essere stipulato prima del conseguimento di: - master di 1° e 2° livello; - dottorato di ricerca. Si può attivare l’apprendistato anche per lo svolgimento di attività di ricerca su tematiche di interesse del datore di lavoro. In questo caso, l’apprendista può essere laureato o diplomato. L’apprendistato può essere attivato in relazione all’intero percorso di formazione, o solo per una parte (ad esempio per la tesi di laurea). La durata minima è di sei mesi. Al conseguimento del titolo di studio, o al termine dell’attività di ricerca, l’apprendistato, a discrezione del datore di lavoro e dell’apprendista, può concludersi o proseguire come contratto di lavoro a tempo indeterminato. L’apprendista non deve avere compiuto 30 anni. Dal momento della stipula del contratto, l’apprendista è un lavoratore dipendente e il datore di lavoro è tenuto a versargli un corrispettivo per l’attività lavorativa svolta. I datori di lavoro sono privati, in qualunque settore di attività. Il contratto di apprendistato dà la possibilità di assumere e formare le nuove professionalità a un costo del lavoro vantaggioso: sono previsti sgravi retributivi e contributivi e un contributo per coloro che assumono apprendisti. Per quanto riguarda la retribuzione, la legge dà la possibilità di inquadrare l’apprendista fino a due livelli inferiori rispetto alla qualifica da conseguire e/o di riconoscere una retribuzione pari a una percentuale di quella prevista per un lavoratore già qualificato, secondo le indicazioni del contratto collettivo applicato. Inoltre, le imprese che assumono apprendisti possono beneficiare di un regime contributivo agevolato: Gli aspiranti apprendisti possono ricercare autonomamente l’impresa per l’apprendistato. Per attivare il contratto di apprendistato: t l’università e il datore di lavoro stipulano una convenzione; t il datore di lavoro e l’apprendista sottoscrivono il contratto di appren-

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distato, con applicazione del Contratto collettivo nazionale del lavoro (Ccnl) di riferimento; il contratto di apprendistato deve contenere, in forma sintetica, il piano formativo individuale, definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali. Il tutor universitario è un docente o ricercatore universitario che definisce, d’accordo con l’impresa, il piano formativo individuale (o il piano di ricerca) dell’apprendista, descrivendo in tale documento l’articolazione del progetto formativo (di ricerca), gli obiettivi dei singoli progetti e le modalità di coordinamento tra l’attività svolta in azienda e quella svolta in ambito universitario. Il tutor aziendale supporta l’apprendista per la durata del periodo di apprendistato, fornendogli gli elementi necessari per lo svolgimento dei compiti a lui affidati e favorendo l’integrazione tra la formazione-ricerca svolta in ambito aziendale e accademico, nel rispetto di quanto previsto dal Ccnl di riferimento. La normativa nazionale di riferimento, per l’apprendistato di alta formazione e ricerca, è il Decreto Legislativo 14 settembre 2011, n. 167 “Testo unico dell’apprendistato, a norma dell’articolo 1, comma 30, della Legge 24 dicembre 2007, n. 247”, articolo 5. La regolamentazione e la durata del periodo di apprendistato per attività di ricerca, per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione è rimessa alle Regioni, per i soli profili che attengono alla formazione sulla base di accordi con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, con le università, con le istituzioni formative, a seconda del titolo da acquisire (art. 5, c. 2, D.Lgs. n. 167/2011). 5. Crediti d’imposta per attività di ricerca Al fine di sostenere gli investimenti in ricerca e la collaborazione tra università e imprese, sono previste alcune agevolazioni – prevalentemente sotto forma di credito d’imposta – in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in università o enti pubblici di ricerca o che assumono ricercatori o profili altamente qualificati.

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Nella disamina degli strumenti per il placement dei laureati è necessario trattare anche questo aspetto della legislazione, che incentiva le imprese a investire in attività di ricerca e personale altamente qualificato. 5.1 Credito d’imposta per la ricerca scientifica L’articolo 3 del Dl n. 145 del 201327 (Destinazione Italia) ha istituito un credito di imposta a favore delle imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo, nel limite complessivo di 600 milioni di euro per il triennio 2014-2016, a valere sulla proposta nazionale relativa alla prossima programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali dell’Unione Europea. In sintesi, la misura prevede un credito d’imposta pari al 50% delle spese incrementali sostenute dalle imprese rispetto all’anno precedente, con un’agevolazione massima di 2,5 milioni di euro per impresa e una spesa minima di 50.000 euro in ricerca e sviluppo per poter accedere all’agevolazione. Inoltre, la norma definisce le attività di ricerca e sviluppo soggette all’agevolazione e le spese ammissibili. Per la sua attuazione è previsto un decreto ministeriale non ancora emanato. Si ricorda che in passato l’articolo 1 del Dl 70/201128 ha istituito un credito d’imposta, per gli anni 2011 e 2012, in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in università o enti pubblici di ricerca le quali possono sviluppare i progetti così finanziati anche in associazione, in consorzio, in joint venture, etc. con altre qualificate strutture di ricerca, anche private, di equivalente livello scientifico. Il comma 5 dell’articolo 1 quantifica gli oneri connessi all’attuazione delle disposizioni recate dall’articolo in esame in 55 milioni di euro per l’anno 2011, 180,8 milioni di euro per l’anno 2012, 157,2 milioni di euro per l’anno 2013 e 91 milioni di euro per l’anno 2014. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze è tenuto al monitoraggio di tali oneri. 5.2. Credito d’imposta per profili altamenti qualificati L’articolo 24 del Dl 83 del 201229 ha istituito un credito d’imposta in favore di tutte le imprese, indipendentemente dalle dimensioni e dalla forma 27 GU 21 febbraio 2014, n. 43. 28 GU 12 luglio 2011, n. 160. 29 GU n. 147 del 26 giugno 2012 - Supplemento Ordinario n. 129.

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giuridica, che effettuino nuove assunzioni a tempo indeterminato di soggetti con profili «altamente qualificati». Il credito d’imposta è pari al 35% del costo aziendale sostenuto per l’assunzione; l’importo del credito non può superare i 200.000 euro annui per impresa. In particolare, il credito d’imposta è riservato alle assunzioni di dottori di ricerca con titolo conseguito presso una università italiana o estera se riconosciuta equipollente in base alla legislazione vigente in materia o di personale in possesso di una laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico, impiegato in attività di ricerca e sviluppo specificatamente descritte dalle norme stesse. Il credito d’imposta per le nuove assunzioni di soggetti altamente qualificati è stato esteso (dal Dl 179 n. del 201230) anche alle imprese qualificabili come «startup innovative», con modalità semplificate di fruizione. Si segnala al riguardo il decreto 23 ottobre 201331, volto a dare attuazione al contributo sotto forma di credito di imposta alle imprese, per l’assunzione a tempo indeterminato di personale impiegato in attività di ricerca e sviluppo. 5.3 Fondo per credito d’imposta per ricerca e sviluppo La Legge di stabilità per il 2013 (L. n. 228 del 201232, commi da 95 a 97 dell’art. 1) ha istituito un fondo per la concessione di un credito d’imposta per la ricerca e lo sviluppo con particolare riferimento alle piccole e medie imprese, nonché per ridurre il cuneo fiscale. Detto fondo è istituito presso la Presidenza del Consiglio ed è finanziato dalla progressiva riduzione degli stanziamenti di bilancio destinati ai trasferimenti e ai contributi alle imprese. Il credito d’imposta è riservato alle imprese e alle reti d’impresa che affidano progetti di ricerca e sviluppo a università ed enti/organismi di ricerca o che realizzano investimenti nel settore. Il Ministro dell’Economia e il Ministro dello Sviluppo Economico sono tenuti a riferire alle Commissioni parlamentari competenti circa l’individuazione e la quantificazione dei trasferimenti e dei contributi concessi, ai fini dell’adozione delle conseguenti iniziative di carattere normativo. L’istituzione del fondo avviene secondo criteri e modalità definiti di 30 GU n. 245 del 19 ottobre 2012 - Supplemento Ordinario n. 194. 31 GU del 21 gennaio 2014 - Serie Generale n. 16. 32 GU n. 302 del 29 dicembre 2012 - Supplemento Ordinario n. 212.

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concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze e con il Ministero dello Sviluppo Economico. Detto fondo è finanziato mediante le risorse derivanti dalla progressiva riduzione degli stanziamenti di parte corrente e di conto capitale iscritti in bilancio destinati ai trasferimenti e ai contributi alle imprese. Pertanto tale Fondo non avrebbe, al momento, alcuno stanziamento, ma verrebbe alimentato a seguito della revisione degli incentivi sopra citata. Il credito d’imposta è riservato alle imprese e alle reti di impresa che affidano attività di ricerca e sviluppo a università, enti pubblici di ricerca o organismi di ricerca, ovvero che realizzano direttamente investimenti in ricerca e sviluppo. 5.4 Fondo per la crescita sostenibile L’articolo 23 del Dl 83/201233 ha previsto il riordino degli strumenti esistenti per l’incentivazione delle attività imprenditoriali, trasformando, tra l’altro, il Fondo speciale rotativo per l’innovazione tecnologica (Fit) nel Fondo per la crescita sostenibile, chiamato a promuovere i progetti di ricerca strategica, il rafforzamento della struttura produttiva e la presenza internazionale delle imprese nazionali, e abrogando numerose disposizioni che prevedono diversi meccanismi di incentivazione alle imprese. Con il Dm 8 marzo 201334, sono state individuate le priorità, le forme e le intensità massime di aiuto concedibili nell’ambito del Fondo per la crescita sostenibile. Con il Dm 20 giugno 201335 una quota pari a 300 milioni di euro delle risorse disponibili nel Fondo per la crescita sostenibile è stata attribuita per il finanziamento di un primo intervento per la promozione di progetti di ricerca e sviluppo di rilevanza strategica per il sistema produttivo e, in particolare, per la competitività delle piccole e medie imprese. La Legge di stabilità 2014 (Legge n. 147 del 201336, articolo 1, comma 26) ha incrementato la dotazione del Fondo per la crescita sostenibile della somma di 100 milioni di euro per l’anno 2014 e di 50 milioni di euro per 33 GU n. 147 del 26 giugno 2012 - Supplemento Ordinario n. 129. 34 GU del 27 giugno 2013 - Serie Generale n. 149. 35 GU del 28 settembre 2013 - Serie Generale n. 228. 36 GU n. 302 del 27 dicembre 2013 - Serie Generale - Supplemento Ordinario n. 87.

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l’anno 2015, destinata all’erogazione dei finanziamenti agevolati. Con decreto del 25 luglio 201437 sono stati individuati i termini e le modalità di presentazione delle domande per l’accesso alle agevolazioni del Fondo per la crescita sostenibile. 6. Principali progetti in materia di placement: risultati positivi e criticità Le politiche attive per il lavoro e l’inserimento lavorativo sono priorità cui il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dà attuazione attraverso progetti definiti nell’ambito di strategie dell’unione europea. Sebbene la strategia sia definita a livello unionale, lo stanziamento dei fondi è responsabilità degli Stati membri e delle regioni dell’Ue. Gli Stati membri designano le autorità nazionali di gestione che hanno la responsabilità di selezionare i progetti, erogare i fondi e valutare progressi e risultati dei progetti. I progetti hanno come obiettivo: t la realizzazione di politiche attive per attenuare le ripercussioni della crisi economica (ad esempio Welfare to Work); t l’inserimento lavorativo dei giovani che escono dai percorsi di istruzione e formazione (ad esempio FIxO); t la promozione di interventi che coniugano azioni di inserimento occupazionale e di qualificazione dei servizi alle imprese (ad esempio Amva e Loa); t l’inserimento socio-lavorativo di persone che, trovandosi in condizioni di disagio (detenuti, ex-detenuti, disabili, etc.), hanno bisogno di specifiche misure di sostegno (ad esempio Spl); t lo sviluppo di programmi finalizzati a qualificare il sistema dei servizi di incontro domanda/offerta di lavoro nella gestione dei flussi di lavoratori immigrati (ad es. Re.La.R.); t la promozione dell’incontro tra domanda e offerta all’interno del mercato del lavoro europeo (ad esemio The job of my life, Pass); La gestione e la realizzazione di alcuni di questi progetti è affidata a 37 GU del 4 agosto 2014 - Serie Generale n.179.

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Italia Lavoro, la società partecipata che opera come ente strumentale del Ministero38. 6.1 Pass Il progetto più recente, gestito da Italia Lavoro, è “PASS - Sistema nazionale degli Incentivi all’Occupazione”39. L’intento del progetto è quello di fornire una panoramica chiara e completa di tutti gli incentivi disponibili in Italia, raccogliendoli in un’unica area informativa. L’idea è quella di divulgare tutti i provvedimenti nazionali e regionali, i bandi e le opportunità esistenti. Gli incentivi all’assunzione e all’auto-impiego sono misure di politica attiva finalizzate ad aiutare i disoccupati, soprattutto se svantaggiati, a trovare nel tempo più breve un’occupazione dipendente o un lavoro autonomo e le persone a rischio di licenziamento a mantenere il lavoro. Sono costituiti da sgravi contributivi o da contributi economici alle imprese che assumono i disoccupati che hanno difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro e da sostegni economici e da assistenza tecnica ai disoccupati che intendono avviare un’attività autonoma o imprenditoriale. Gli incentivi all’occupazione sono raccolti e classificati in tutte le loro caratteristiche, privilegiando il punto di vista del lavoratore, in modo da evidenziare in modo facile e immediato la raccolta delle “doti” di cui dispone una particolare categoria o di cui il cittadino può usufruire in una determinata condizione lavorativa. 6.2 Campus Mentis Campus Mentis40 è un’azione organica di career guidance dedicata ai migliori laureati d’Italia e fa parte del pacchetto “Diritto al Futuro” della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il progetto prevede l’erogazione di una serie di servizi e attività ad alto valore aggiunto a giovani under 30, laureati e laureandi, provenienti da tutta Italia. Campus Mentis nasce come progetto sperimentale che, utilizzando la formula residenziale, ha come obiettivo quello di far vivere ai giovani ne38 Sub infra § 2.2.4. 39 http://www.italialavoro.it/wps/portal/pass 40 http://www.campusmentis.it/

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olaureati e laureandi un’esperienza qualificante di crescita professionale e personale. Oltre allo sport e alla formazione come temi trattati durante le varie sessioni, Campus Mentis si pone anche la finalità di far incontrare domanda e offerta di lavoro, orientare i giovani nelle scelte che possono dare maggiori opportunità occupazionali, formare sulle modalità più efficaci di candidatura. La finalità del progetto è quella di offrire ai destinatari un’opportunità gratuita, vissuta all’interno di campus residenziali, per approfondire il proprio percorso professionale, partecipare a sessioni di info-formazione, incontrare le più importanti aziende e agenzie del lavoro, partecipare ad eventi sportivi ed happening serali. Nel 2009, grazie al progetto pilota Global Village Campus (in accordo di collaborazione con l’Università di Roma “La Sapienza” - Centro di Ricerca ImpreSapiens), 600 laureati under 35, selezionati dalle università di tutto il territorio nazionale, hanno partecipato a un’esperienza di formazione, orientamento e incontro con le più importanti aziende italiane ed estere. In un contesto residenziale per diversi giorni, 24 ore al giorno, sono stati valutati in occasioni formali e informali dai “cacciatori di teste” del mondo produttivo. Visti i risultati conseguiti con la prima edizione, l’esperienza pilota è stata replicata nel 2010 attraverso il progetto Campus Mentis, che ha visto triplicare assieme ai posti disponibili anche le sedi (Roma, Catania e Padova) e le opportunità. Grazie all’esperienza maturata sul campo, il progetto continua su scala nazionale. Oltre 20mila studenti sono stati coinvolti dell’esperienza del Campus Mentis nel triennio 2011-2013, e oltre 40mila tra i migliori neolaureati e laureandi d’Italia sono già stati coinvolti nell’attività di job placement. Mentis Arena è uno spazio dove – tramite un innovativo database – si fanno incontrare i due estremi che difficilmente dialogano, ovvero i migliori talenti di Campus Mentis e le più importanti aziende nazionali e internazionali che aderiscono al progetto. È un sistema proprietario sviluppato nel corso delle edizioni con l’esperienza maturata sul campo, al fine di massimizzare il matching tra utenti. Il punto di forza è utilizzare uno schema “molti a molti”, cercando di massimizzare le possibilità di matching

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del sistema. La finalità principale di Mentis Arena, quindi, è mettere in contatto giovani talenti e aziende a prescindere dal loro incontro fisico. All’atto della registrazione al database di Campus Mentis, coloro che superano le selezioni per essere ammessi ai campus vengono inseriti nella Mentis Arena. Possono inoltre accedere alla Mentis Arena solo le aziende e i partner aderenti a Campus Mentis e che sottoscrivono il relativo accordo. Il funzionamento e l’assistenza tecnica per ottimizzare i risultati di Mentis Arena vengono supportati dallo staff di Campus Mentis. La durata dell’accesso al Mentis Arena è collegata alla partecipazione al campus ed è di almeno un anno. In questo periodo i candidati e le aziende hanno tutto il tempo per incontrarsi. 6.3 Phd Talents I dottori di ricerca entrano nelle aziende per portare le loro competenze qualificate nel mondo del lavoro e per intensificare le relazioni fra imprese e università. È possibile grazie al progetto “PhD Italents”41, finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur), con 11 milioni per 136 borse. 136 giovani dottori di ricerca lavoreranno in imprese innovative per un periodo non inferiore a due anni. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con la fondazione della Conferenza dei Rettori (Crui) e con Confindustria. Il finanziamento totale è di 16,2 milioni, 11 dei quali stanziati dal Miur attraverso il Fondo integrativo speciale per la ricerca e il resto da privati. «Vogliamo trattenere i migliori talenti, dando la possibilità di completare la loro formazione d’eccellenza in imprese all’avanguardia», ha dichiarato il Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Stefania Giannini. «Coinvolgere le aziende in questi progetti significa cominciare a gettare le basi per un futuro diverso del nostro Paese, in cui il dottorato di ricerca non resta più confinato solo in ambito universitario, ma diventa un titolo strategico per assunzioni di alto livello in imprese che vogliono fare innovazione puntando sui nostri giovani cervelli». Il prossimo passo sarà un Accordo di Programma tra il Miur e i soggetti che hanno proposto il progetto. Saranno coinvolte, rileva il Ministero, 41 http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/cs010814bis

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«le più significative esperienze imprenditoriali italiane dei settori di rilevanza strategica individuati dal Piano nazionale per la Ricerca: energia, agroalimentare, patrimonio culturale, mobilità sostenibile, salute e scienza della vita». Coordinamento, monitoraggio e valutazione dell’intero processo sono affidati alla Fondazione Crui e ad una cabina di regia dedicata composta da Miur, Crui e Confindustria. Allo studio, infine, la possibilità di valutare l’estensione del progetto a un numero più ampio di beneficiari. 6.4 Almalaurea AlmaLaurea è un Consorzio interuniversitario nato in Italia nel 1994. Ad oggi rappresenta quasi l’80% per cento dei laureati italiani (1.945.000 cv presso 65 atenei italiani al 5 marzo 2014) ed è aperto, in una prospettiva internazionale, alla collaborazione degli atenei esteri. AlmaLaurea è nata al servizio dei laureati, delle università e delle imprese. Con questo obiettivo rende disponibile una documentazione sul capitale umano formato ai più alti livelli e realizza la banca dati online dei laureati, per agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro nel mercato nazionale e per favorire la mobilità transnazionale. Il Consorzio interuniversitario AlmaLaurea opera per agevolare e democratizzare l’accesso dei giovani al mercato del lavoro italiano ed internazionale. In particolare: t facilita l’accesso e migliora la collocazione dei giovani nel mondo del lavoro, agevola le aziende nella ricerca del personale, riduce i tempi d’incontro fra domanda e offerta di lavoro qualificato; t garantisce la valorizzazione delle risorse umane con il continuo aggiornamento della carriera professionale dei laureati/diplomati; t cura il monitoraggio dei percorsi di studio degli studenti ed analizza le caratteristiche e le performance dei laureati consentendone il confronto fra differenti corsi, sedi di studio e facoltà; t analizza l’efficacia interna dell’offerta formativa degli atenei; t valuta le esigenze e i profili professionali richiesti dalle aziende pubbliche e private, italiane ed estere; t analizza l’efficacia esterna delle proposte formative attraverso il monitoraggio degli sbocchi occupazionali;

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t sviluppa un raccordo sinergico con la scuola media superiore al fine

dell’orientamento dei diplomati agli studi universitari e al mercato del lavoro; t promuove ogni iniziativa volta al raggiungimento degli obiettivi di cui sopra sia a livello nazionale sia europeo. AlmaLaurea al momento è fortemente impegnata sull’internazionalizzazione dei propri servizi, nell’ottica di una società europea della conoscenza, così come fissata dalla Strategia di Lisbona. L’obiettivo è stabilire rapporti di cooperazione in Europa e a livello extra-europeo, con particolare attenzione al bacino del Mediterraneo, offrire a partner esteri le proprie competenze per la costituzione di reti di atenei e banche dati di laureati, costruire network internazionali utili alla valorizzazione dei giovani. Nel 2008 nasce AlmaLaurea.net: tutta la documentazione e i curriculum vitae sono resi disponibili in lingua inglese a rettori, organi di governo, istituzioni, imprese, studi professionali o pubbliche amministrazioni di qualsiasi Paese estero, secondo un modello che ha permesso l’equiparazione dei titoli di studio e delle discipline in Europa, consentendo ai laureati la massima diffusione all’estero del proprio curriculum. Il Consorzio è sostenuto dalle università aderenti, con il contributo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dalle imprese e gli enti che utilizzano la banca dati e i servizi AlmaLaurea. Dall’esperienza AlmaLaurea è nata AlmaDiploma per creare un ponte tra il sistema di istruzione secondario, l’università e il mondo del lavoro. 6.5 Garanzia Giovani Garanzia Giovani (Youth Guarantee)42 è il Piano Europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile. Si tratta di un’iniziativa concreta che aiuta i giovani a entrare nel mondo del lavoro, valorizzando le attitudini e il background formativo e professionale. Programmi, iniziative, servizi informativi, percorsi personalizzati, incentivi: sono queste le misure previste a livello nazionale e regionale per offrire opportunità di orientamento, formazione e inserimento al lavoro, in un’ottica di collaborazione tra tutti gli attori pubblici e privati coinvolti. 42 Sub infra cap. 1.

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Oltre che ai partner istituzionali, Garanzia Giovani si rivolge a tutte le imprese interessate ad attivarsi per offrire possibilità concrete di lavoro e formazione e ad attrarre nuove risorse, beneficiando delle agevolazioni previste nelle diverse Regioni. 6.6 Indagine Stella A fini di cooperazione e armonizzazione è stata stipulata una convenzione tra atenei43 per il coordinamento delle attività di monitoraggio, analisi statistica e valutazione dei percorsi pre e post-laurea, e dei progetti a supporto della gestione di servizi a favore dei laureati. Le linee strategiche ed evolutive del progetto vengono stabilite da un comitato scientifico, cui ogni ateneo partecipa con un suo rappresentante. Nell’ambito dell’iniziativa, sono attive le seguenti attività annuali: t Indagine sul profilo dei laureati. Articolata per ateneo e per gruppi disciplinari, prevede la produzione di un rapporto annuale che esamina tutti i laureati dell’ultimo triennio, costruendo un profilo del laureato secondo le principali caratteristiche quali: età alla laurea, diploma di maturità, punteggio negli esami, voto di laurea, regolarità negli studi, durata degli studi. Ogni anno viene pubblicato un volume sull’analisi dei laureati degli ultimi 3 anni. t Indagine occupazionale post-laurea a 12-15 mesi. Il comitato scientifico ha recentemente deciso di monitorare gli sbocchi occupazionali dei laureati a circa un anno dalla laurea, mediante indagine campionaria/censuaria, a scelta degli atenei aderenti, realizzata tramite opportuno questionario somministrato telefonicamente. t Indagine occupazionale post-laurea a 36 mesi. Il comitato scientifico monitora la situazione dei laureati a 36 mesi dalla laurea a partire dai laureati anno solare 2004. t Indagine occupazionale post-laurea a 60 mesi. Il comitato scientifico ha deciso di monitorare la situazione dei laureati, a partire dai laureati anno solare 2005. t Indagine occupazionale post-dottorato a 12 mesi dalla laurea. Il comitato scientifico ha deciso di monitorare la situazione dei dottori di ricerca. 43 Per l’anno 2014 gli atenei che hanno aderito sono: Università di Bergamo, Università di Brescia, Università di Milano, Università di Palermo, Università di Pavia, Università di Pisa.

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L’iniziativa è aperta a tutti gli atenei italiani interessati. Ogni ateneo può aderire a una o a più delle iniziative proposte. Aderire all’iniziativa interuniversitaria Stella permette agli atenei di avere a disposizione la base informativa indispensabile per valutare, da un lato, fino a che punto siano stati raggiunti i risultati di apprendimento attesi per i propri laureati, dall’altro, il grado di coerenza dei percorsi formativi offerti con i profili professionali richiesti dal mondo del lavoro. Infatti, il notevole contenuto informativo che l’archivio Stella offre e le potenzialità interpretative delle analisi statistiche costituiscono un valido supporto per i coordinatori dei corsi di studio e per i presidi che sono chiamati a progettare le nuove offerte formative, nonché per il Nucleo di Valutazione che le deve valutare sotto l’aspetto tecnico ed il Senato accademico che le deve approvare. 6.7 Vulcano - Vetrina Universitaria Laureati con Curricula per le Aziende Navigabile On-line Vulcano, oggi conta al suo attivo più di 500.000 curricula inseriti, di cui quasi 300.000 in vetrina ed è diventato un pool di servizi integrati, realizzato con il supporto dei rappresentanti del placement degli atenei coinvolti. Vulcano è un sistema nato per salvaguardare l’autonomia delle singole università nella gestione del placement. Il rispetto di questo principio ha permesso di realizzare un sistema decentrato in grado di integrare realtà tra loro differenti e di soddisfare le esigenze di personalizzazione espresse dai singoli atenei, i quali sono quindi direttamente coinvolti quali soggetti erogatori del servizio a favore dei propri studenti iscritti, dei propri laureati e delle aziende che interrogano la banca dati dei laureati di ateneo. Il sistema è corredato di strumenti di back-office che permettono il controllo e la gestione dei moduli di front-end. I dati del laureato attinenti la carriera universitaria sono certificati. Gli atenei aderenti garantiscono l’affidabilità dei dati ufficiali depositati presso i rispettivi archivi amministrativi di ateneo. Il laureato viene registrato subito dopo il conseguimento della laurea con una scheda già precompilata con i dati anagrafici e di carriera scolastica (importati automaticamente dal Sistema Informativo delle Segreterie Studenti, ad ogni sessione di laurea) e con le informazioni (relative sia alle

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competenze e aspirazioni professionali, sia alla valutazione della propria esperienza universitaria) provenienti dal questionario laureandi. Il laureato ha poi la possibilità di completare il proprio curriculum con l’aggiunta di dati personali di autovalutazione e autocertificazione. Dal 2009 Vulcano ha reso disponibile all’utenza il servizio della Bacheca con le offerte di lavoro e stage. Il servizio è organizzato in tre distinti moduli applicativi rivolti alle tre aree di utenza: aziende, laureandi/laureati, uffici di job-placement di ateneo. I vantaggi per l’azienda – rispetto alle molteplici alternative presenti sul mercato ed equivalenti sul piano tecnologico – risiedono nel fatto che l’offerta è ritagliata per l’ambito universitario con il supporto fondamentale dell’ufficio di job-placement, e quindi specializzata per profili professionali qualificati. Inoltre, la garanzia di ricevere candidature di laureati corredate da un curriculum con dati di carriera certificati dall’ateneo di provenienza permette alle aziende di avere profili adeguati e di qualità. 6.8 Soul - Sistema Orientamento Università Lavoro, una buona prassi a livello regionale Il portale www.jobsoul.it si configura come un bene pubblico che, in forma assolutamente gratuita, può essere utilizzato da tutti gli studenti iscritti negli atenei del Lazio alla ricerca di un lavoro o di un tirocinio e da tutte le imprese registrate che intendono proporre un’occasione di lavoro o di stage per le alte professionalità. L’obiettivo è quello di costruire, attraverso la progettazione e l’utilizzo di un nuovo sistema informatico avanzato e di servizi “in presenza”, una stretta rete di collaborazione per affrontare il complesso tema del placement e dell’orientamento al lavoro per studenti e laureati. Gli uffici placement e orientamento al lavoro degli Atenei Sapienza e Roma Tre hanno fornito al Caspur – attualmente Cineca – tutti i contenuti e gli elementi di funzionalità del sistema informatico curandone, nel corso del tempo, la gestione e l’aggiornamento. Anche grazie a questa collaborazione, il 14 novembre 2011 è stato possibile mettere online il portale. I servizi offerti a studenti e laureati sono: t servizi di orientamento per assistenza sull’utilizzo del portale e colloqui di orientamento al lavoro con gli operatori dislocati negli atenei

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aderenti all’intesa Soul;

t sportello autoimpiego - Business Innovation Centre (Bic) del Lazio

per informazioni e consulenze sulla creazione e lo sviluppo di nuove attività imprenditoriali; t sportello OPeN dell’Engim per un servizio di orientamento centrato sulla personalizzazione dei percorsi formativi e professionali. Per agevolare i processi d’inserimento lavorativo e realizzare un’efficace collaborazione tra mondo produttivo e sistema formativo, le imprese sono supportate nella propria attività di recruiting dai servizi di: t accoglienza, informazione e assistenza nella pubblicazione online degli annunci di lavoro e tirocinio e nell’individuazione dei profili più coerenti. Soul assiste l’impresa nell’individuazione dei profili disponibili, nella ricerca del personale, nell’individuazione delle possibili soluzioni fino alla preselezione del personale; t gestione degli annunci pubblicati. Soul permette di inserire, prorogare o disattivare la pubblicazione degli annunci di lavoro, tirocinio e stage sul portale; t job matching tra gli annunci di opportunità di lavoro pubblicati sul sito e i curricula contenuti nel portale. Soul permette di effettuare un matching tra gli annunci di opportunità di lavoro pubblicati sulla piattaforma e i curricula contenuti nel portale, per trovare una figura professionale specifica. Registrandosi sul portale di Soul le imprese hanno l’opportunità di: t consultare una banca dati di curricula formativo-professionali degli iscritti al portale; t inserire, modificare e pubblicare le offerte di lavoro e di stage sul portale e selezionare direttamente i candidati prescelti per i colloqui; t visualizzare in tempo reale i curricula dei candidati che rispondono agli annunci e decidere in maniera autonoma le modalità di selezione; t attivare tirocini formativi in convenzione con gli atenei di riferimento. 6.9 Fondazione Emblema - Borsa del Placement e Borsa della ricerca La Fondazione Emblema44 è un’impresa educativa costituita per favo44 http://www.fondazioneemblema.it/index.php

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rire lo sviluppo e la valorizzazione del capitale umano, in particolare attraverso iniziative di raccordo tra la formazione, la ricerca e il mondo del lavoro, nonché lo sviluppo di percorsi di autoimprenditoria. La Fondazione promuove attività in grado di migliorare il rapporto tra enti di formazione e imprese, con particolare attenzione a ciò che riguarda l’orientamento al lavoro e il trasferimento tecnologico. Si propone, inoltre, di creare un raccordo diretto tra i diversi target, superando ogni qualsivoglia logica di intermediazione. Con le sue attività, la Fondazione vuole aumentare nei giovani la capacità di definire il proprio obiettivo professionale e di perseguirlo attraverso gli studi, la ricerca attiva del lavoro o la creazione di startup. I progetti di punta della Fondazione sono la Borsa del Placement45 e la Borsa della Ricerca46, due iniziative parallele e complementari che rappresentano un punto di riferimento per quanti, negli atenei, nelle aziende e nelle istituzioni sono impegnati nelle dinamiche della transizione studiolavoro e del trasferimento tecnologico. I Forum delle Borse sono manifestazioni con un format estremamente concreto, incentrato sull’organizzazione di appuntamenti “one to one”: dal 2007 sono stati organizzati oltre 11.000 incontri che hanno dato vita ad innumerevoli collaborazioni. La Fondazione Emblema promuove numerose iniziative di coaching online –attraverso webinar interattivi – e offline dedicati a uffici placement e giovani di scuole e università; inoltre supporta i propri partner con progetti di consulenza mirati sui temi del placement e dell’employer branding. Emblema è costituita come Fondazione di partecipazione, un soggetto aperto a cui possono accedere tutti coloro, singoli soggetti e persone giuridiche, che ne condividono gli obiettivi e sono interessati a dare il loro contributo. Borsa del Placement La Borsa del Placement, con numerose attività online e sul territorio, è stata creata per ottenere un raccordo permanente tra enti di formazione 45 http://www.borsadelplacement.it/index.aspx 46 http://www.borsadellaricerca.it/index.aspx

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e imprese con l’obiettivo di favorire concretamente la transizione dalla formazione al lavoro dei neolaureati e dei neodiplomati. Oggi il network comprende oltre 50 scuole e 80 atenei, più di 100 aziende, oltre a numerose istituzioni. La Borsa si compone di diverse iniziative: - News: la bacheca del placement; - Virtual Fair: il career day virtuale per laureandi e laureati e diplomandi e diplomati; - Coaching: attività di orientamento al lavoro per diversi target; - Forum: appuntamento annuale per docenti, delegati al placement e manager Hr; - Albo delle professioni: sezione dedicata ai mestieri con un motore di ricerca facile e intuitivo; - All Stars Meeting: evento di incontro tra candidati top e manager aziendali all’interno del Forum annuale. Le iniziative si integrano al fine di raggiunge molteplici target: - uffici placement di università italiane ed estere; - aziende Pmi e corporate; - laureandi e neolaureati che entrano nel mondo del lavoro; - diplomandi e diplomati delle scuole superiori; - genitori e familiari di studenti e giovani lavoratori; - enti e istituzioni. Borsa della Ricerca La Borsa della Ricerca è un’iniziativa che favorisce il contatto tra il mondo della ricerca universitaria (gruppi, dottori di ricerca o spin-off) e quello delle imprese, per creare occasioni concrete di trasferimento di tecnologia e innovazione. Il progetto si avvale di strumenti innovativi online e offline, incontri e iniziative che permettono di soddisfare contemporaneamente esigenze inerenti la ricerca scientifica e l’innovazione, ma anche il network e il recruiting. Mediante queste soluzioni i partecipanti della Borsa della Ricerca possono ottenere con rapidità risultati concreti ed efficaci. La Borsa è quindi un progetto multicanale in continua evoluzione che accoglie le diverse sol-

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lecitazioni di tutti gli interlocutori coinvolti e cresce continuamente grazie all’interazione e ai contributi dei partecipanti. Il progetto si compone di diverse iniziative: - News: la bacheca della ricerca; - Doc: la piattaforma di ricerca e selezione ideata per favorire la transizione dei dottori di ricerca dal mondo accademico a quello delle imprese; - Coaching: attività di orientamento per diversi target; - Forum: appuntamento annuale tra mondo della ricerca universitaria e imprese. Le iniziative si integrano al fine di raggiunge molteplici target: - Tto e Ilo; - incubatori, distretti, reti; - aziende Pmi e corporate; - dottori di ricerca; - enti e istituzioni.

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Soft skills: competenze che rafforzano un titolo di studio o professionale Maria Cinque

1. Skills e mondo del lavoro 1.1 Skill mismatch Il primo obiettivo della strategia Europa 2020 è fare in modo che il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni abbia un lavoro. All’interno di questo obiettivo chiave uno dei problemi che maggiormente preoccupa l’Unione Europea è la disoccupazione giovanile, che in molti Paesi, ma soprattutto nel nostro, ha raggiunto livelli molto elevati. In particolare, preoccupa la difficoltà di accesso al mondo del lavoro dei laureati che faticano a trovare lavoro e soprattutto a trovare lavori adeguati al loro livello di preparazione. L’indagine All (Adult Literacy and Life Skills, 2005) dell’Ocse1 ha mostrato l’esistenza di un numero di posti di lavoro di livello elevato (dirigenti, quadri) sia occupato da persone con titolo di studio non adeguato. Viceversa, secondo dati Eurostat elaborati da Curtarelli e Gualtieri nel 20102, gli occupati in possesso di titolo di studio universitario non sempre si ritrovano a svolgere un lavoro i cui contenuti rispecchiano le skills acquisite nel corso degli studi universitari e occupano talvolta posizioni lavorative alle quali si potrebbe accedere con titoli 1 Sc (Statistics Canada) & Oecd (Organisation for Economic Co-operation and Development), Learning a Living: First results of the adult literacy and life skills survey. Paris, Oecd, Url: http://www.oecd.org/education /country-studies/34867438.pdf 2 M. Curtarelli, V. Gualtieri, Investire nella propria istruzione garantisce un lavoro di qualità? Non sempre...: evidenze dal caso italiano, relazione presentata al XXV Convegno dell’Associazione Italiana Economisti del Lavoro, Pescara, 9-10 settembre 2010.

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di studio di livello inferiore3. La scarsa coerenza tra titolo di studio e tipo di lavoro (skill mismatch) è particolarmente accentuata in Italia, Paese che si caratterizza per un paradosso: da un lato, il basso numero di laureati, il “capitale umano”; dall’altro, un non adeguato rendimento salariale per chi studia. In sintesi, le scelte di investire in istruzione si sono rivelate sempre meno convenienti per le prospettive di reddito dei lavoratori. Come dimostrano numerose ricerche e le azioni intraprese dai singoli governi e al livello europeo, il futuro è nettamente orientato alla crescita di posti di lavoro qualificati. Skills, occupazione e crescita economica sono elementi talmente interconnessi tra loro, che in alcuni Paesi europei, pur in presenza della crisi, è stata stimolata l’occupazione ad alta intensità di conoscenze, capace di generare un forte valore aggiunto. Secondo il Rapporto Isfol 2012, l’Italia ha invece disinvestito nei lavori ad alta qualificazione, per i quali nell’ultimo quinquennio è stata registrata una flessione pari all’1,8%, a fronte di una crescita del 13% in Francia e alla sostanziale stabilità in Germania. Nel quadro europeo, il nostro Paese è gravato da un marcato problema di mancanza di equità, soprattutto territoriale, e da un problema strutturale legato alla certificazione delle competenze. Il mismatch tra domanda e offerta di capitale umano viene considerato nella letteratura sull’argomento un fenomeno complesso, difficile da demarcare e da misurare, in quanto potenzialmente attribuibile a diverse cause4. Una delle prime cause del mismatch , e in particolare del fenomeno noto come overeducation, sono le asimmetrie informative esistenti sul mercato del lavoro, soprattutto nella fase di accesso al primo impiego. Più nello specifico, la carenza di informazioni sulle opportunità di lavoro maggiormente corrispondenti al percorso di studi effettuato, e in grado di massimizzarne il rendimento, sembrerebbe legato al livello e al tipo di istruzione di cui si è in possesso. Infatti, ambiti di studio più circoscritti e specifici sarebbero associati a un maggiore accesso alle informazioni sui posti di lavoro coerenti con le abilità acquisite dall’individuo, riducendo così le probabilità di incorrere in un mismatch . Viceversa, ad ambiti di istruzione più 3 Isfol (Istituto per la formazione professionale dei lavoratori), Rapporto Isfol 2012. Le competenze per l’occupazione e la crescita, Isfol, Roma 2012, pp. 88-89. 4 F. Ferrante, Educational/Skill mismatch: cosa ci dicono i dati AlmaLaurea?, Presentazione della XII Indagine sulla condizione occupazionale dei laureati, Cosenza, 19 marzo 2010.

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generalistici sarebbero associate minori probabilità di accedere alle informazioni sulle opportunità di lavoro più interessanti, generando così mismatch5. Un altro fattore richiamato in letteratura economica per spiegare l’overeducation fa riferimento al cosiddetto “effetto coorte”: in periodi in cui si affaccia sul mercato del lavoro un elevato numero di persone altamente qualificate e, dunque, si manifesta un eccesso di offerta di lavoro qualificato, il mercato assorbe queste persone in posti di lavoro che richiedono minori skills. La letteratura, inoltre, segnala il ruolo del cambiamento tecnologico tra i fattori che possono contribuire a generare mismatch . Un’altra denominazione dello skill mismatch è educational mismatch, ovvero la mancata corrispondenza tra i livelli di istruzione posseduti dai lavoratori e quelli richiesti per lo svolgimento del lavoro. Nel corso degli ultimi anni le policy europee per la formazione hanno operato un progressivo cambiamento di rotta, spostando sempre più l’attenzione dai livelli di istruzione tradizionalmente intesi, cioè come espressione di un percorso formativo articolato in varie discipline, alle competenze, viste come capacità di utilizzare conoscenze e abilità al fine di svolgere compiti e di risolvere problemi. Questo approccio è stato incluso nel set di politiche di Europa 2020 e rappresenta uno dei nuovi paradigmi di riferimento per tutti i Paesi membri. Sulla stessa lunghezza d’onda, l’Ocse ha messo a punto una skill strategy6 con l’obiettivo di favorire l’investimento in competenze, incrementandone l’offerta e l’utilizzo. 1.2 Competenze accademiche, specifiche e manageriali Tra i numerosi studi su capitale umano e mercato del lavoro, alcuni7 si sono focalizzati sul tentativo di comprendere il ruolo e l’effetto che le diverse tipologie di competenze e conoscenze possono avere sul successo individuale in ambito lavorativo. Tale impostazione vede l’istruzione universitaria organizzata attorno a discipline, ma gli studenti non acquisiscono in tali ambiti solo conoscenze e competenze specifiche, ma anche di tipo generale o “accademi5 Isfol, op.cit., 2012. 6 Oecd, Education at a Glance. 2011: Oecd Indicators, Oecd, Paris 2011. Url: http://www.oecd.org/education /preschoolandschool/education ataglance2011oecdindicators.htm Oecd, Education at a Glance. 2012: Highlights. Oecd, Paris 2012. Url: http://www.oecd.org/edu/highlights.pdf 7 F. Green, The value of skills, Department of Economics University of Kent, Studies in Economics Series, Kent, 1998. H. Heijke, G. Ramaekers, The knowledge and skills of economics graduates and their significance on the labour market, in W. Nijhof, J. Streumer, Key Qualifications in Work and Education, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht,1998. H. Heijke, M. Koeslag, R. van der Velden, Education, Skills and Wages, in H. Heijke, L. Borghans, Towards a Transparent Labour Market for Educational Decisions, Ashgate, Aldershot,UK; Brookfield, Vt. and Sydney 1998.

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co”. Pertanto, secondo queste teorie è possibile distinguere fra tre tipologie di conoscenze e competenze: • conoscenze e competenze accademiche che si apprenderebbero in ambito scolastico; • conoscenze e competenze specifiche che si apprenderebbero parte in ambito scolastico e parte in ambito lavorativo; • conoscenze e competenze manageriali che si apprenderebbero essenzialmente in ambito lavorativo. Il diagramma della Fig. 1 evidenzia il nesso intercorrente tra di loro. Figura 1 – Modello teorico dell’interazione tra i tre tipi di conoscenze e competenze (da Heijke et al., op. cit., 1998)

Durante l’acquisizione di conoscenze e competenze specifiche, lo studente acquisirebbe indirettamente anche conoscenze e competenze accademiche, che a loro volta favoriscono il successivo processo di apprendimento di conoscenze e competenze specifiche. Le conoscenze e competenze accademiche svilupperebbero inoltre non solo la capacità di apprendere conoscenze e competenze specifiche, ma contribuirebbero anche alla crescita di altri aspetti che valorizzano la forza lavoro, tra cui le conoscenze e competenze manageriali, ovvero conoscenze e competenze che si apprendono maggiormente sul posto di lavoro. Per sottoporre a verifica la loro teoria, gli autori hanno utilizzato i dati relativi a un campione di 734 laureati italiani delle regioni del Nord, la maggior parte dei quali lombardi, derivanti da una ricerca Tser (ricerca socio-economica finalizzata, ndr) dell’Unione Europea che ha coinvolto 11 paesi nel corso del 1998. Lo studio ha comportato l’intervista degli individui tre anni dopo l’uscita dall’università e ha raccolto informazioni sul corso di laurea di provenienza e

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su una serie di caratteristiche del laureato, compresi i livelli di conoscenze e competenze possedute al momento dell’intervista e tre anni prima, al momento della laurea. Gli autori hanno definito operativamente i concetti di conoscenze e competenze accademiche, conoscenze e competenze specifiche e conoscenze e competenze manageriali sulla base di 36 variabili mirate a rilevare il tipo e grado di competenze possedute al momento della laurea e al momento dell’intervista: quest’ultimo in particolare coglierebbe, secondo i ricercatori, le competenze richieste dal mondo del lavoro. Gli autori hanno successivamente raggruppato le competenze che ha prodotto la seguente classificazione: - competenze generali accademiche (general academic skills), che includono una conoscenza generale ampia, una conoscenza cross-disciplinare, la capacità di pensiero astratto, l’abilità del problem solving , competenze analitiche, le capacità di pensiero riflessivo e di valutazione del proprio lavoro; - competenze specifiche (field specific skills), che includono le conoscenze teoriche specifiche del settore, le conoscenze specifiche dei metodi del settore; - competenze manageriali (management skills), ovvero la capacità di programmare, coordinare e organizzare, la leadership, il pensiero economico e la creatività. Sulla base di questi dati, gli autori hanno cercato di spiegare la variabilità osservata nel campione riguardo a tre aspetti fondamentali: • il livello del salario; • il livello di conoscenze e competenze manageriali possedute al momento dell’intervista (tre anni dopo la laurea); • il fatto di lavorare in un settore coerente con gli studi svolti. L’evidenza empirica emersa dai risultati ha dimostrato che, se il salario è prevalentemente spiegato dalle “conoscenze e competenze manageriali possedute al momento dell’intervista” e dal fatto di “lavorare in un settore coerente con gli studi svolti”, a loro volta le “conoscenze e competenze manageriali possedute al momento dell’intervista” sono spiegate dalle “conoscenze e competenze accademiche possedute al momento della laurea”, mentre il “lavorare in un settore coerente con gli studi svolti” è positivamente correlato con il livello di conoscenze e competenze specifiche al momento della laurea. In sostanza, le conoscenze e competenze specifiche alla laurea sarebbero utili per trovare un’occupazione coerente con gli studi, il che consente di ottenere più elevati guadagni, mentre le conoscenze e competenze accademiche

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sono quelle che servono prevalentemente ad acquisire le conoscenze e competenze manageriali dopo la laurea, le quali costituiscono una delle maggiori determinanti del livello salariale. Indirettamente, quindi, le conoscenze e competenze accademiche determinano il salario, contrariamente alla prima parziale evidenza derivante dal modello. Questi risultati pertanto non solo sottolineano l’importanza e il ruolo delle diverse tipologie di conoscenze e competenze, ma ribadiscono anche la necessità di guardare alla creazione del capitale umano come a un processo dinamico in cui, attraverso momenti alterni di istruzione formale ed esperienza lavorativa, le diverse tipologie di conoscenze e competenze entrano in gioco per favorire l’acquisizione di livelli più elevati e/o di tipologie differenti di conoscenze e competenze. In questo senso la contrapposizione tra i sostenitori della specializzazione e quelli della preparazione accademica viene a perdere di significato, mentre è necessario pensare a curricula che prevedano entrambe le tipologie, nonché a forme nuove di alternanza scuola-lavoro. 1.3 Competenze trasferibili Secondo Reboul8 la competenza scaturisce da tre modalità di apprendimento: sapere che (livello dell’informazione); sapere come o saper fare (padroneggiare una condotta adeguata al problema); sapere perché (riguarda la rappresentazione della situazione, un’astrazione che permette di individuare principi, cause). Reboul si occupa del problema del transfert, trasferimento di competenze e conclude che si possono trasferire solo nell’ambito di un dominio definito (per esempio fra una lingua e l’altra). Di fronte al rischio di sacrificare la cultura generale, distingue tre livelli di competenza: competenza fondamentale (ciò che rende una persona completa); competenza specialistica (di un mestiere); competenza a essere (propria dell’uomo adulto, responsabile e autonomo). Il saper essere non si può̀ insegnare, può solo essere promosso o trasferito da chi insegna o da un role model. Trasversalità e trasferibilità delle competenze sono concetti diversi. Il concetto di trasversalità implica le somiglianze tra le situazioni e quello di trasferibilità la capacità di utilizzare le competenze in situazioni nuove. Una recente pubblicazione della Commissione Europea9 ha preso in esame il 8 O. Reboul, Apprendimento, insegnamento e competenza. Per una nuova filosofia dell’educazione, Armando, Roma 1995.

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concetto di trasferibilità delle skills tra i diversi settori economici, rilevando che c’è un collegamento fra la trasferibilità delle skills e il rischio di perdere il lavoro o di non trovarne un altro. L’employability, l’occupabilità, si fonda su skills specifiche, ma le skills trasversali possono supportare questo processo. È stato dimostrato che gli individui con un bagaglio più ampio di skills vanno incontro a un rischio minore di disoccupazione durante i periodi di crisi economica. Il concetto di trasferibilità non corrisponde a una specifica categoria di skills. Ci sono skills applicabili a diversi compiti e lavori per le quali il livello di applicabilità varia a seconda dei contesti legislativi, geografici ed economici. Potremmo dire che più una skill è generale, più è trasferibile e viceversa. Dato che non ci sono skills puramente trasferibili o non-trasferibili, dato cioè che la trasferibilità non è una variabile discreta, ma continua, allora vale la pena di soffermarci a discutere sul livello di trasferibilità delle skills invece di distinguere tra skills trasferibili e non trasferibili. Le soft skills, cioè quelle competenze non specifiche che riguardano la capacità di un individuo di operare con efficacia sul posto di lavoro, sono descritte generalmente come perfettamente trasferibili. Lo studio10 ha preso in esame 22 soft skills, suddivise in 5 gruppi: skills di efficacia personale; skills relazionali e di servizio; skills relative a impatto e influenza; skills orientate alla realizzazione; skills cognitive. Oltre a queste, risultano molto importanti ai fini della trasferibilità le hard skills generiche, ovvero quelle abilità tecniche che possono essere applicate efficacemente in quasi tutti i lavori, nella maggior parte delle aziende, in tutti i ruoli e settori, nonché nella vita personale. Tra queste: - conoscenze e competenze in ambito legislativo e normativo; - competenze economiche; - competenze base di scienza e tecnologia; - consapevolezza ecologica (della questione ambientale); - competenze digitali e informatiche; - comunicazione in lingue straniere. Vi sono poi, nell’ambito delle hard skills quelle che sono trasferibili in diversi settori e quelle che sono molto specifiche e quindi non trasferibili. Lo schema che ne risulta è rappresentato nella fig. 2. 9 European Commission, Transferability of Skills across Economic Sectors: Role and Importance for Employment at European Level, Publications Office of the European Union, Luxembourg 2011. 10 Ibid.

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Figura 2 - Trasferibilità e trasversalità delle competenze (Fonte: European Commission, 2011, p. 18)

1.4 Soft skills e mercato del lavoro Soft Skills for Talent è il titolo di una recente ricerca condotta da ManpowerGroup11, agenzia internazionale per la gestione delle risorse umane, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università di Firenze. Lo studio, un’indagine sulle competenze trasversali più richieste dalle aziende, rappresenta il primo passo di un progetto più ampio destinato alla creazione di un osservatorio nazionale sulle competenze trasversali (o soft skills) riconosciute e richieste dal mercato del lavoro. Le competenze trasversali, intese come l’insieme di “qualità professionali di un individuo in termini di conoscenze, capacità e abilità, doti professionali e personali, atteggiamenti”, diventano oggi il vero valore aggiunto che lo stesso possa esprimere nel contesto lavorativo. Più volte negli ultimi anni è stato sottolineato come il mercato del lavoro del lavoro oggi non richieda solo competenze tecniche ma anche quelle competenze relazionali e personali che di solito vengono definite soft skills. La stagione postfordista chiede un’organizzazione del lavoro il cui centro e la cui risorsa fondamentale sono rappresentati da una soggettività non caratterizzata tanto dalla qualificazione tecnico-professionale, quanto dalla capacità di sostenere la complessità delle relazioni interpersonali, la filosofia e i processi dell’innovazione, nonché l’umanizzazione del contesto lavorativo e la realizzazione di un’economia “umanistica”12. 11 Manpower Group, Soft Skills for Talent, Internal Report, 2014, Url: http://www.manpowergroup.it/indagine-soft-skills-manpowegroup.

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Molte indagini nazionali sul mercato del lavoro13 hanno evidenziato l’esistenza di un forte gap tra competenze richieste dalle imprese e competenze possedute dai neolaureati. Analogamente alcune ricerche empiriche14 hanno riscontrato che tra le maggiori difficoltà che i giovani incontrano alle prime esperienze lavorative, non vi sono le carenze di tipo cognitivo (scarse conoscenze disciplinari o degli strumenti di lavoro), quanto piuttosto l’incapacità di collocarsi adeguatamente in un ambiente di lavoro, di saper analizzare un problema e risolverlo efficacemente, di comunicare efficacemente, di gestire stress ed emozioni in maniera adeguata. Che le soft skills (o life skills, nel mondo anglosassone) rappresentino il nodo critico del mancato incontro fra domanda e offerta di lavoro dei giovani laureati è stato anche messo in evidenza in numerosi studi15, che hanno indicato come necessaria per la formazione di un buon professionista un’esperienza operativa sul campo, ma anche aver fatto buoni studi, ovvero un percorso educativo non solamente focalizzato sull’acquisizione di conoscenze (nozioni e modelli teorici), ma anche e soprattutto sullo sviluppo di un saper fare pratico, aspetto su cui, spesso, i giovani neolaureati appaiono particolarmente carenti. L’importanza attribuita alle soft skills ai fini dell’employability è riconosciuta in varie sedi a livello europeo. Un documento stilato dall’European Economic and Social Committee nel 2011, An agenda for new skills and jobs, che è parte delle strategie generali di Europa 2020, sottolinea l’opportunità di fornire ai giovani occasioni per lo sviluppo di capacità imprenditoriali, soft skills e coping skills (ovvero la capacità di affrontare un problema in maniera creativa), efficaci nella transizione tra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro. L’Ocse ha messo a punto una skill strategy16 con l’obiettivo di favorire l’investimento in competenze, incrementandone l’offerta e l’utilizzo. 12 B. Rossi, Educare alla creatività, Laterza, Roma-Bari 2009. 13 Istat (Istituto nazionale di statistica), Rapporto annuale 2012. La situazione del Paese, Istat, Roma 2012. Almalaurea, XIV indagine sulla Condizione occupazionale dei laureati, Bologna 2012. 14 Iulm (Università di Lingue e Scienze della Comunicazione), Crui (Conferenza dei Rettori delle Università italiane), Centromarca, Osservatorio sulle professioni. 1a indagine sulla formazione dei neolaureati ed esigenze d’impresa, Università Iulm, Milano 2012. Isfol, Rapporto Isfol 2012. Le competenze per l’occupazione e la crescita, Isfol, Roma 2012. Fondazione Giovanni Agnelli, I nuovi laureati. La riforma del 3 + 2 alla prova del mercato del lavoro, Laterza, Roma-Bari 2012. 15 C. Busana, A. Banterle, Capacità trasversali: elemento cruciale nel profilo di competenze per la ricerca, in S. Zaccarini, I. Silvestri (a cura di), Competenze per la ricerca: esigenze delle imprese innovative e profili formativi, Cleup, Padova 2008. R. Maeran, S. Fluperi, M. Fontana, Le competenze utilizzate e quelle carenti, secondo i laureati, in L. Fabbris (a cura di), Dal Bo’ all’Agorà. Il capitale umano investito nel lavoro, Collana Formazione e Lavoro, Cleup, Padova 2010. Deloitte, Boiling Point? The Skills Gap in US Manufacturing, 2011, Url: http://www.deloitte.com/us/mfgskillsgap Manpower Group (2012), Talent Shortage Survey, Url: http://www.manpowergroup.us/campaigns/talent-shortage-2012/ pdf/2012_Talent_Shortage_Survey_Results_US_FINALFINAL.pdf Manpower Group (2014). Soft skills for Talent, Url: http://www.manpowergroup.it/indagine-soft-skills-manpowegroup 16 Oecd, Better Skills, Better Jobs, Better Lives: A Strategic Approach to SkillsPolicies, Oecd Publishing, Paris 2012

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Fornire il giusto mix di competenze è importante non solo ai fini dell’employability, ma anche per evitare una sotto-utilizzazione dei talenti e delle potenzialità dei giovani, garantendo un loro sviluppo sinergico e armonioso. Ciò richiede una migliore cooperazione tra il mondo del lavoro e quello dell’istruzione e della formazione, favorendo una maggiore trasparenza dei meccanismi di recruiting e delle dinamiche del mercato del lavoro e, soprattutto, il superamento degli approcci tradizionali che misurano le persone solo sulla base delle loro qualificazioni “formali”, i loro titoli, in favore di approcci maggiormente orientati alla misurazione e al riconoscimento delle competenze e delle skills che una persona possiede, a prescindere da dove e da come le abbia acquisite. Ovviamente tale cambiamento non risponde solo ai dettami del mercato, ma anche a esigenze intrinseche della formazione universitaria. Infatti, dopo la Conferenza Ministeriale di Praga (2001) era diventato sempre più evidente che la struttura su più cicli introdotta dal Processo di Bologna (1999-2010) doveva essere supportata da maggiori dettagli sui risultati di ciascun ciclo, al fine di raggiungere gli obiettivi integrati di trasparenza, riconoscimento dei titoli e mobilità accademica. Per questo furono creati i Descrittori di Dublino (2004), per i quali i risultati dell’apprendimento dei corsi universitari sono espressi non solo in termini di conoscenza e capacità di comprensione (knowledge and understanding), ma anche di conoscenza e capacità di comprensione applicate (applying knowledge and understanding), autonomia di giudizio (making judgements), abilità comunicative (communication skills), capacità di apprendere (learning skills). Ciononostante, i programmi di studio della maggior parte delle università in Europa sono ancora fondati quasi esclusivamente sul tradizionale apprendimento scientifico e viene dato poco rilievo alle soft skills (o life skills), le “competenze trasversali” sintetizzate dall’Isfol nella triade “diagnosticare, relazionarsi e affrontare”17. 2. Cosa sono le soft skills 2.1 Una pluralità di denominazioni Innanzitutto occorre dire che per questo tipo di competenze esistono diverse denominazioni: oltre a soft skills, si usano la locuzione life skills (più comu17 Isfol, Regolamento 31 ottobre 2000, n. 436 articoli 4 e 5, Allegato A, Gli standard minimi delle competenze di base e trasversali, Roma 2000.

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ne nel mondo anglosassone), social skills, competenze trasversali, competenze relazionali e sociali, competenze di leadership, meta-competenze, etc.18 Questa pluralità di denominazioni corrisponde a una difficoltà di definizione. Secondo alcuni autori19, le soft skills corrispondono all’EQ (Emotional Intelligence Quotient) contrapposto all’IQ (Intelligence Quotient) che riguarda le hard skills. Knight e Page le definiscono wicked competences20, in quanto non possono essere facilmente definite, assumono forme diverse in contesti differenti e continuano a svilupparsi lungo tutto l’arco della vita. Non si tratta di competenze ritenute necessarie solo nel mondo del lavoro ma anche per il successo negli studi. Anzi se è proprio negli anni dell’università che una persona termina di forgiare la propria identità, allora l’importanza dello sviluppo di queste competenze non può essere sottovalutata. Soft skills e metacompetenze sono oggi le nuove direttive di un processo di formazione che punta all’eccellenza e che rappresenta una risposta alla competitività e alla globalizzazione di tutti i mercati, da quelli dei prodotti a quelli delle idee. Le soft skills aiutano a tessere tutte le interconnessioni possibili che collegano sfera cognitiva e sfera emotiva, etica e capacità di organizzazione, spirito di iniziativa a capacità di comunicazione. Investire in metacompetenze oggi significa prima di tutto non perdere mai di vista la visione d’insieme, non lasciarsi risucchiare dalla spirale dell’iperspecializzazione che brucia in fretta i suoi stessi risultati, per apparire superata non appena si esaurisce quel filone. La metacompetenza consente non solo di avere delle competenze, ma di saperle gestire in modo flessibile, senza mai perderne il controllo. Un elemento importante è però rappresentato anche dal contesto. In quanto competenze comuni a una pluralità di contesti e professioni – nonché “strumenti per la trasferibilità dei saperi” –, le soft skills incarnano il paradosso dell’apprendimento che deve essere contestualizzato per essere trasferibile. Ciò che occorre inoltre rilevare è che i percorsi di formazione alle soft skills non sono da considerarsi alla stregua di segmenti formativi distinti e autonomi: allenando una competenza se ne allenano contemporaneamente altre collegate. 18 La denominazione varia spesso a seconda dei Paesi: nel Regno Unito, si usano le locuzioni core skills, key skills, common skills; in Nuova Zelanda e Australia sia usano key competencies, essential skills, employability skills, generic skills; negli Stati Uniti basic skills, necessary skills; in Francia compétences transposables o compétences transversales; in Germania soft skills. L’Ocse le riunisce nella vasta agenda del lifelong learning, che riguarda «tutta l’attività di apprendimento utile» e «tutte le forme di apprendimento formale, non formale e informale» (Oecd, 2007, p. 10). 19 I. André, Soft Skills: Be Professionally Proactive, Createspace Independent Publishing Platform, 2013. 20 V. Shalini, Enhancing Employability @ Soft Skills, Chandigarh-Delhi-Chennai, Pearson, 2013. P. Knight, A. Page, The Assessment of “Wicked” Competences, Report to the Practice Based Professional Learning Centre, 2007.

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Utilizzando un termine preso dalla letteratura di management, potremmo dire che si tratta di dynamic capabilities ovvero della capacità di modificare i propri comportamenti per affrontare sfide future, ancora non prevedibili. 2.2 Alcune definizioni Esistono diverse definizioni di soft skills. Di seguito sono state riportate le definizioni di alcuni testi recenti sull’argomento e quelle più “classiche” formulate da istituzioni che si occupano di lavoro e di formazione. Nel progetto ModES (Modernising higher education through soft skills accreditation, 2009-12) la definizione scelta per le linee guida sull’insegnamento/apprendimento delle soft skills in ambito universitario è la seguente: Le soft skills rappresentano una combinazione dinamica di abilità cognitive e metacognitive, interpersonali, intellettuali e pratiche. Le soft skills aiutano gli individui ad adattarsi e ad assumere atteggiamenti positivi in modo da riuscire ad affrontare efficacemente le sfide poste dalla vita professionale e quotidiana21. Altre definizioni sono reperibili in manuali di training o in articoli recenti che trattano dell’argomento. Nell’enunciazione di André22 soft skills sono quelle abilità inter- e intrapersonali che identificano il quoziente emotivo di una persona. Le soft skills sono correlate allo sviluppo della personalità e includono abilità sociali, comunicative e linguistiche, assertività, comportamenti e atteggiamenti che si dimostrano sia a livello personale che relazionale. Tali abilità sono essenziali non solo in ambito professionale ma hanno un impatto positivo anche sulla vita familiare e personale. A differenza di altre discipline che possono essere facilmente insegnate in aula, le soft skills hanno bisogno più di pratica che di teoria. Secondo Shalini23 la locuzione soft skills è di matrice sociologica e si riferisce all’EQ (Emotional Intelligence Quotient), ovvero al quoziente di intelligenza emotiva, che rappresenta l’insieme dei tratti personali, interpersonali e le abilità comunicative, linguistiche, nonché le abitudini personali, la disposizione amichevole e ottimistica che caratterizza le relazioni verso le altre persone. Le soft skills sono complementari alle hard skills (parte del quoziente intellettivo di una persona, o anche IQ), che riguardano le caratteristiche specifiche di un determinato tipo di lavoro. 21 D. Haselberger, P. Oberhuemer, E. Pérez, M. Cinque, D. Capasso, Mediating Soft Skills at Higher Education Institutions, Handbook of the ModEs Project, Lifelong Learning Programme, 2012, p. 67 Url: http://www.euca.eu/en/prs/modeshandbook.aspx 22 André, op. cit., 2013. 23 Shalini, op. cit., 2013.

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Le soft skills hanno più a che fare con “chi siamo” rispetto a “quanto sappiamo”. Secondo il premio Nobel per l’Economia James J. Heckman: Le soft skills sono tratti personali, obiettivi, motivazioni e preferenze che sono ritenute importanti nel mercato del lavoro, ma anche a scuola e in altri ambiti. […] le soft skills sono predittive di successo nella vita […] e, per questo motivo, dovrebbero essere tenute in debita considerazione nelle politiche pubbliche relative allo sviluppo e agli investimenti per la formazione24. Heckman afferma inoltre che le soft skills sono attributi personali, denominati anche “tratti” di personalità, skills o abilità non cognitive, caratteri, tratti socio-emotivi. Ovviamente le diverse denominazioni connotano differenti proprietà. Il termine “tratti” suggerisce un senso di permanenza e, probabilmente, anche di ereditarietà. Il termine skill, invece, suggerisce che possono essere apprese e sviluppate. Secondo Heckman25, la misura in cui questi attributi personali possono cambiare nel corso della vita può variare a seconda delle età ed è importante intervenire precocemente perché, come accade anche per le abilità cognitive, l’efficacia dell’investimento è maggiore se viene effettuato nelle prima fasi di vita. Il problema di queste competenze è dovuto alla difficoltà di identificazione e misurazione. Generalmente si tratta di comportamenti osservabili più che di conoscenze quantificabili e valutabili tramite test standardizzati, come avviene per le competenze cognitive. Anche Peter Knight e Anna Page affermano che le soft skills sono “competenze cosiddette wicked (volatili), tipicamente indefinite, nel senso che, soltanto in pochi casi, è possibile descrivere chiaramente ciò che dovrebbe significare essere competenti, per esempio, nell’intelligenza emotiva”26. Secondo gli stessi autori, si tratta di un mix di disposizioni, attributi e pratiche, tipicamente “non determinate” o determinabili, che richiedono tempo per formarsi, essendo il prodotto di anni. Inoltre possono essere rilevate, come nota anche Heckman, solo attraverso la performance, che ne rappresenta la manifestazione esterna. Tuttavia le performance possono variare al variare dei contesti e quindi, sottolineano ancora Knight e Page27, le descrizioni delle manifestazioni devono includere anche quelle dei diversi contesti nonché dei criteri e delle condizioni in cui queste queste performance sono prodotte. 24 25 26 27

J. J. Heckman, T. Kautz, Hard Evidence on Soft Skills, in “Labour Economics”, 2012, 19 (4), p. 451. Ivi, p. 455. Knight, Page, op. cit., 2007, p. 11. Ivi, p. 15.

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Ecco perché, a livello istituzionale, si preferisce la denominazione life skills, indicando con questa locuzione «le abilità che aiutano le persone ad adattarsi e ad assumere un atteggiamento positivo in modo che possano affrontare efficacemente le sfide della vita quotidiana» (Life Skills in Adult Learning Glossary, Level 2, Nrdc, 2010). Nell’Adult Literacy and Lifeskills Survey dell’Ocse (2002) la locuzione si riferisce, in particolare, alla capacità di risolvere i problemi. Il rapporto indica anche le nuove competenze fondamentali (new basic skills) che sono «abilità quali le Ict, le lingue straniere, le competenze sociali, organizzative e comunicative, la cultura tecnologica e l’imprenditorialità» (p. 13). Secondo l’Isfol28 le soft skills, o competenze trasversali, riguardano sempre la persona e la sua «modalità di funzionamento (cognitivo; affettivo; motorio)», non connesse ad un’attività specifica, ma entrano in gioco in tutte le situazioni; consentono alla persona comportamenti professionali e sono cruciali per la trasferibilità delle competenze in attività differenti. L’introduzione di questo tipo di competenze nasce dalla convinzione che il livello di successo sul lavoro nel prossimo futuro non sarà dato tanto dal tipo di professione intrapresa ma dalla maturazione nei singoli di una nuova cultura e doti relative sul “lavoro”. L’oggetto “lavoro” si articola sempre più in due momenti: le esigenze dell’attività (le richieste esplicite, quelle implicite e le condizioni di esercizio in un contesto dato) e le condotte individuali, cioè le traduzioni operative espresse come azioni di varia natura operate da parte del soggetto. Analizzando la relazione individuo-lavoro sulla base di questi criteri si possono enucleare tre tipi di operazioni del soggetto fondate su processi cognitivi, emotivi e motori: diagnosticare le caratteristiche dell’ambiente; mettersi in sintonia adeguata con esso, cioè relazionarsi con oggetti e persone; predisporsi ad affrontarlo mentalmente a livello motorio. Da qui la scelta di individuare tre macro competenze: diagnosticare, relazionarsi, affrontare, caratterizzate da una elevata trasferibilità in ambiti ed attività diverse. Queste competenze fanno riferimento ad operazioni fondamentali proprie di ogni soggetto posto di fronte ad un compito lavorativo. 2.3 Soft skills in un’ottica di lifelong e lifewide learning Agli studenti, non più di quarant’anni fa, era sufficiente completare la propria scolarizzazione ed entrare in una carriera lavorativa che spesso durava tutta la vita. 28 Isfol, op. cit., 2000.

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Lo sviluppo dell’informazione era lento. La vita della conoscenza era misurata in decenni. Oggi, questi principi fondamentali sono stati alterati. Le conoscenze sono in crescita esponenziale. In molti campi la vita della conoscenze è ora misurata in mesi. Da questo deriva l’esigenza di un incessante processo di auto-aggiornamento, di continuare ad apprendere lungo tutto l’arco della vita. Si parla a questo proposito, da anni, di lifelong e lifewide learning, inducendo non solo pedagogisti e addetti ai lavori, ma anche il mondo dell’istruzione, quello aziendale e i legislatori a ripensare nuove strategie di dialogo tra apprendimento formale, non formale e informale, dalla cui interazione si generino saperi trasferibili da un contesto all’altro, estendendo così il ventaglio delle opportunità, dei momenti e dei luoghi di apprendimento. Il lifelong learning – l’approccio alla formazione che non si conclude con l’ingresso nell’età adulta, ma mira ad estendersi per tutta la vita – coincide con i quattro pilastri dello sviluppo futuro in ambito educativo indicato da Jacques Delors29: “learning to know, learning to do, learning to live together (and with others) and learning to be”. La locuzione lifelong learning è venuta in primo piano alla fine degli anni Novanta del XX secolo, soprattutto attraverso il costante impegno dell’Unione Europea che lo ha incluso come elemento centrale delle politiche europee di sviluppo delle risorse umane. La prospettiva del lifelong learning pone il cittadino in una posizione di autonomia e responsabilità rispetto ai processi di cambiamento e innovazione dei sistemi culturali, economici, sociali e tecnologici. I temi che intersecano quello del lifelong learning sono l’educazione degli adulti, la cittadinanza attiva, la competitività economica e la coesione sociale. Come sottolinea A. Alberici30, il lifelong learning va inquadrato in una logica di sviluppo umano che non sia puramente economicista e funzionalista, l’apprendimento permanente diviene una condizione sistemica per la promozione e la crescita delle capacità umane. Tale punto di vista considera, nelle società complesse e globalizzate, lo sviluppo come espansione delle libertà sostanziali godute dagli esseri umani e mette al centro delle strategie di crescita e di sviluppo sociale, la capacità degli individui di vivere vite a cui attribuiscono valore e di ampliare la loro possibilità di scelte reali. Ciò comporta un cambiamento radicale dell’orizzonte di senso per la formazione in direzione della riflessività e della proattività. 29 Unesco (United Nations Education al, Scientific and Cultural Organization), The Four Pillars of Education, Url: http://www. unesco.org/delors/fourpil.htm 30 A. Alberici, La possibilità di cambiare. Apprendere ad apprendere come risorsa strategica per la vita, FrancoAngeli, Milano 2008.

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Anche la Commissione Europea tiene a precisare che il lifelong learning “non si limita a una visione puramente economica o all’istruzione degli adulti […] l’apprendimento permanente dovrebbe anche coprire l’intera gamma di modalità d’apprendimento formale, non formale e informale”31. L’aggiornamento costante della conoscenza è frutto dell’appartenenza a un tessuto di relazioni atte ad accrescere la conoscenza stessa, attraverso processi sociali di catalizzazione e filtraggio delle informazioni, in cui gli ambiti degli apprendimenti formali e informali32 sono intrecciati attraverso l’uso delle tecnologie della rete33. L’accento viene posto sulla capacità umana di creare e usare le conoscenze in maniera efficace, intelligente, creativa e proattiva per lo sviluppo umano e per la qualità e possibilità stessa dello sviluppo economico. Da qui l’importanza di costruire una pluralità di vie per l’apprendimento come condizione per un’ampia diffusione delle capacità di apprendere e di sviluppare un pensiero riflessivo/ proattivo/critico per far fronte alle esigenze dello stesso sviluppo economico, globale e locale, ai cambiamenti dei lavori, alle sfide della società della conoscenza. Aureliana Alberici afferma che il concetto di lifelong learning con la connessa pluralità di pratiche e di contesti operativi può essere considerato secondo diverse prospettive: individuali, di gruppo, organizzative sociali e istituzionali34. La visione del lifelong learning in chiave europea35 tocca punti strategici: riduzione del flusso scolastico e del drop-out formativo, predisposizione di piani, azioni e incentivi per una formazione andragogica36 di lungo periodo in ambito scientifico e tecnologico. La formazione in chiave lifelong si interseca alle questioni dell’alternanza delle attività lavorative a quelle formative e al tempo dedicato alla vita privata (il cosiddetto work and life balance). Le innovazioni tecnologiche di ogni settore avranno implicazioni di rilievo rispetto al set di competenze professionali necessarie in futuro: tali cambiamenti 31 Cedefop (Centre européen pour le développement de la formation professionnelle), Skill needs in Europe: Focus on 2020, Cedefop Panorama series, 160, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg 2008. Url: www. cedefop.europa.eu/files/5191_en.pdf 32 M. L. Conner, Informal Learning. Ageless Learner, 2004 Url: http://agelesslearner.com/intros/informal.html. J. Cross, Informal Learning for Free-range Learners, Internet Time Group LLC, 2006. Cedefop, Glossary, in Cedefop, Making Learning Visible, Cedefop, Thessaloniki 2000. 33 M. C. Pettenati, M. E. Cigognini, G. R. Mangione, E. Guerin, Use of Social software for knowledge construction and management in formal online learning, in “TOJDE – Turkish Online Journal of Distance Education ”, 2007, 8 (3), Url: http://tojde. anadolu.edu.tr/ 34 Alberici, op. cit., 2009, p. 2. 35 Tra i numerosi documenti: European Commission (2000; 2004; 2007a; 2007b); European Union (2006); Eurydice (2002; 2008); Cedefop (2000; 2008a; 2008f); European eSkills Forum (2004), European eSkills Conference (2006; 2008). 36 L’andragogia è una teoria dell’apprendimento ed educazione degli adulti (Knowles, M., Quando l’adulto impara. Pedagogia e andragogia, FrancoAngeli, Milano 1997)

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saranno acuiti non solo dalle modalità organizzative e gestionali apportate dalle innovazioni nei singoli settori, ma ulteriormente dalle dinamiche di rinnovamento stesso dei diversi comparti economici e dall’introduzione di nuove professionalità, per ora solo ipotizzabili. Le sfide di competitività nei mercati del lavoro del futuro richiedono e richiederanno un sempre maggiore apporto di competenze e abilità specifiche, ma non sono da eludere tutte le considerazioni relative all’incremento occupazionale anche per quelle professioni per cui è richiesto un livello di qualificazione medio. Attualmente, quasi il 40% dei lavoratori europei è impiegato in posizioni lavorative di rilievo: manager, professionisti, lavori specialistici; le analisi attuali e le proiezioni rilevano la curva di crescita di professioni ad alta specializzazione in costante aumento per i prossimi decenni. Cresceranno però, benché in proporzione minore, anche quelle professioni a basso o nullo bagaglio di competenze, svolte nella maggior parte dei casi da cittadini immigrati, che i decisori politici dovranno comunque considerare per garantire il benessere economico e la coesione sociale di tutti i cittadini. Nel 2020 si prevedono circa il 31,5% di lavori ad alta qualificazione professionale e il 50% di lavoratori a cui è richiesto un profilo di competenze medio; i lavori a bassa qualifica professionale sono in diminuzione di un terzo dal 1996 con circa il 18,5%37. Il lifelong learning si rivela una delle vie percorribili per sostenere costantemente i processi di acquisizione delle competenze necessarie ai mutamenti strutturali del mercato del lavoro. I giovani lavoratori del prossimo decennio non potranno per definizione possedere già all’ingresso nel mercato quel set di competenze necessario per svolgere le professioni del futuro, molte delle quali ad oggi non ancora esistenti38. Tali considerazioni hanno implicazioni strategiche in area educativa e formativa, dalla formazione di base alla cosiddetta tertiary education, che non possono prescindere da una prospettiva lifelong. L’iniziativa lanciata dalla Commissione Europea nel 2008, New skills for new jobs, si inserisce nell’agenda delle direttrici di intervento in area sociale, per anticipare i futuri interventi a 37 Cedefop, Future skill supply in Europe, Publications Office of the European Union, Luxembourg 2009 Url: www.cedefop. europa.eu/files/4086_en.pdf Cedefop, Skill supply and demand in Europe, Publications Office of the European Union, Luxembourg 2010, Url: www. cedefop.europa.eu/files/3052_en.pdf . 38 Economist Intelligence Unit, The future of higher education: How technology will shape learning, A report from the Economist Intelligence Unit, Sponsored by the New Media Consortium. The Economist Report, 2008. Url: http://www.nmc.org/pdf/ Future-of-Higher-Ed-(NMC).pdf 39 Eurydice, New Skills for New Jobs. Policy initiatives in the field of education. Short overview of the current situation in Europe, 2010 Url: http://eacea.ec.europa.eu/education /eurydice/documents/thematic_reports/125en.pdf

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livello europeo in un approccio comune. Un primo rapporto fu pubblicato dalla rete Eurydice39. Una versione successiva è rappresentata dal documento prodotto dall’European Economic and Social Committee nel 2011, An agenda for new skills and jobs40. La mobilità del mercato del lavoro europeo richiede un ancor più puntuale monitoraggio della domanda di competenze professionali, e questo conferma l’esigenza già forte di allestire un sistema di identificazione delle competenze trasversali, coerente e condiviso a livello europeo. La formazione universitaria è rivestita di un ruolo strategico nello sviluppo delle competenze interculturali e trasversali per la piena autonomia del soggetto. Curricula should help students to develop knowledge, skills and habits of mind to be able to reflect on their own beliefs and the choices they make; they should be aware and critical of their own assumptions and beliefs and engage open-mindedly with different cultural forms and historical moments41. Anche la più recente comunicazione Rethinking education : investing in skills for better socio-economic outcomes (2012)42 sottolinea il ruolo fondamentale delle soft skills nella formazione dei giovani in un’ottica di lifelong learning. Nel primo rapporto prodotto dall’High Level Group on the Modernisation of Higher Education, dal titolo Improving the quality of teaching and learning in Europe’s higher education institutions (2013) lo sviluppo delle soft skills viene indicato come fondamentale e implementabile attraverso attività extracurriculari di vario tipo: Universities and higher education institutions, as part of the education system, should not educate students only in narrow, knowledge-based specialisations, but must go further, seeking the integral education of the person. […] Efforts need to be concentrated on developing transversal skills, or soft skills […]. In order to develop these skills, teaching is not enough: an appropriate environment is also required. For example, extra-curricular activities, whether organised in a university/college/institute environment or not, ranging from volunteering, culture and the arts, to sports and leisure activities, help develop soft skills and nurture talents43. Come sottolineato dal rapporto, nell’ambito dello sviluppo delle soft skills giocano un ruolo chiave le comunità di pratica come quelle dei collegi universitari. 40 Eesc (European Economic and Social Committee), An Agenda for New Skills and Jobs: A European Contribution towards Full Employment, Communication from the Commission to the European Parliament, 2011. 41 V. Šť astná, Bologna Process Template for National Reports: 2007-2009, Mšmt, BFug member, 2008. Url: http://www.bologna. msmt.cz/files/national-report-09-cr.pdf 42 European Commission, Rethinking education strategy. Investing in skills for better socio-economic outcomes, 2012. 43 High Level Group on the Modernisation of Higher Education, Improving the quality of teaching and learning in Europe’s higher education institutions, 2013. Url: http://ec.europa.eu/education /library/reports/modernisation_en.pdf

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3. Individuazione, validazione e certificazione delle soft skills 3.1 Dal bilancio di competenze alla valutazione del potenziale Secondo molti studiosi, una competenza effettivamente posseduta non è direttamente rilevabile, ma è possibile inferirne la presenza, non solo genericamente, bensì anche specificatamente e qualitativamente, sulla base di una famiglia di sue manifestazioni o prestazioni particolari, che assumono il ruolo di base informativa utile a ipotizzarne l’esistenza e il livello raggiunto. Non è agevole, infatti, decidere se un soggetto possieda una competenza, sulla base di una singola prestazione. Solo nel caso di abilità elementari che mettano in gioco schemi d’azione di tipo ripetitivo, oppure assai semplici applicazioni di regole e principi, è possibile valutarne l’acquisizione osservando un’unica prestazione. Il primo riferimento esplicito al concetto di competenza risale all’articolo di McClelland pubblicato nel 197344. Solo venti anni dopo45 fu creato uno strumento molto utile – a livello sia individuale sia organizzativo – per misurare le competenze individuali. Il bilancio di competenze può essere definito un processo complesso, costituito da un insieme di attività di analisi e di ricostruzione dell’esperienza socio-professionale, che la persona realizza con riferimento alle proprie competenze e al proprio contesto di azione46. Il bilancio di competenze è una tecnica per il riconoscimento delle competenze e delle conoscenze acquisite in maniera formale e informale, sul luogo di lavoro, in attività svolte nel tempo libero o in ambito domestico. Di solito consiste in un intervento strutturato da parte di un apposito consulente che aiuta una persona a definire con precisione le proprie capacità, competenze e aspirazioni professionali; lo scopo è di mettere in grado il lavoratore di progettare e mettere in atto percorsi professionali pienamente soddisfacenti nell’arco della propria vita. Il bilancio non si esaurisce con un semplice colloquio (o serie di colloqui), ma viene utilizzata una serie di prove/strumenti specifici, come questionari di autovalutazione, analisi di esperienze passate, scrittura della propria biografia professionale, test e simulazioni47. 44 D.C. McClelland, Testing for competencies rather than for intelligence, in “American Psychologist”, 1973, 28, pp. 1-14. 45 Il bilancio di competenze nasce in Canada e si sviluppa principalmente in Francia, dove nel 1991 il suo utilizzo viene regolato per legge. Secondo il modello francese, il bilancio non è un’azione orientativa, ma un dispositivo riconosciuto dalla legge che serve: ai lavoratori occupati, per fare il punto sul proprio sviluppo professionale al fine di veder riconosciute dall’azienda le competenze acquisite e richiedere avanzamenti di carriera; alle aziende, per gestire percorsi di carriera e ristrutturazioni aziendali. 46 C. Ruffini, V. Sarchielli, Bilancio di competenze, in G. Cerin, M. Spinosi, Voci della Scuola. Idee e proposte per la ricerca e l’innovazione, vol. IV, Tecnodid, Napoli 2005.

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Grande attenzione è attribuita all’individuazione e alla descrizione delle capacità e competenze non certificate, cioè dimostrate o acquisite al di fuori dei percorsi formativi istituzionali, e all’esplicitazione di capacità e competenze che il lavoratore non è cosciente di avere. I risultati di ciascuna attività vengono raccolti su fogli appositi che alla fine, assieme a una relazione finale elaborata di comune accordo fra cliente e consulente, vanno a costituire un fascicolo che rimane al cliente. Il bilancio di competenze è destinato a persone in cerca di lavoro, lavoratori che devono confrontarsi con un nuovo mercato del lavoro, che desiderano cambiare il proprio orientamento professionale o crescere professionalmente. Questa tecnica ha la funzione di aiutare a definire le proprie esperienze professionali e personali; valorizzare le competenze legate al mondo del lavoro e della formazione; definire le proprie conoscenze e attitudini; scoprire le potenzialità inespresse; raccogliere e ordinare gli elementi che permetteranno di elaborare un progetto professionale o personale; gestire al meglio le proprie risorse; individuare le priorità personali e professionali; utilizzare al meglio le proprie competenze nella negoziazione per la ricerca di lavoro. Gli obiettivi professionali vanno individuati tenendo conto di tre grandi categorie di elementi48: la conoscenza delle proprie caratteristiche, e in particolare degli atteggiamenti, aspirazioni, risorse, vincoli personali; la conoscenza di quali sono le caratteristiche necessarie, i vantaggi e gli svantaggi, le retribuzioni, le opportunità, le prospettive dei diversi ambiti professionali; una riflessione sulla relazione tra i primi due gruppi di elementi. I fattori da considerare nelle scelte professionali sono dunque: interessi, valori professionali; attitudini/capacità trasversali; conoscenze teoriche; vincoli; condizioni di mercato; gruppo familiare e sociale di appartenenza. Come sottolinea A. Di Fabio, il bilancio di competenze può costituire una modalità educativa, “con la finalità di incrementare la consapevolezza individuale ai fini di un migliore sviluppo vocazionale”49. L’attività di bilancio risulta centrata sull’individuo, nel quale si cerca di promuovere la mobilitazione delle 47 In Italia la sperimentazione sul bilancio di competenze promossa dall’Isfol in nove Regioni, su un campione di 76 soggetti, ha permesso di far conoscere, diffondere e validare scientificamente la pratica del bilancio come metodologia d’orientamento di cui oggi possono beneficiare uomini e donne, adolescenti, adulti e anziani di qualsiasi condizione sociale, con lo scopo dichiarato di permettere loro, tramite la ricognizione consapevole delle competenze maturate nel corso della loro vita, di diventare agenti del proprio cambiamento. 48 F. Parsons, Choosing a Vocation, Houghton Mifflin, Boston1909. 49 A. Di Fabio, Bilancio di competenze e orientamento formativo. Il contributo psicologico, Giunti O.S. (Organizzazioni Speciali), Firenze 2002, p. 87.

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risorse e delle energie attraverso un percorso finalizzato alla consapevolezza, “perché il soggetto possa gestire autonomamente e responsabilmente le scelte eventuali relative al proprio percorso professionale”50. Altri strumenti usati in ambito aziendale sono maggiormente mirati alla valutazione del potenziale, piuttosto che delle competenze già possedute/acquisite. Solitamente, in ambito organizzativo, si parla di “potenziale”, per intendere l’ipotizzata capacità di un individuo di ricoprire a breve o nel medio termine una posizione diversa dall’attuale. Il tema del potenziale è molto delicato e di grande attualità sia per le persone sia per le organizzazioni, non solo perché ha a che fare con il bisogno delle persone di crescere professionalmente, bisogno sempre più presente a causa della crescita della scolarizzazione, ma anche perché scelte sbagliate possono comportare, per l’azienda, conseguenze disastrose. Partendo dal concetto di potenziale, definibile come quelle “caratteristiche che risultano dal concorso di disposizioni, convinzioni, valori, aspirazioni, che maturano e si esprimono alla prova di situazioni concrete e che si consolidano nella misura in cui le persone imparano ad apprendere dall’esperienza”51, possiamo osservare che per misurare il potenziale, a differenza della prestazione, non è possibile fare riferimento a qualcosa di direttamente osservabile, ma occorre fare delle inferenze e delle previsioni rispetto al futuro52. I metodi maggiormente utilizzati per la valutazione del potenziale sono principalmente gli assessment center e il colloquio di potenziale. Mentre i primi vengono di solito gestiti da un team di assessors formati sia da consulenti esterni che da membri interni di un’azienda (del management o della direzione delle risorse umane), e necessariamente richiedono il coinvolgimento del valutato nel feedback conclusivo, nel colloquio di potenziale di un valutatore esterno non sempre è previsto il feedback. Gli assessment center nascono con l’intento di rendere la valutazione del potenziale quanto più possibile standardizzata e obiettiva e, al contempo, di aumentarne la capacità predittiva, limitando il rischio di errori. Questa metodologia prevede l’applicazione integrata di un insieme di strumenti di rilevazione (test, in basket, questionari motivazionali, dinamiche di gruppo e altre prove individuali), ciascuno dei quali indaga specifiche aree tematiche. 50 Ivi, p. 90. 51 G. V. Caprara, F. Cardinali, Le potenzialità della personalità, in L. Borgogni, Valutazione e motivazione delle risorse umane nelle organizzazioni, FrancoAngeli, Milano 2008, pp. 114-119. 52 L. Borgogni, L. Petitta, Lo sviluppo delle persone nelle organizzazioni. Goal setting, coaching e counseling, Carocci, Roma 2003.

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I diversi esercizi si propongono quali “catalizzatori” per l’emergere di caratteristiche personali, stimolando e rendendo immediatamente osservabili alcuni comportamenti, atteggiamenti, qualità delle persone. L’artificiosità della situazione può in parte condizionare reazioni e prestazioni: i comportamenti che le persone mettono in atto quando sanno di essere osservate e valutate sono sensibilmente diversi da quelli che mettono in atto di solito (effetto Hawthorne). Per ridurre il rischio di distorsione, la corretta applicazione del metodo prevede: l’integrazione delle osservazioni effettuate dai diversi assessors; una verifica di congruenza tra gli esiti delle diverse prove; l’interpretazione degli elementi di interesse a valle del confronto diretto con ogni persona (colloquio individuale). L’output dell’assessment center è un profilo di ciascun valutato in termini di punti forti e punti deboli rispetto a una lista di dimensioni chiave (di solito competenze) integrate da indicazioni di sviluppo professionale e personale, che viene fornito sia all’azienda sia alla persona attraverso un feedback, in modo da favorire lo sviluppo della persona. Il colloquio di potenziale, generalmente integrato da test, è condotto da un professionista esterno, meglio se psicologo esterno all’azienda. La valutazione tramite colloquio si svolge su base strettamente individuale. Il risultato è di solito un profilo descrittivo e dettagliato della persona, centrato soprattutto sulle caratteristiche di personalità e sulla motivazione53. Un’altra tipologia di colloquio individuale – più strutturato – che può essere utilizzata per la valutazione del potenziale (come anche per la selezione di nuovo personale) è la situational interview (intervista situazionale), in cui il valutatore pone domande orientate a capire come la persona agirebbe per affrontare specifiche situazioni critiche. È quindi necessario un approfondito lavoro di analisi degli incidenti critici per identificare le situazioni e i comportamenti di successo che si confrontano con quelli proposti dal valutato. Le risposte sono valutate con scale che misurano l’efficacia del comportamento descritto rispetto alla situazione proposta. Un aspetto importante, trattando di procedure di valutazione del potenziale è quello della frequenza della rilevazione. Tenendo conto della definizione di potenziale che abbiamo fornito, è chiaro che l’oggetto della valutazione è meno 53 Le batterie di test che integrano questo sistema sono composte prevalentemente da test di personalità, spesso di tipo proiettivo, e frequentemente anche da test di intelligenza.

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suscettibile di variazioni nel tempo di quanto non lo siano le prestazioni. Se per queste ultime la periodicità della valutazione è di solito annuale, per la rilevazione del potenziale i tempi possono essere senz’altro meno ravvicinati. Secondo alcuni ricercatori è possibile individuare almeno tre momenti nel corso della vita aziendale delle persone che si prestano particolarmente allo scopo: l’inserimento della risorsa in azienda, l’ingresso nella categoria quadro e il passaggio alla dirigenza. 3.2 La validazione delle competenze non formali e informali Già nel 2001 l’Unione Europea riconosceva che gli apprendimenti sono fenomeni unici e personali, influenzati dai contesti in cui avvengono, siano essi formali, non formali e informali; non vi è (o non vi dovrebbe essere) una gerarchia legata al luogo in cui avviene l’apprendimento. Con la legge di riforma del mercato del lavoro (Legge 92/2012) e il successivo decreto legislativo (D.Lgs. 13/2013) anche l’Italia si sta interessando in maniera concreta al tema della validazione degli apprendimenti pregressi a carattere non formale e informale, in primis quelli acquisiti nell’ambito lavorativo. Si tratta di uno dei temi chiave interessati dalla Strategia di Lisbona e vede in altri Paesi, come ad esempio la Francia e il Regno Unito, procedure più consolidate di validazione dei titoli e delle certificazioni. I nodi fondamentali della questione riguardano: il “disaccoppiamento” tra formazione e certificazione; il focus sui risultati di apprendimento, già sancito dal Processo di Bologna e dall’Eqf (European Qualification Framework); il passaggio da una logica di prova come esame a una logica di prova come dimostrazione, ovvero a un concetto di “competenza” intesa come «comprovata capacità di utilizzare, in situazioni di lavoro, di studio o nello sviluppo professionale e personale, un insieme strutturato di conoscenze e di abilità acquisite nei contesti di apprendimento formale, non formale o informale». Gli antecedenti di questa situazione in atto vanno ricercati nel lungo cammino – non ancora terminato – verso il cosiddetto Processo di Bologna. La Dichiarazione della Sorbona del 25 maggio 1998 aveva individuato nella costruzione di uno Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore uno strumento essenziale per favorire la circolazione dei cittadini, la loro occupabilità, lo sviluppo del Continente. In particolare, con l’utilizzazione dei crediti Ects diveniva possibile convalidare i crediti acquisiti per coloro che scelgono di iniziare o continuare la propria formazione in università europee differenti o

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che desiderano acquisire titoli accademici in qualsiasi momento della loro vita. Il Processo di Bologna (1999) si inserisce in questo percorso e rappresenta un significativo tentativo dei ministri europei responsabili per l’istruzione di trasformare la formazione universitaria europea in un sistema più omogeneo ma soprattutto più competitivo e più attraente sia per gli studenti europei che per quelli provenienti da altri continenti. Nel 2005 i ministri decidono di adottare l’European Qualification Framework (Eqf) for the European Higher Education Area, allo scopo di organizzare il percorso regolare in tre cicli, di adottare un sistema di crediti e di descrivere i percorsi tramite descrittori (i descrittori di Dublino). Qualche anno più tardi, nel 2008, la Commissione Europea, preoccupata di trovare uno strumento di dialogo tra formazione universitaria e formazione professionale, propone l’European Qualification Framework for Lifelong Learning con la finalità di costruire un dispositivo per facilitare la leggibilità in Europa dei titoli nazionali e promuovere la mobilità dei lavoratori e di coloro che percorrono un proprio cammino di apprendimento. Un importante documento prodotto dal lavoro congiunto tra Commissione, Direzione Generale Istruzione e Cultura e Cedefop (Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale) nello sforzo di creare le condizioni per la trasparenza delle qualifiche e la mobilità, sono le European Guidelines for validating non-formal and informal learning (2009)54: propongono principi, metodi e procedure della convalida e della valutazione, offrendo anche un glossario terminologico e una checklist per il monitoraggio del processo. Una conferma significativa della centralità del tema a livello europeo e globale deriva dalla definizione delle Guidelines for the Recognition, Validation and Accreditation of the Outcomes of Non-formal and Informal Learning, redatte dall’Unesco nel 201255, che offrono una serie di indicazioni e di aree chiave di azione in tema di riconoscimento, validazione e accreditamento di tutte le forme di apprendimento. Nelle linee guida della Commissione Europea il riconoscimento dell’apprendimento non formale e informale permane invece un obiettivo importante da perseguire: nella Comunicazione Europa 2020 - Una strategia per una crescita 54 Cedefop, European Guidelines for validating non-formal and informal learning, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg 2009. 55 Unesco, Guidelines for the Recognition, Validation and Accreditation of the Outcomes of Non-formal and Informal Learning, 2012. Url: http://unesdoc.unesco.org/images/0021/002163/216360e.pdf.

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intelligente, sostenibile e inclusiva56 viene citata esplicitamente la promozione del riconoscimento dell’apprendimento non formale e informale e si fa inoltre esplicito accenno alla creazione di uno strumento operativo comune per l’istruzione/formazione e l’attività lavorativa: un quadro europeo per le capacità, le competenze e l’occupazione (European Skills, Competences and Occupations framework - Esco) finalizzato a rendere riconoscibili le competenze necessarie per il proseguimento della formazione e l’ingresso nel mercato del lavoro e in tutti i sistemi di insegnamento generale, professionale, superiore e per adulti. Un importante riferimento è anche Eucen (European University Continuing Education Network), una rete di 222 membri in 43 differenti Paesi, che si occupa di dare supporto allo sviluppo e alle politiche di lifelong learning nell’istruzione superiore. 3.3 Modelli di validazione Tra i metodi di validazione delle competenze non formali e informali più diffusi si ritrovano innanzitutto il portfolio o dossier di competenze, il dibattito, i metodi dichiarativi, le interviste, l’osservazione, cui se ne possono aggiungere altri come presentazione, simulazione e prove in situazioni lavorative, test ed esami. Tutti questi devono rispettare alcuni criteri (stabiliti dal Cedefop nel 200957) quali la validità, l’attendibilità, l’imparzialità, la capacità dello strumento di permettere ai valutatori di giudicare l’ampiezza e lo spessore degli apprendimenti del candidato, la funzionalità per l’uso valutativo che era stato previsto. Tra le buone pratiche esistenti, vanno distinte due direttrici di modelli (e di strumenti) per riconoscere e validare l’apprendimento esperienziale, il Vae (Validation des Acquis de l’Expérience) francese e l’Apel (Accreditation of Prior Experiential Learning) britannico. Con il primo, istituito in Francia nel 2002, ogni cittadino con almeno tre anni di esperienza può fare domanda di riconoscimento degli apprendimenti pregressi per ottenere una qualifica professionale o accademica, un titolo o certificato registrati nel Repertorio Nazionale di Certificazione Professionale. Sebbene ogni organismo certificatore sia responsabile dell’organizzazione e dell’erogazione dei propri servizi di Vae, le procedure rispettano un processo 56 European Commission, Europe 2020. A strategy for smart sustainable and inclusive growth, Comunicazione della Commissione, del 3 marzo 2010, intitolata Europa 2020: Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, 2010. Url: http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2010:2020:FIN:EN:PDF

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molto simile, di cui si dà disposizione nella stessa legge del 2002: colloquio preliminare, valutazione di “ricevibilità” della domanda da parte del certificatore, accompagnamento e stesura del dossier di analisi dell’esperienza, delibera della giuria e conseguente convalida totale o parziale. Il modello britannico si configura con un insieme di quadri di riferimento per la formazione professionale e per l’istruzione superiore e con un insieme di approcci e strumenti che hanno fatto la loro comparsa a partire dagli anni Ottanta del XX secolo. Il Southern England Consortium for Credit Accumulation and Transfer ha prodotto nel 1996 un codice per l’uso di Apel (successivamente approvato da 38 istituti di istruzione superiore), cercando di uniformare il più possibile le definizioni adottate, l’assicurazione della qualità e della trasparenza dei processi e delle procedure, che prevedono le seguenti tappe: richiesta, da parte del candidato, delle informazioni necessarie per attivare il procedimento; presentazione del profilo del candidato, raccolta delle evidenze a dimostrazione del possesso di alcune competenze e autovalutazione; elaborazione del portfolio con la documentazione sulle evidenze e opportune riflessioni con il supporto dell’academic adviser; valutazione delle evidenze ad opera di un panel di esperti in relazione agli standard previsti; certificazione delle competenze riconosciute e feedback al candidato sulle possibilità di sviluppo. 3.4 Certificazione delle competenze in Italia Nel nostro Paese, per quello che attiene il contesto universitario, nel quadro delle trasformazioni che hanno fatto seguito alla Dichiarazione di Bologna del 1999, era stata inizialmente conferita la possibilità agli atenei di riconoscere crediti formativi (Cfu) riguardanti conoscenze e abilità professionali (DL 509/99, art. 5, comma 7). Con il passare degli anni, tuttavia, è stato fissato un tetto massimo di 60 Cfu convalidabili (DL 262/2007), mentre più recentemente tale limite è stato ulteriormente abbassato a 12 Cfu (Legge 240/2010, art. 14, comma 1). Il motivo di questo scetticismo probabilmente è da ricercare nella percezione di un eccessivo “automatismo” nelle procedure di convalida, che a volte avvengono su base collettiva58. 57 Cedefop, European Guidelines for validating non-formal and informal learning, Luxembourg, Office for Official Publications of the European Communities, 2009. 58 Galliani, L., Riconoscere lo sviluppo delle competenze, in D. Galante P. Spinuso (Eds.), Mondo del lavoro, esperienze, percorsi, persone. Un modello di ricostruzione e capitalizzazione delle esperienze professionali e personali nel settore del credito (pp. 41-51), Pensa MultiMedia, Lecce 2011, p. 25.

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Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, è entrato in vigore il sistema nazionale di certificazione delle competenze, in attuazione della legge Fornero di riforma del mercato del lavoro (Legge n. 92/2012). Il provvedimento sistematizza in una disciplina unitaria le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti informali e non formali. Tale definizione fa riferimento al sistema nazionale di certificazione delle competenze e si pone l’obiettivo di promuovere la crescita e la valorizzazione del patrimonio culturale e professionale acquisito dalla persona nella sua storia di vita, di studio e lavoro, garantendone il riconoscimento, la trasparenza e la spendibilità. Si utilizzeranno a tal fine alcuni strumenti previgenti la norma (la certificazione), altri di nuova introduzione (la validazione degli apprendimenti acquisiti nei diversi contesti di vita della persona). Le competenze certificate dovranno inoltre essere riferibili a un Repertorio nazionale dei titoli di istruzione, di formazione e delle qualificazioni professionali, implementato entro 18 mesi dall’uscita del D.Lgs. 2003/13, che raccoglie e mette in correlazione, a partire da tre elementi di codifica comune (riferimento al quadro europeo delle qualificazioni e indicizzazione, laddove applicabile, ai codici di classificazione statistica delle attività economiche, Ateco, e della classificazione delle professioni, Cp) tutti i repertori esistenti dell’ordinamento italiano che, a diverso titolo e – sino a oggi con grandi eterogeneità – contengono declaratorie di competenza, ovvero i titoli di studio di ogni ordine e grado, i certificati di formazione di ogni livello e territorio e i profili delle qualificazioni professionali. Le amministrazioni pubbliche responsabili (enti pubblici titolari) della regolamentazione dei servizi di validazione e certificazione delle competenze sono: • il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in relazione ai titoli di studio del sistema scolastico e universitario; • le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, in relazione alle qualificazioni di formazione rilasciate nell’ambito delle competenze attribuite dalla Costituzione; • il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, in relazione alle qualificazioni delle professioni non regolamentate;

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• il Ministero dello Sviluppo economico e le altre autorità competenti ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, in relazione alle qualificazioni delle professioni regolamentate. Gli enti pubblici titolari individuano, nei propri ambiti di competenza e nel rispetto degli standard minimi nazionali, i soggetti pubblici o privati titolati a validare e certificare le competenze su richiesta del cittadino. In via esemplificativa ne consegue uno scenario che a grandi linee potrebbe vedere tre grandi sottosistemi di soggetti certificatori: • il sistema delle scuole e delle università, in relazione ai titoli di studio del sistema scolastico e universitario; • il sistema degli enti accreditati dalle Regioni e dalle Province autonome, in relazione alle qualificazioni di formazione; • il sistema dei soggetti autorizzati per i servizi al lavoro (a livello nazionale e regionale) ivi compresi i soggetti in regime speciale, le Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, gli enti della bilateralità, le associazioni professionali, gli ordini e collegi in relazione alle qualificazioni delle professioni. 4. Alcune best practices di formazione e valorizzazione delle soft skills 4.1 Il progetto ModEs (Modernising Higher Education through Soft skills Acccreditation) Un progetto specificamente mirato a creare un connubio tra soft skills, tecnologie, istruzione universitaria e accesso al mondo del lavoro è ModEs, finanziato nell’ambito del programma europeo Lifelong Learning Erasmus. Realizzato tra 2009 e 2012, con il coordinamento dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, il progetto ha visto la partecipazione di 14 partner di 11 paesi europei (Italia, Spagna, Belgio, Gran Bretagna, Polonia, Malta, Lituania, Slovenia, Svizzera, Germania, Austria) impegnati nell’elaborazione di linee guida per proporre l’integrazione di un programma europeo comune sulle soft skills nei curricula accademici e nei corsi di specializzazione post-diploma. I partner, appartenenti a tre tipi di istituzioni (università, aziende, collegi universitari), hanno contribuito nell’ambito della propria specifica mission: le università hanno partecipato con la valutazione della loro offerta formativa

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nell’ambito delle soft skills e con la redazione delle linee guida per l’insegnamento e l’apprendimento di queste competenze; le aziende hanno indicato le skills maggiormente richieste dal mercato del lavoro; i collegi universitari con il patrimonio di strumenti e metodologie per la formazione integrativa offerta agli studenti universitari. Il progetto ModES era mirato a ottenere risultati tangibili e intangibili. I prodotti finali del progetto sono infatti rappresentati da: − un handbook di linee guida per l’insegnamento/apprendimento delle soft skills in ambito accademico in 4 lingue (italiano, spagnolo, polacco, inglese); − un prototipo di un serious game in quattro lingue (italiano, inglese, spagnolo e polacco) per apprendere quelle soft skills precedentemente identificate con le aziende. Al tempo stesso il progetto ha raggiunto alcuni obiettivi intangibili, tra i quali: − modernizzazione dell’istruzione universitaria fornendo agli studenti una serie di competenze “trasversali” utili per il lifelong learning; − maggiore mobilità degli studenti e dei giovani professionisti all’interno dell’Europa grazie a un curriculum di soft skills unificato e riconosciuto a livello europeo all’interno del percorso universitario; − maggiore corrispondenza tra i profili dei laureati e le richieste del mercato del lavoro. Dopo un’analisi della letteratura destinata a definire e circoscrivere l’ambito delle cosiddette soft skills, è stata realizzata un’indagine quali-quantitativa (interviste e survey) su un campione di 264 aziende in 5 paesi (Italia, Spagna, Lituania, Slovenia e Malta). Le aziende partecipanti al progetto provenivano da diversi settori: telecomunicazioni, biotecnologie, automotive, servizi alle imprese, servizi bancari e assicurativi, prodotti high tech, settore turistico e alberghiero, moda e beni di lusso, energie, etc. Dall’indagine sono scaturite 21 soft skills, che sono state poi valutate da un gruppo di 35 esperti e raggruppate in tre clusters principali: personali, interpersonali e metodologiche. Tra le skills personali: professionalità, tolleranza allo stress, life balance, learning skills (la capacità di apprendere), ma anche la capacità di adattarsi a diversi contesti culturali. Tra quelle interpersonali, le classiche comunicazione, leadership, teamwork, gestione dei confilitti, negoziazione, ma anche cultural

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adaptability, contact network ovvero la capacità di contattare, creare e mantenere relazioni con altre persone in presenza e a distanza. Tra le skills metodologiche: l’orientamento al cliente/all’utente, l’adattabilità al cambiamento, le capacità analitiche, di prendere decisioni, l’orientamento al risultato, etc. Tab. 4 - Le soft skills richieste dalle aziende internazionali Sociali •Comunicazione •Orientamento all’utente/cliente • Lavoro di gruppo • Leadership • Negoziazione • Gestione dei conflitti • Gestione delle reti relazionali Metodologiche • Creatività e innovazione • Decision Making • Capacità manageriali • Capacità analitiche • Adattabilità al cambiamento • Orientamento al risultato •Miglioramento continuo Personali • Metodologia dell’apprendimento e dell’autoaggiornamento • Commitment • Professionalità • Consapevolezza di sé • Tolleranza allo stress • Equilibrio tra vita lavorativa e vita personale/familiare • Capacità di adattarsi ai diversi contesti culturali

Una volta identificate le skills richieste dal mondo aziendale, occorreva poi analizzare l’offerta, ovvero come le università e/o altri enti preparano i giovani ad affrontare le richieste delle aziende. È stata svolta una ricerca di best practices relative all’insegnamento e all’apprendimento delle soft skills nei corsi universitari e nei collegi universitari di eccellenza.

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Parallelamente sono stati realizzati focus group con docenti di diverse facoltà, atenei e paesi, per vagliare la possibilità di inserimento e accreditamento di queste competenze nei curricula universitari. 4.2 Raccolta di best practices Nell’ambito del progetto ModEs sono state svolte un’indagine quantitativa (survey) e una ricerca qualitativa sulle best practices di insegnamento/ apprendimento delle soft skills nei collegi universitari. La ricerca qualitativa, basata su interviste e focus group, è stata completata da un’analisi degli elementi presenti sui siti web dei vari enti e da un’indagine sul campo, attraverso l’osservazione di alcune realtà. Tra i risultati, oltre a un’analisi dei percorsi formali e non formali che sono attuati dai collegi, raccolti nelle best practices del manuale del progetto ModEs, dati descrittivi e interpretativi sulle pratiche informali che contribuiscono non poco alla formazione di questo tipo di competenze e che fanno del collegio l’humus ideale per coltivarle59. Nell’ambito del progetto ModEs, sulla scorta di altri progetti precedenti (per esempio il progetto Tuning), è stata formulata la già citata definizione di soft skills, intese come combinazione dinamica di abilità cognitive e metacognitive, interpersonali, intellettuali e pratiche. Partendo da questi presupposti, è stata realizzata una mappatura dei corsi offerti nei 194 collegi appartenenti ad Euca (European University College Association), fondata nel 2008 e con sede principale a Bruxelles, che conta circa 30.000 studenti in 8 paesi (Belgio, Francia, Italia, Germania, Polonia, Regno Unito, Spagna, Ungheria). Per la raccolta è stato utilizzato un template, realizzato in collaborazione con l’Università di Vienna, che comprendeva i seguenti campi di indagine: titolo del corso; docenti (specificando anche se docenti universitari o docenti/ tutor interni); descrizione; obiettivi di apprendimento; metodi didattici utilizzati; metodi di valutazione; tipo di setting (faccia a faccia, online, blended); implementazione (tutte le informazioni aggiuntive utili per capire come si è svolto il corso); eventuali riferimenti bibliografici forniti per il corso o link a materiali presenti sul sito relativi al corso. Sono stati dunque mappati quattro tipi di attività mirate allo sviluppo delle soft skills: 59 Questi dati sono oggetto di un’altra pubblicazione (M. Cinque, Soft skills in action, Euca, Bruxelles 2012)

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1. corsi organizzati dalle università (come corsi autonomi o parti di corsi disciplinari) regolarmente accreditati;

2. corsi organizzati da altri enti (società ed enti di formazione, associazioni scientifiche disciplinari, collegi universitari) regolarmente accreditati; 3. corsi organizzati da altri enti non accreditati; 4. soft skills in action, ovvero apprendimento esperienziale (experiential learning) attraverso progetti, stage aziendali, attività pratiche e di volontariato (collegi universitari). Come è evidente, i quattro tipo di attività appartengono a tipologie diverse: attività formali (1 e 2, ovvero i corsi accreditati), non formali (corsi non accreditati, ovvero il tipo 3) e informali (4, le esperienze di apprendimento). Questa commistione tra aspetti formali, non formali e informali è tipica dei collegi universitari60. All’interno di ciascuna tipologia di attività – formali, non formali e informali – sono poi stati rilevati tipi di percorsi diversi per durata, struttura e obiettivi, tra cui: • minicurricula: corsi caratterizzati da una certa durata, composti da più moduli e da diverse attività. Tra questi, corsi semestrali (per esempio il corso su Leadership e meritocrazia del Collegio di Milano), annuali o triennali (Jump, svolto nei collegi milanesi e romani della Fondazione Rui); • programmi, workshop e laboratori: ovvero corsi di uno o più giorni come per esempio l’International Undergraduate Soft skills Programme (svolto dai collegi appartenenti alla rete del Consejo de Colegios Mayores della Spagna); • sessioni di training (talvolta con attività outdoor), come per esempio quelle svolte dal Politecnico di Varsavia; • progetti (interni ai corsi o esterni); • concorsi; • cicli di lezioni e seminari; • colloqui (guest speakers); • visite aziendali, study tours, on the job training, internati, etc.;

60 Se vogliamo tornare alle radici etimologiche di questo termine, c’è una possibile radice che rafforza questa accezione. Nell’antica Roma la parola collegium indicava qualsiasi associazione riconosciuta “legalmente”: poteva essere una gilda di commercianti (molto sviluppate poi nel tardo Medioevo) o un club politico (ve ne erano molti ai tempi di Cicerone) o semplicemente un gruppo di persone che decideva di vivere insieme seguendo norme e regole comuni (cum-legis: legge, oppure lego: scelgo).

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• compiti individuali o di gruppo (apprendimento basato sullo svolgimento di attività pratiche). 4.3 Il modello residenziale e l’importanza dell’ambiente Molti studiosi – non solo italiani – riconoscono che l’Umanesimo e, successivamente, il Rinascimento furono periodi di eccellenza anche perché si erano create le condizioni favorevoli all’intersezione tra concetti, culture e uomini illustri. In questo senso esemplare fu il caso della corte medicea, presa a modello, in un recente contributo americano sulla creatività61, di ambiente di intersezione, dove si incontrarono e operarono i migliori artisti e scienziati, contribuendo al fiorire di un’epoca di grandi invenzioni e di uno straordinario sviluppo culturale in Europa. L’effetto Medici è un esempio da replicare nella realtà odierna. Il modello “meta-disciplinare” che gli autori propongono, partendo dal “caso” della corte medicea, è applicabile sia alle aziende sia ai singoli individui. Secondo l’autore è possibile sviluppare potenzialità creative e innovative, andando oltre i luoghi comuni e gli stereotipi, combinando in modo inedito concetti conosciuti, rompendo le barriere associative e guardando ai problemi in modo nuovo, entrando in campi e saperi inesplorati, agendo con determinazione, sfruttando anche gli errori e i fallimenti. Per sviluppare queste capacità occorre un ambiente che sia non solo multidisciplinare e interdisciplinare, ma soprattutto meta-disciplinare, ovvero un ambiente in cui esperti di diverse discipline si incontrano e dialogano tra loro. Non potendo più una persona accentrare competenze diverse, occorre un processo denominato cross fertilization, ovvero la “contaminazione” di idee da parte di specialisti appartenenti ad ambiti diversi, che può creare fenomeni di intersezione tra più discipline, ambito e campi da cui scaturisce l’innovazione. È noto come oggi, in molti Paesi asiatici, vengano create strutture – in parte educative in parte di ricerca – che creino un polo di attrazione per i talenti, talent hubs, in modo da concentrare in un medesimo luogo risorse (educative, organizzative ed economiche) che possono contribuire allo sviluppo di una nazione.

61 F. Johansson, Effetto Medici. Innovare all’intersezione tra idee, concetti e culture, Etas, Milano 2006

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Del resto quest’idea della contaminazione dei saperi era già presente nel concetto medievale di universitas, che includeva insieme il significato di comunità, di “totalità”, in riferimento alle aree dello scibile che possono essere insegnate, di “universalità” dei risultati dello sforzo di ricerca, caratterizzato da un rigore metodologico che ne rende intersoggettivamente validi gli esiti. Il termine universitas esprimeva quindi l’aspirazione alla costruzione di un’unità del sapere che possa essere tale sia in rapporto alla cultura del tempo, sia in rapporto alla sintesi che ciascuno ne elabora attraverso il proprio percorso formativo. Questa possibilità non è sempre offerta nell’università attuale. La Riforma Gelmini si è proposta di “restaurare” il settore dei collegi universitari. Accanto ai collegi riconosciuti (collegi di merito) sono istituiti i collegi accreditati (i soli che possano accedere ai finanziamenti statali e che devono avere requisiti specifici)62. C’è quindi una valorizzazione delle esperienze residenziali in un ottica di merito ed eccellenza. Ad Harvard è obbligatorio passare il primo anno in un college. Nel sistema universitario inglese (non in quello americano dove la parola college è squalificata), il collegio è stigma di un modello che punta all’eccellenza. Vari studiosi di Oxford, fin dagli anni Cinquanta, hanno tentato – senza successo – di dimostrare che il modello college fa ottenere risultati accademici migliori. In alcuni casi, apparentemente, una possibile giustificazione dei risultati migliori è la stessa selezione in accesso a questo tipo di strutture: ovvero solo studenti selezionati entrano a Oxford. Tuttavia, sebbene non sia possibile stabilire una correlazione diretta tra risultati accademici e permanenza in un collegio universitario (in quanto inter-

62 Tra i decreti attuativi della riforma, il D.Lgs. 29 marzo 2012, n. 68, ha previsto la distinzione tra riconoscimento e accreditamento per i collegi universitari, definiti come «strutture a carattere residenziale di rilevanza nazionale, di elevata qualificazione formativa e culturale, che perseguono una valorizzazione del merito e dell’interculturalità della preparazione, assicurando a ciascuno studente, sulla base di un progetto personalizzato, servizi educativi, di orientamento e di integrazione dei servizi formativi». Ai fini del riconoscimento, sono stabiliti requisiti e standard minimi di carattere istituzionale, logistico e funzionale. In particolare, il decreto precisa che i collegi universitari devono prevedere nel proprio statuto uno scopo formativo e disporre di strutture ricettive in grado di ospitare utenti italiani e stranieri, con particolare riguardo a quelli provenienti da Paesi dell’Unione Europea. Si ribadisce inoltre che, come previsto dalla legge Gelmini, l’ammissione ai collegi universitari di merito costituisce un titolo valutabile per gli studenti candidati alla concessione di contributi a carico del Fondo per il merito. Dopo cinque anni di attività, i collegi universitari di merito possono fare richiesta di accreditamento, requisito necessario per la concessione del finanziamento statale. L’accreditamento, concesso con decreto del Ministero, è subordinato al possesso di requisiti e standard minimi, periodicamente verificati. Tra questi: l’esclusiva finalità di gestione dei collegi universitari, il prestigio acquisito in ambito culturale e la qualificazione in ambito formativo, la rilevanza internazionale dell’istituzione..

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vengono altre variabili), in relazione ad altri parametri, ricerche quantitative e qualitative condotte su vasta scala dimostrano i benefici effetti del modello college. Per esempio, relativamente all’integrazione accademica e alla possibilità di condurre una vita universitaria attiva, studi condotti negli anni Settanta e Ottanta sia nei campus universitari americani sia nelle residenze universitarie europee, spesso esterne all’università, dimostrano che vivere con altri studenti comporta numerosi vantaggi, come quello di poter studiare con i propri colleghi, di ottenere attività di tutorato da studenti più grandi, di condividere problemi, soluzioni, etc. Tra gli ultimi, uno studio condotto nel 2001 nel New England, ha dimostrato che l’89% degli studenti residenti in un campus aveva rapporti diretti e frequenti con i propri docenti, mentori e altri membri universitari, rispetto al 59% degli studenti off-campus e al 65% degli studenti rimasti a vivere in famiglia. Ovviamente ci sono differenze anche tra vivere in un campus e vivere in una residenza esterna e, sebbene nella prima condizione ci siano maggiori possibilità di integrazione accademica, nella seconda ci sono sicuramente notevoli vantaggi dal punto di vista della socializzazione, dello scambio interdisciplinare e “meta-disciplinare” (la cross fertilization a cui accennavamo prima), di scambio interculturale, provenendo spesso gli studenti da realtà socio-economiche, culturali e anche da nazioni e continenti diversi. Per quanto riguarda i collegi universitari, gli aspetti più studiati di recente63 sono quelli relativi alle diverse “sub-culture” che possono svilupparsi nei diversi tipi di residenzialità universitaria (case dello studente, appartamenti, collegi e residenze universitari, campus, etc.) e le ricerche che studiano le reti sociali e i modelli di interazione informale che gli studenti formano al di fuori dell’istituzione accademica. In particolare, in Italia i collegi universitari di merito sono caratterizzati dal binomio “equità ed eccellenza”, ovvero dall’idea che ognuno possa accedervi a prescindere dal contesto socio-economico di provenienza, purché esprima le sue massime potenzialità e abbia qualità relazionali che lo rendano adatto a vivere con altre persone.

63 E. Pascarella, P. Terenzini, How College Affects Students, vol. 2: A Third Decade of Research, Jossey-Bass, San Francisco 2005. A. Rinn, C. Cobane, Elitism misunderstood: In defense of equal opportunity, in “Journal of the National Collegiate Honors Council”, paper 256, 2009. Url: http://digitalcommons.unl.edu/nchcjournal/256

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Gli obiettivi educativi dichiarati e perseguiti da molti collegi e gli strumenti utilizzati per raggiungerli sono sintetizzati nella tabella seguente: Tabella 2 - Obiettivi educativi dei collegi universitari64 Obiettivi Crescita intellettuale e culturale

Crescita umana, spirituale e maturazione etica – diffusione di valori sociali

Apprendimento delle lingue straniere Crescita personale Eccellenza accademica e professionale – Sviluppo di una metodologia di apprendimento

Sviluppo di competenze relazionali e di attitudine al lavoro di gruppo

Strumenti Corsi e seminari Attività culturali varie come: tavole rotonde, eventi, conferenze, presentazioni di libri, etc. Attività di volontariato Attività di formazione spirituale Cooperazione internazionale Lezioni ed eventi Corsi Scambi internazionali Doveri, ruoli, responsabilità e compiti da svolgere all’interno del collegio Strumenti di accompagnamento: coaching, tutoring, mentoring e counselling Corsi di metodologia dello studio Orientamento al lavoro Possibilità di stage e incontri con professionisti Attività collaborative di vario genere: team work, project work Viaggi di gruppo e attività sportive

Sviluppo di abilità trasversali

Attività formali, non formali e informali mirate allo sviluppo delle soft skills (v. oltre)

Sviluppo di capacità artistiche

Corsi di arte Laboratori (di creatività, comunicazione, etc.) Spettacoli teatrali

4.4 Metodologie didattiche e strumenti di valutazione La raccolta di best practices sull’insegnamento e sull’apprendimento delle soft skills nei corsi universitari e nei collegi universitari di eccellenza ha permesso di inventariare e classificare:

64 M. Cinque, op. cit., p. 65.

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metodologie didattiche adatte a sviluppare questo tipo di competenze; risultati di apprendimento da raggiungere (learning outcomes) modalità di verifica dei risultati conseguiti (strumenti di assessment); strutturazione dei percorsi per l’apprendimento delle soft skills (sia che siano integrati all’interno dei corsi disciplinari sia che vengano erogati a parte come corsi complementari). Ci limiteremo qui a esporre alcuni risultati relativi ai rimi tre gruppi, rinviando al Manuale del progetto (ModEs Handbook) per le schede sui percorsi di apprendimento delle soft skills realizzati nei collegi. Metodologie didattiche Nell’ambito delle attività e dei corsi mirati allo sviluppo delle soft skills nei collegi universitari sono utilizzate metodologie didattiche di vario tipo: “espositive” (lezioni, seminari, conferenze, dimostrazioni pratiche, visione di filmati); “guidate” (discussioni, dibattiti, workshops, case studies, project works, simulazioni, coaching, mentoring), “attive” (brainstorming, role play, business games, visite, study tours, laboratori, outdoor training, on the job traning). Rispetto ai “tradizionali” corsi universitari si è riscontrata una prevalenza delle metodologie attive e guidate, anche se non è sempre possibile distinguere tra le due. Le metodologie espositive non sono del tutto escluse da questo tipo di corso e sono utilizzate quando prevale come obiettivo principale quello di informare e istruire i partecipanti incidendo principalmente sulle loro conoscenze teoriche e tecniche. L’efficacia di questa modalità risiede sia nelle conoscenze e capacità comunicativa del docente, nella quantità di nozioni che si intende di trasmettere, nell’idoneità dei supporti didattici che nelle caratteristiche del gruppo (numero, capacità di interagire con il docente, omogeneità o eterogeneità). Gli svantaggi di questi metodi derivano dalla tendenza a favorire una certa passività negli ascoltatori: può essere noiosa se l’insegnante non ha capacità di comunicazione e non riesce a catturare l’attenzione del pubblico. . 4.5 Best practices in ambito accademico Come abbiamo osservato in precedenza, i programmi di studio della maggior parte delle università in Europa sono ancora fondati quasi esclusivamente sul tradizionale apprendimento scientifico e viene dato poco rilievo alle soft skills.

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Tuttavia esistono eccezioni che testimoniano di un trend in atto. In alcuni casi queste competenze possono essere acquisite all’interno di corsi curriculari, venendo così a costituire una specie di curriculum nascosto, in altri invece sono oggetto di corsi appositi. In Italia esistono alcune “buone pratiche”, soprattutto in atenei privati, come l’Università Bocconi di Milano, la Luiss e l’Università degli Studi della Basilicata. L’Università Commerciale “Luigi Bocconi” ha istituto tre corsi al fine di sviluppare un insieme di soft skills, a supporto di quelle tecnico-specialistiche, essenziali per operare con efficacia e con successo nel contesto lavorativo: competenze manageriali per studenti della triennale; leadership skills e abilità comportamentali (per studenti della magistrale). La Luiss ha istituto tre percorsi (sia per laurea triennale che per la magistrale): Skill-a-bus Cooperative Knowledge and Behavioural Skills (che comprende diversi moduli come: team work e leadership; teoria dei giochi e delle decisioni); Case Analysis and Business Game (attraverso l’analisi di un caso aziendale condotta da diverse prospettive, gli studenti mettono a fuoco le tematiche più consistenti connesse al fare impresa e sistematizzano le conoscenze acquisite nel corso dei propri studi); Geek Café (le nuove tecnologie applicate alla progettazione di una startup, che prevede la presentazione di un progetto e una competition). Un altro caso che merita di essere esposto è rappresentato dall’Università degli Studi della Basilicata che ha offerto ai laureati, nel progetto di orientamento Lorenz, dei tirocini multidisciplinari volti all’acquisizione e sviluppo delle competenze trasversali. La struttura del percorso, piuttosto complessa ma molto significativa, si articola in tre fasi: la formazione in aula iniziale, il tirocinio e la valutazione finale. Per ogni step sono state utilizzate delle metodologie e strumenti di development ed assessment appositi. Secondo un articolo del “Frankfurter Allgemeine Zeitung” già a inizio del 2009 la maggior parte delle università tedesche offriva corsi sulle soft skills. Programmi analoghi sono stati sviluppati in diverse università europee (come, per citare solo un esempio micro, quella di Dundee in Scozia: “Generic skills programme”) ed extraeuropee, per esempio in Messico, Canada, Sudafrica, in molti Paesi asiatici, oltre che – ovviamente – negli Stati Uniti. Tra le best practices statunitensi, una realtà d’eccellenza è rappresentata sicuramente dalla University of the Pacific, California, che pone lo sviluppo

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della leadership e della collaborazione tra i suoi valori guida e tra gli obiettivi formativi e istituzionali perseguiti. L’università cerca di creare un’esperienza di apprendimento significativa per ogni studente che permetta la formazione di persone in grado di adottare, nelle posizioni di leadership, comportamenti responsabili e positivi volti allo sviluppo di una carriera lavorativa di successo e duratura. Per raggiungere il duplice obiettivo di collaborazione e di leadership responsabile, l’università ha nel tempo implementato diversi strumenti formativi. Lo Student Leadership Development è un corso che permette agli studenti di esplorare se stessi al fine di essere capaci di attivare un insieme di comportamenti positivi volti al conseguimento degli obiettivi sia personali che istituzionali di collaborazione e di leadership responsabile. Analogamente, l’University of Illinois, Urbana-Champain, ritiene che il possesso e la corretta gestione delle capacità essenziali della leadership sia determinante per avere successo nel contesto lavorativo e personale: infatti viene internazionalmente riconosciuta come fornitrice di opportunità formative e di ricerca leadership-based che permettono lo sviluppo di soggetti in grado di performare con eccellenza nel contesto produttivo e sociale. A tal proposito è stato istituito l’Illinois Leadership Centre che promuove la creazione di occasioni per lo sviluppo delle skill associate leadership per tutti gli studenti dell’università mediante la predisposizione di alcuni programmi ed iniziative specifiche. Un’esperienza interessante in Europa è quella dell’Esade, un’istituzione universitaria appartenente all’Universitat Ramon Llull, Barcellona, che, grazie allo storico orientamento verso lo sviluppo personale e la responsabilità sociale è stato il primo ateneo in Europa a implementare un modello di apprendimento basato sullo sviluppo delle skills e delle tecniche richieste dal mondo professionale e manageriale. Per favorire un simile processo è stato costituito il centro di ricerca Glead-Leadership Development Research Centre, che mira alla diffusione delle competenze emotive e sociali nei percorsi di studio offerti dall’università in quanto essenziali per la costruzione di relazioni efficaci nel contesto lavorativo. Un altro caso emblematico riguarda l’Universidad de Deusto, Bilbao, che – a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila e in concomitanza con il Processo di Bologna (1999) – ha introdotto alcune modifiche interessanti caratterizzate dal passaggio da metodologie didattiche teacher-centred a metodologie student-

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oriented. A dimostrazione dell’importanza di questa nuova filosofia, i principi e valori su cui si fonda l’università sono stati revisionati e oggi comprendono alcuni elementi chiave tra cui il forte focus sugli studenti in quanto persone uniche ed irripetibili le cui capacità devono essere sviluppate al massimo da parte dell’ateneo. Gli studenti, infatti, devono essere formati in modo da diventare professionisti competenti, liberi e responsabili, critici e creativi, capaci di lavorare in gruppo rispettando le questioni etiche e sociali. Tra i valori fondamentali rilevano da un lato l’apprendimento autonomo alla stregua di strumento di crescita e di sviluppo personale mediante il quale perseguire gli obiettivi di autorealizzazione, e dall’altro le competenze trasversali in quanto utili per la carriera lavorativa e per la vita personale. Con riferimento a questi ultimi due elementi, una delle competenze più enfatizzate è la leadership che viene sviluppata in tutti i livelli organizzativi ed è associata alla promozione dell’orientamento al risultato e della consapevolezza di sé. Infine, vi sono tre obiettivi fondamentali che tutti i corsi di studio perseguono e che dimostrano il ruolo attivo delle soft skills all’interno dei percorsi di studio: l’autonomia, legata alle capacità cognitive; la responsabilità personale, dal time management alla pianificazione; infine la cooperazione, dal teamworking al networking. Interessante è stata anche l’esperienza di valutazione condotta in questo istituto che, per ciascuna delle competenze trasversali identificate, ha elaborato sia un insieme di strumenti e tecniche per favorire l’acquisizione e lo sviluppo delle stesse, sia una batteria di indicatori che permettono di mappare il livello di competenze posseduto.

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Job seeking: istruzioni per l’uso Simona Miano

1. Il sistema Europass Europa 2020 è la strategia decennale per la crescita e l’occupazione che l’Unione Europea ha varato nel 2010. Tale strategia non mira soltanto a superare la crisi dalla quale le economie di molti paesi stanno ora gradualmente uscendo, ma vuole soprattutto creare le condizioni per una crescita più intelligente, sostenibile e solidale. Fra i 5 obiettivi che l’Ue è chiamata a raggiungere entro il 2020 ce ne sono ben tre che riguardano le tematiche dell’educazione e della ricerca: t occupazione (innalzamento al 75% del tasso di occupazione per la fascia di età compresa tra i 20 e i 64 anni); t ricerca & sviluppo (aumento degli investimenti al 3% del Pil dell’Ue); t istruzione (riduzione dei tassi di abbandono scolastico precoce al di sotto del 10% e aumento al 40% dei 30-34enni con un’istruzione universitaria). Nell’ottica degli obiettivi strategici, è stata identificata la strategia Education and training 2020, che identifica 4 obiettivi in linea con il Processo di Bologna (infra): t fare in modo che l’apprendimento permanente e la mobilità divengano una realtà; t migliorare la qualità e l’efficacia dell’istruzione e della formazione; t promuovere l’equità, la coesione sociale e la cittadinanza attiva; t incoraggiare la creatività e l’innovazione, inclusa l’imprenditorialità a tutti i livelli dell’istruzione e della formazione.

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La Commissione Europea ha lanciato nel 2012 “Rethinking Education”, per incoraggiare gli Stati membri ad adottare misure immediate in grado di assicurare ai giovani lo sviluppo delle capacità e delle competenze richieste dal mercato del lavoro, per raggiungere i propri obiettivi di crescita e occupazione. Nell’ambito di queste politiche, la mobilità internazionale di studenti e lavoratori è un fattore chiave che viene sostenuto dall’Europa con processi diversificati, fra i quali ha un peso rilevante il cosiddetto Processo di Bologna per la costruzione di uno Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore (Ehea - European Higher Education Area); questo si basa su un accordo intergovernativo di collaborazione formalmente sottoscritto nella Conferenza interministeriale tenuta a Budapest e Vienna nel marzo 2010. L’iniziativa era stata lanciata durante la conferenza dei ministri dell’Istruzione superiore (Bologna, giugno 1999) ed era stata ispirata dall’incontro dei ministri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito del 1998. L’obiettivo principale del Processo di Bologna, ormai attuale, è costruire uno Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore che: t si fondi sulla libertà accademica, l’autonomia istituzionale e la partecipazione di docenti e studenti al governo dell’istruzione superiore; t generi qualità accademica, sviluppo economico e coesione sociale; t incoraggi studenti e docenti a muoversi liberamente; t sviluppi la dimensione sociale dell’istruzione superiore; t favorisca l’occupabilità e l’apprendimento permanente dei laureati; t consideri studenti e docenti come membri della comunità accademica; t si apra all’esterno e collabori con l’istruzione superiore di altre parti del mondo. Nell’ambito dello Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore i governi hanno impostato alcune riforme strutturali di rilievo, quali: t l’introduzione di un sistema di titoli comprensibili e comparabili (il sistema a tre cicli con relativi titoli di studio di primo, secondo e terzo livello); t la trasparenza dei corsi di studio attraverso un comune sistema di crediti (Ects - European Credit Transfer System) basato sul carico di lavoro e i risultati si apprendimento, e attraverso il Diploma Supplement (Ds); t il riconoscimento dei titoli e dei periodi di studio; t un approccio condiviso all’assicurazione della qualità; t l’attuazione di un quadro dei titoli per lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore.

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Per favorire la trasparenza delle qualifiche professionali e dei titoli di studio e per agevolare la mobilità delle persone uno degli strumenti nati nell’ambito dell’Unione Europea è Europass1, composto da cinque documenti, due di libero accesso compilati dai cittadini europei, che sono: t il curriculum vitae, che aiuta a presentare competenze e qualifiche in modo più efficace e standardizzato; t il passaporto delle lingue, uno strumento di autovalutazione delle competenze e delle qualifiche linguistiche; e tre documenti rilasciati da enti di istruzione e formazione: t Europass mobilità che registra le conoscenze e le competenze acquisite in un altro Paese europeo; t Supplemento al certificato, che descrive le conoscenze e le competenze acquisite dai possessori di certificati di istruzione e formazione professionale; t Diploma Supplement, che descrive le conoscenze e le competenze acquisite dai possessori di titoli di istruzione superiore. Questi documenti possono essere raccolti nel “Passaporto Europeo delle Competenze”, un portafoglio elettronico che fornisce una panoramica completa delle abilità e competenze di una persona: è uno strumento che aiuta a presentare le abilità e i titoli per trovare un lavoro o un’opportunità di formazione e validare le proprie competenze. Il Passaporto delle Competenze può essere creato online2 e periodicamente aggiornato raccogliendovi tutti i documenti che lo compongono: il Passaporto delle Lingue, il Supplemento al Certificato, copie del Diploma di Laurea o dei certificati, attestati di lavoro, etc. Nell’ambito del sistema Europass è stata costituita anche una rete di Centri Nazionali Europass3. In ogni Paese (Unione Europea e Spazio Economico Europeo), il Centro Nazionale Europass coordina tutte le attività collegate ai documenti Europass; è il primo punto di contatto per ogni persona o ente interessato ad usare o a saperne di più su Europass. I principali compiti di un Centro Nazionale4 sono: t coordinare la gestione dei documenti Europass; t promuovere Europass e i suoi documenti; 1 https://europass.cedefop.europa.eu/it/about. 2 https://europass.cedefop.europa.eu/editors/fr/esp/compose. 3 https://europass.cedefop.europa.eu/it/about/national-europass-centres. 4 Il centro Europass per l’Italia è in Corso d’Italia 33, 00198 Roma, tel. +39 0685447049 Fax +39 0685447800, Email: [email protected], Sito web: http://www.isfol.it/europass.

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t assicurare che i centri d’informazione e orientamento siano ben informati su Europass e i suoi documenti;

t garantire che tutti i documenti Europass siano disponibili anche in versione cartacea; t agire da interlocutore nazionale nella rete europea di Centri Nazionali Europass. Curriculum Vitae Europass, istruzioni per l’uso5 L’Europass Curriculum Vitae (Ecv) è un modello standardizzato che consente di descrivere, sulla base di un formato condiviso e riconosciuto in tutta Europa, le esperienze di studio e di lavoro e le competenze sviluppate da un individuo, al momento della presentazione di una candidatura per un lavoro o per la prosecuzione di un percorso formativo. Questo strumento può essere utilizzato in tutti i casi di mobilità geografica e professionale. Ecv è uno strumento creato per rispondere a questo bisogno di visibilità e di diffusione dell’informazione su di sé, facilitando la comunicazione fra soggetti di Paesi diversi per lingua e cultura che hanno bisogno di comunicare in modo rapido e, per quanto possibile, senza equivoci. L’adozione di un formato standard aiuta le persone a descrivere la propria storia e la propria esperienza in modo comprensibile a tutti. Inoltre, contribuisce a eliminare gli ostacoli al riconoscimento delle competenze individuali che possono nascere dai diversi metodi di riconoscimento e di valutazione delle competenze che sono oggi adottati nei vari Paesi europei, oppure da parte dei vari enti interessati (per esempio università, scuole, centri di formazione o altre istituzioni formative, oppure imprese, enti pubblici o altri potenziali datori di lavoro). Aiutando la comunicazione e la circolazione delle informazioni, l’Ecv è anche uno degli strumenti che possono essere utilizzati per facilitare e favorire la mobilità delle persone. L’Ecv accoglie le indicazioni dell’Unione Europea in tema di sviluppo delle risorse umane, che sottolineano sia la necessità di considerare l’esperienza delle persone in una logica di formazione per tutta la durata della vita, sia l’op5 Questo paragrafo, con alcuni aggiornamenti, è tratto da G. Finocchietti, Il curriculum vitae Europass, in L. Berta, C. Finocchietti, G. Finocchietti, S. Miano, Dalla laurea al lavoro, Manuali della Scuola di formazione universitaria integrata, Edizioni Universitarie Rui, Roma 2006, pp. 21-32.

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portunità di dare adeguata visibilità alle competenze ritenute utili per lavorare nella società attuale. Nato dall’esigenza di aumentare la trasparenza dell’informazione e le possibilità di comunicare efficacemente e senza fraintendimenti fra differenti paesi europei e fra cittadini di diversa nazionalità, cultura e ruolo sociale, l’Ecv vuole contribuire a ridurre gli ostacoli alla mobilità e aumentare le possibilità di studiare, lavorare e vivere in un qualsiasi paese dell’Unione Europea. Con questi obiettivi, l’Ecv funziona anche come uno strumento che aiuta a definire un’identità comune di cittadini europei e a presentarsi sullo scenario europeo con un profilo leggibile anche al di là dei confini del Paese o dell’ambiente di origine. L’Ecv permette di presentare qualifiche, attitudini e competenze in modo logico, ovvero in base a un percorso di presentazione che è indicato dalla struttura del modello proposto. La struttura del curriculum è la seguente: t informazioni personali; t lavoro richiesto, posizione/occupazione desiderata, dichiarazioni personali; t esperienza lavorativa; t educazione e formazione; t capacità personali: t prima lingua t altre lingue (descritte utilizzando il quadro comune europeo di riferimento per le lingue) t capacità comunicative t capacità organizzative e gestionali t competenze professionali t competenze informatiche t altre competenze t patente di guida; t ulteriori informazioni (pubblicazioni, progetti, premi etc.). Per compilare il curriculum, occorre inserire le informazioni richieste nei campi previsti di ciascuna sezione, negli spazi indicati dalle varie didascalie. Alcune informazioni sono fondamentali (altrimenti il curriculum non avrebbe alcuna utilità), altre sono facoltative e si può decidere di volta in volta se inserirle o meno, a seconda della finalità.

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Template fac-simile Ecv (pagina 1)

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Template fac-simile Ecv (pagina 2)

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Esempio di Ecv compilato (pagina 1)

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Esempio di Ecv compilato (pagina 2)

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Un curriculum costituisce spesso il primo contatto con un futuro datore di lavoro; deve quindi attirare la sua attenzione fin dai primi secondi di lettura. Spesso i reclutatori dedicano meno di un minuto all’esame dei curriculum per effettuare una prima selezione dei candidati; dunque, per non perdere l’opportunità bisogna saper essere chiari, concisi e convincenti. L’Ecv va compilato con cura: le qualifiche e competenze vanno presentate in modo chiaro e logico, per valorizzare i propri punti forti. Non va trascurato alcun dettaglio, nel merito come nella forma (occorre, dunque, fare molta attenzione all’ortografia e alla punteggiatura). L’Ecv non deve essere eccessivamente lungo: due facciate sono più che sufficienti per valorizzare un profilo individuale. È utile sapere, a tal riguardo, che in alcuni paesi europei tre facciate sono considerate eccessive, anche per chi ha un’esperienza professionale vasta; in altri paesi, è considerato ideale un curriculum di una sola facciata. L’Ecv non è mai un documento definitivo e va compilato in funzione del lavoro (o dell’occasione di studio) cercato: ogni volta è opportuno verificare che esso corrisponda al profilo richiesto ed eventualmente adattarne i contenuti per valorizzare i propri punti forti. È buona regola evitare di dichiarare cose non vere: si rischia di screditarsi nel corso di un colloquio. L’Ecv va riletto attentamente per eliminare eventuali errori. Inoltre, per verificare che la formulazione sia logica e facile da capire, e che il contenuto sia completo, è utile far rileggere il curriculum da altre persone. Appare utile soffermarsi su alcune indicazioni strategiche fornite nelle istruzioni6. - Informazioni personali: inserire recapiti ai quali si è sempre reperibili. - Lavoro richiesto, posizione/occupazione desiderata, dichiarazioni personali: fornire un’immediata panoramica del motivo della propria candidatura. Utilizzare il campo “dichiarazioni personali” solo se si ha in mente un’idea molto chiara del lavoro per il quale vi state proponendo. Focalizzarsi sui principali punti di forza e risultati in riferimento alla posizione lavorativa desiderata piuttosto che sui vostri compiti in passate esperienze (massimo 50 parole). Evitare espressioni generiche. 6 Nel sito https://europass.cedefop.europa.eu/it/documents/curriculum-vitae/templates-instructions è possibile scaricare modello e istruzioni per la compilazione in varie lingue, oppure compilarlo direttamente online, salvandolo per poi farne ulteriori modifiche e integrazioni. Sempre alla stessa pagina è possibile trovare alcuni esempi compilati che possono essere utili come modello.

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- Esperienza lavorativa: focalizzarsi sulle esperienze lavorative che danno valore aggiunto alla candidatura; inserire per prime le esperienze più recenti; se l’esperienza lavorativa è limitata, descrivere esperienze di tirocinio anche non retribuite che attestino un’esperienza sul campo, o esperienza come volontariato, o soggiorni all’estero, etc.; è importante sottolineare le competenze acquisite, spendibili nel contesto per cui vi state candidando. - Educazione e formazione: anche in questo caso inserire le esperienze a partire dalla più recente, con conseguimento di un titolo finale; nel caso siano rilevanti per la candidatura, segnalare anche percorsi non completati. - Capacità personali: per descrivere le competenze linguistiche utilizzare il quadro comune europeo di riferimento per le lingue; per descrivere le altre capacità mettere in evidenza il “saper fare” in modo conciso e facendo riferimento al contesto dove tali capacità sono state acquisite. Menzionare anche interessi personali “a valore aggiunto”, che mettano cioè in luce caratteristiche personali connesse al profilo per cui vi state candidando. Se si intende utilizzare il formato Europass Cv per cercare un lavoro in Italia, è opportuno aggiungere la nota sulla privacy, autorizzando il trattamento dei propri dati personali ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”. Per riepilogare, ecco la sintesi dei 5 principi fondamentali per scrivere un buon Ecv: 1. Concentratevi sull’essenziale • I datori di lavoro impiegano generalmente meno di un minuto per valutare un Cv ed effettuare una prima selezione dei candidati: quindi se il primo impatto non funziona, avete perso la vostra occasione. • Se rispondete a un’inserzione, assicuratevi di possedere tutti i requisiti richiesti al candidato. • Siate sintetici: il Cv deve essere breve; in genere 2 pagine bastano per valorizzare il vostro profilo. Se siete laureati ad esempio, inserite le informazioni relative alla scuola secondaria superiore solo se pertinenti con la vostra candidatura. • Se la vostra esperienza professionale è limitata, iniziate con la descrizione della vostra formazione, cercando di dare risalto alle attività di tirocinio o volontariato che avete svolto nel corso degli studi.

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2. Siate chiari e concisi • Utilizzate frasi brevi. Evitate di usare frasi stereotipate. Concentratevi sui principali elementi che caratterizzano la vostra formazione e la vostra esperienza professionale. • Fornite elementi di contesto dettagliati e specifici esempi delle attività svolte. Laddove possibile, quantificate i risultati. • Aggiornate costantemente il Cv, soprattutto se la vostra esperienza professionale va maturando e non esitate ad adattare il Cv eliminando informazioni pregresse non rilevanti per la candidatura. 3. Adeguate il vostro Cv in funzione dell’impiego ricercato • Concentratevi sulle informazioni essenziali che rispondono ai requisiti dell’inserzione ed enfatizzate le competenze pertinenti al tipo di impiego per il quale vi candidate. • Non occorre menzionare una vecchia esperienza professionale che non è coerente con la richiesta del datore di lavoro o con il tipo di impiego per il quale vi candidate. • Fornite spiegazioni su eventuali interruzioni nel corso degli studi o nel corso della vostra carriera, cercando di sottolineare le competenze che potreste aver maturato durante di tale periodo. • Prima di spedire il Cv rileggetelo con cura, al fine di verificare ulteriormente che sia adeguato alla candidatura richiesta. • Non mentite nel vostro Cv; rischiate di screditarvi nel corso dell’eventuale colloquio. 4. Prestate attenzione alla redazione del vostro Cv • Descrivete le vostre competenze e abilità in modo logico e con chiarezza. • Descrivete per prime le informazioni più importanti. • Non modificate l’impaginazione e il font predefinito. 5. Controllate il vostro Cv una volta compilato • Rimuovete gli eventuali errori di ortografia e assicuratevi che la sua struttura grafica sia logica e ben definita. • Fate rileggere il Cv da una terza persona una volta compilato, per assicurarvi che il suo contenuto sia chiaro e facilmente comprensibile. • Non dimenticate di allegare una lettera di presentazione.

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Passaporto Europeo delle Lingue Europass Il Passaporto delle Lingue Europass permette di descrivere in modo articolato le proprie competenze linguistiche. Messo a punto dal Consiglio d’Europa, costituisce una delle tre parti del Portfolio europeo delle Lingue7, che consente di documentare e illustrare in dettaglio le esperienze e competenze. Il Passaporto delle Lingue fa l’inventario di tutte le competenze linguistiche, evidenziandone il livello più o meno elevato. Esso include le competenze parziali che si posseggono in una lingua (ad esempio, se siete capaci di leggere facilmente in una lingua senza però parlarla con scioltezza). Il Passaporto tiene conto delle competenze acquisite in modo formale o informale (ossia al di fuori del percorso educativo). Per ciascuna lingua conosciuta vanno autovalutati i livelli di competenza, facendo riferimento al Quadro europeo comune di riferimento per le lingue (tab. 1), che esprimono le competenze linguistiche in maniera chiara e paragonabile a livello internazionale. Vanno inserite nell’apposito campo anche le certificazioni o i diplomi conseguiti per le varie lingue e le esperienze linguistiche più significative (in che contesto avete imparato quella lingua, in quale ambiente professionale l’avete utilizzata o la state tuttora utilizzando, etc.) Il passaporto è un complemento del Curriculum Vitae Europass, di cui può costituire un annesso. Per completare il Passaporto delle Lingue si può compilare il format online ricevendo poi il Passaporto via e-mail o scaricare il format, compilando poi le varie voci.

7 www.coe.int/portfolio/fr.

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Tabella 1 - Quadro europeo delle lingue A1 C Ascolto Riesco a riconoscere parole che O mi sono familiari ed espressioni M molto semplici riferite a me stesP so, alla mia famiglia e al mio amR biente, purché le persone parlino E lentamente e chiaramente. N S I O Lettura Riesco a capire i nomi e le persoN ne che mi sono familiari e frasi E molto semplici, per esempio quelle di annunci, cartelloni, cataloghi.

P A R L A T O

A2 Riesco a capire espressioni e parole di uso molto frequente relative a ciò che mi riguarda direttamente (per esempio informazioni di base sulla mia persona e sulla mia famiglia, gli acquisti, l’ambiente circostante e il lavoro). Riesco ad afferrare l’essenziale di messaggi e annunci brevi, semplici e chiari. Riesco a leggere testi molto brevi e semplici e a trovare informazioni specifiche e prevedibili in materiale di uso quotidiano, quali pubblicità, programmi, menù e orari. Riesco a capire lettere personali semplici e brevi.

Interazione Riesco a interagire in modo semplice se l’interlocutore è disposto a ripetere o a riformulare più lentamente certe cose e mi aiuta a formulare ciò che cerco di dire. Riesco a porre e a rispondere a domande semplici su argomenti molto familiari o che riguardano bisogni immediati.

Riesco a comunicare affrontando compiti semplici e di routine che richiedano solo uno scambio semplice e diretto di informazioni su argomenti e attività consuete. Riesco a partecipare a brevi conversazioni, anche se di solito non capisco abbastanza per riuscire a sostenere la conversazione.

Produzione Riesco a usare espressioni e frasi semplici per descrivere il orale luogo dove abito e la gente che conosco.

Riesco ad usare una serie di espressioni e frasi per descrivere con parole semplici la mia famiglia ed altre persone, le mie condizioni di vita, la carriera scolastica e il mio lavoro attuale o il più recente.

Riesco a prendere semplici appunti Produ- Produzione Riesco a scrivere una breve e semplice cartolina, ad esempio e a scrivere brevi messaggi su zione scritta per mandare i saluti delle vacan- argomenti riguardanti bisogni scritta ze. Riesco a compilare moduli con dati personali scrivendo per esempio il mio nome, la nazionalità e l’indirizzo sulla scheda di registrazione di un albergo.

immediati. Riesco a scrivere una lettera personale molto semplice, per esempio per ringraziare qualcuno.

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B1 C O M P R E N S I O N E

B2

Ascolto

Riesco a capire gli elementi principali in un discorso chiaro in lingua standard su argomenti familiari, che affronto frequentemente al lavoro, a scuola, nel tempo libero ecc. Riesco a capire l’essenziale di molte trasmissioni radiofoniche e televisive su argomenti di attualità o temi di mio interesse personale o professionale, purché il discorso sia relativamente lento e chiaro.

Riesco a capire discorsi di una certa lunghezza e conferenze e a seguire argomentazioni anche complesse purché il tema mi sia relativamente familiare. Riesco a capire la maggior parte dei notiziari e delle trasmissioni TV che riguardano fatti d’attualità e la maggior parte dei film in lingua standard.

Lettura

Riesco a capire testi scritti di uso corrente legati alla sfera quotidiana o al lavoro. Riesco a capire la descrizione di avvenimenti, di sentimenti e di desideri contenuta in lettere personali.

Riesco a leggere articoli e relazioni su questioni d’attualità in cui l’autore prende posizione ed esprime un punto di vista determinato. Riesco a comprendere un testo narrativo contemporaneo.

Interazione Riesco ad affrontare molte delle situazioni che si possono presentare viaggiando in una zona dove si parla la lingua. Riesco a partecipare, senza essermi preparato, a conversazioni su argomenti familiari, di interesse personale o riguardanti la vita quotidiana ( per esempio la famiglia, gli hobby, il lavoro, i viaggi e i fatti di attualità).

Riesco a comunicare con un grado di spontaneità e scioltezza sufficiente per interagire in modo normale con parlanti nativi. Riesco a partecipare attivamente a una discussione in contesti familiari, esponendo e sostenendo le mie opinioni.

Produzione Riesco a descrivere, collegando semplici espressioni, esperienze e avveorale nimenti, i miei sogni, le mie speranze e le mie ambizioni. Riesco a motivare e spiegare brevemente opinioni e progetti. Riesco a narrare una storia e la trama di un libro o di un film e a descrivere le mie impressioni.

Riesco a esprimermi in modo chiaro e articolato su una vasta gamma di argomenti che mi interessano. Riesco a esprimere un’opinione su un argomento d’attualità, indicando vantaggi e svantaggi delle diverse opzioni.

Produ- Produzione Riesco a scrivere testi semplici e coezione renti su argomenti a me noti o di mio scritta scritta interesse. Riesco a scrivere lettere

Riesco a scrivere testi chiari e articolati su un’ampia gamma di argomenti che mi interessano. Riesco a scrivere saggi e relazioni, fornendo informazioni e ragioni a favore o contro una determinata opinione. Riesco a scrivere lettere mettendo in evidenza il significato che attribuisco personalmente agli avvenimenti e alle esperienze.

P A R L A T O

personali esponendo esperienze e impressioni.

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C1 C O M P R E N S I O N E P A R L A T O

C2

Ascolto

Riesco a capire un discorso lungo anche se non è chiaramente strutturato e le relazioni non vengono segnalate, ma rimangono implicite. Riesco a capire senza troppo sforzo le trasmissioni televisive e i film.

Non ho nessuna difficoltà a capire qualsiasi lingua parlata, sia dal vivo sia trasmessa, anche se il discorso è tenuto in modo veloce da un madrelingua, purché abbia il tempo di abituarmi all’accento.

Lettura

Riesco a capire testi letterari e informativi lunghi e complessi e so apprezzare le differenze di stile. Riesco a capire articoli specialistici e istruzioni tecniche piuttosto lunghe, anche quando non appartengono al mio settore.

Riesco a capire con facilità praticamente tutte le forme di lingua scritta inclusi i testi teorici, strutturalmente o linguisticamente complessi, quali manuali, articoli specialistici e opere letterarie.

Interazione Riesco a esprimermi in modo sciolto e spontaneo senza dover cercare troppo le parole. Riesco a usare la lingua in modo flessibile ed efficace nelle relazioni sociali e professionali. Riesco a formulare idee e opinioni in modo preciso e a collegare abilmente i miei interventi con quelli di altri interlocutori.

Riesco a partecipare senza sforzi a qualsiasi conversazione e discussione ed ho familiarità con le espressioni idiomatiche e colloquiali. Riesco a esprimermi con scioltezza e a rendere con precisione sottili sfumature di significato. In caso di difficoltà, riesco a ritornare sul discorso e a riformularlo in modo così scorrevole che difficilmente qualcuno se ne accorge.

Produzione Riesco a presentare descrizioni chiare e articolate su argomenti orale complessi, integrandovi temi secondari, sviluppando punti specifici e concludendo il tutto in modo appropriato.

Riesco a presentare descrizioni o argomentazioni chiare e scorrevoli, in uno stile adeguato al contesto e con una struttura logica efficace, che possa aiutare il destinatario a identificare i punti salienti da rammentare.

Riesco a scrivere testi chiari, scorProdu- Produzione Riesco a scrivere testi chiari e ben strutturati sviluppando ana- revoli e stilisticamente appropriati. zione scritta liticamente il mio punto di vista. Riesco a scrivere lettere, relazioni scritta Riesco a scrivere lettere, saggi e relazioni esponendo argomenti complessi, evidenziando i punti che ritengo salienti. Riesco a scegliere lo stile adatto ai lettori ai quali intendo rivolgermi.

e articoli complessi, supportando il contenuto con una struttura logica efficace che aiuti il destinatario a identificare i punti salienti da rammentare. Riesco a scrivere riassunti e recensioni di opere letterarie e di testi specialisti.

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Europass Mobilità Si tratta di un documento per registrare le conoscenze e le competenze acquisite in un altro paese europeo durante: t un lavoro in un’azienda; t un periodo di studio nell’ambito di un programma di scambio; t un lavoro volontario in una Ong. Tale strumento è utile a chiunque decida di spostarsi in un paese europeo per motivi di studio o per fare un’esperienza lavorativa, indipendentemente dall’età o dal livello d’istruzione. Il documento è compilato dagli enti partner coinvolti nel progetto di mobilità, ovvero l’ente del paese di origine e quello del paese ospitante. Supplemento al Certificato È un documento che descrive le conoscenze e le competenze acquisite dai possessori dei certificati d›istruzione e formazione professionale. Questo documento completa le informazioni già comprese nel certificato ufficiale, agevolandone la comprensione specie da parte di datori di lavoro o enti stranieri. Il Supplemento al Certificato non sostituisce il certificato originale a cui viene allegato. La maggior parte dei paesi ha istituito degli Inventari nazionali dei Supplementi al Certificato8. Supplemento al Diploma (Diploma Supplement) Il Ds è un documento integrativo del titolo ufficiale conseguito al termine di un corso di studi in un’università o in un istituto di istruzione superiore. Il Ds fornisce una descrizione della natura, del livello, del contesto, del contenuto e dello status degli studi effettuati e completati dallo studente secondo uno schema standard in 8 punti. Viene rilasciato dall’università che ha rilasciato il titolo di studio di cui il Ds è un allegato9.

8 https://europass.cedefop.europa.eu/it/documents/european-skills-passport/certificate-supplement/national-inventories. 9 http://www.bolognaprocess.it/content/index.php?action=read_cnt&id_cnt=6124.

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2. Opportunità online Internet è la prima fonte di informazione per chi cerca lavoro. Le risorse a disposizione sono numerose, tuttavia non è sempre facile orientarsi fra portali, siti e sportelli online. Di seguito sono stati selezionati una serie di strumenti online, a partire da quelli europei per arrivare ai siti nazionali di attuazione delle politiche del lavoro per i giovani, che costituiscono un punto di partenza per “navigare” alla ricerca di opportunità di lavoro in Europa e in Italia. Il portale Eures Il servizio europeo per l’occupazione chiamato Eures ha l’obiettivo di favorire la libera circolazione dei lavoratori nei paesi dello Spazio Economico Europeo. Fra i partner di tale rete vi sono: i servizi pubblici per l’impiego, i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro. Il partenariato è coordinato dalla Commissione Europea. I principali compiti di Eures sono: t informare e consigliare i lavoratori potenzialmente mobili sulle opportunità di lavoro e sulle condizioni di vita e di lavoro nello Spazio Economico Europeo; t assistere i datori di lavoro nelle fasi di recruitment di lavoratori di altri paesi; t offrire consulenza e orientamento ai lavoratori e ai datori di lavoro nelle regioni transfrontaliere. La rete Eures ha lo scopo di fornire servizi ai lavoratori e ai datori di lavoro nonché a tutti i cittadini che desiderano avvalersi del principio della libera circolazione delle persone. I servizi prestati sono di tre tipi: t informazione, t consulenza t assunzione/collocamento (incontro domanda/offerta). Eures dispone di un rete di più di 850 consulenti che ogni giorno sono in contatto con persone alla ricerca di un impiego e datori di lavori in tutta Europa. Eures svolge un ruolo particolarmente importante nelle regioni europee transfrontaliere, in quanto risponde alle esigenze di informazione e aiuta a risolvere tutti i problemi legati al pendolarismo transfrontaliero che possono toccare lavoratori e datori di lavoro.

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Istituita nel 1993, Eures è una rete di cooperazione che collega la Commissione Europea e i servizi pubblici per l’impiego dei paesi appartenenti allo Spazio Economico Europeo (i paesi dell’Ue più la Norvegia, Islanda e Lichtenstein), la Svizzera e altre organizzazioni partner. Dal portale Eures10, chi sta cercando lavoro in Europa può: t iscriversi gratuitamente su My Eures, creare il proprio Cv e renderlo disponibile ai datori di lavoro registrati e ai consulenti Eures, aiutando i datori di lavoro a trovare candidati idonei; t creare il passaporto delle competenze; t selezionando “Cercare un lavoro” è possibile avere accesso a offerte d’impiego aggiornate in tempo reale in 31 paesi europei; t contattare un consulente Eures (specialisti che offrono i tre servizi fondamentali di Eures, informazione, assistenza e collocamento, a chi cerca lavoro e ai datori di lavoro interessati al mercato professionale europeo). Una sezione specifica del sito è dedicata a Vita e lavoro, con due fonti di informazione: t la banca dati “Condizioni di vita e di lavoro” che contiene informazioni su una serie di questioni importanti come la ricerca di un alloggio o di una scuola, le imposte, il costo della vita, la sanità, la legislazione sociale, la comparabilità delle qualifiche, etc. t la sezione “Informazioni sul mercato del lavoro”, che contiene dati per paese, regione e settore d’attività sull’andamento del mercato del lavoro europeo. Un’altra sezione del sito è dedicata alle Ricerca di possibilità di studio: le informazioni provengono dal portale Ploteus (Portal on Learning Opportunities Throughout Europe)11, creato dalla Direzione Generale Istruzione e Cultura della Commissione Europea. La selezione e l’aggiornamento sono effettuati dalla rete Euroguidance. L’integrazione della sezione “Opportunità di apprendimento” di Ploteus nel portale Eures risponde alle conclusioni dei Consigli Europei di Lisbona e di Stoccolma (marzo 2000 e marzo 2001), che hanno invitato la Commissione e gli Stati membri a creare un servizio europeo d’informazione sulle possibilità 10 http://ec.europa.eu/Eures/. 11 http://ec.europa.eu/Ploteus/.

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di lavoro e di studio. L’obiettivo di Ploteus, come per Eures, consiste nel facilitare l’esercizio del diritto di libera circolazione per i cittadini europei fornendo loro le informazioni necessarie. Oltre alle opportunità di studio, disponibili in Eures, il sito Internet Ploteus contiene informazioni sui sistemi nazionali di istruzione e formazione, sui programmi di scambio europei e sui contatti per ulteriori informazioni. Youth, il portale europeo dei giovani Il portale Youth12 offre informazioni e opportunità, a livello nazionale ed europeo, che possono interessare i giovani che vivono, studiano o lavorano in Europa. Le informazioni, disponibili in 27 lingue, sono raggruppate in 8 temi principali e riguardano 33 paesi. Le otto sezioni sono: 1. volontariato; 2. lavoro; 3. apprendimento; 4. partecipare; 5. cultura e creatività; 6. salute; 7. inclusione sociale; 8. pensare globale e viaggiare. Nello specifico, per chi sta cercando lavoro il portale offre: t informazioni su opportunità di lavoro, stage, tirocinio (soprattutto nelle istituzioni Ue) e lavori stagionali; t informazioni su imprenditorialità e startup; t informazioni su borse di studio e opportunità di apprendimento. Il portale Eurodesk Il progetto denominato Eurodesk13 nasce in Scozia nel 1990. L’idea di base è quella di favorire l’accesso dei giovani alle opportunità di mobilità (studio, lavoro, formazione, volontariato, conoscenze, esperienze) offerte loro dai programmi comunitari (Erasmus+ su tutti). A livello europeo, la rete è coordinata da un centro risorse e documentazione sito a Bruxelles (Ufficio Europeo Euro12 http://europa.eu/youth/index_it. 13 Portale europeo http://www.eurodesk.eu/edesk/; sito italiano http://www.eurodesk.it/chi-siamo.

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desk), che mantiene contatti diretti con la Direzione Generale Istruzione e Cultura della Commissione Europea e con il quale si interfacciano le 33 strutture nazionali di coordinamento (Punti Nazionali). A livello nazionale, la struttura di funzionamento europeo viene replicata: il Punto Nazionale, che opera in diretta collaborazione con l’Agenzia Nazionale per i Giovani nell’ambito del programma comunitario Erasmus+, coordina le strutture territoriali (Agenzie Locali)14 che offrono informazione, promozione e orientamento a livello locale. L’Italia ha avviato la sperimentazione, implementata direttamente da alcune Agenzie Locali, di una sub-rete territoriale di enti/strutture/centri (Antenne Territoriali Eurodesk15) che, ancora più capillarmente, offrono informazione e orientamento sui programmi comunitari per i giovani. L’Italia è il primo Paese per numero di Agenzie Locali/Antenne Territoriali (attualmente circa 100). Il sito Enic-Naric Ogni Paese europeo dispone di un centro nazionale d’informazione sul riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero. Chiunque sia interessato a veder riconosciuti all’estero i propri titoli può rivolgersi direttamente al centro d’informazione nel paese in cui intende trasferirsi per studio o lavoro. L’elenco dei centri d’informazione nei differenti paesi è consultabile sul sito Enic-Naric16. I centri nazionali d’informazione sono collegati in due reti europee: - la rete Naric promossa dall’Unione Europea; - la rete Enic promossa dal Consiglio d’Europa e dall’Unesco-Regione Europa. La rete Naric La rete Naric (National Academic Recognition Information Centres) è nata nel 1984 per iniziativa della Commissione Europea in attuazione di una decisione del Consiglio Europeo dei ministri dell’Istruzione. Collega tra loro i centri d’informazione, designati dalle autorità nazionali, dei paesi membri dell’Unione Europea.

14 http://www.eurodesk.it/profilo-della-rete-italiana-eurodesk. 15 http://www.eurodesk.it/profilo-delle-antenne-eurodesk. 16 http://www.Enic-Naric.net.

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La rete Enic La rete Enic (European Network of national Information Centres on academic recognition and mobility) collega tra loro i centri nazionali d’informazione, designati dalle autorità nazionali, dei paesi membri della Convenzione Culturale Europea del Consiglio d’Europa e della Regione Europa dell’Unesco. La rete promuove il riconoscimento dei titoli esteri, la mobilità accademica internazionale e l’applicazione della Convenzione di Lisbona sul riconoscimento dei titoli accademici. Euroguidance Euroguidance17 è la rete dei Centri Nazionali delle risorse per l’orientamento professionale. Tali Centri hanno il compito di: t fornire informazioni sulle opportunità d’istruzione e formazione in Europa; si rivolge in modo particolare agli operatori dell’orientamento che hanno il compito di supportare gli utenti; t supportare lo scambio di informazioni sulla qualità dei sistemi d’istruzione e formazione e delle qualifiche nell’Unione Europea, nello Spazio Economico Europeo e nei paesi dell’Europa centrorientale; t supportare il portale Ploteus. Dal portale è possibile accedere a informazioni su come è organizzato l’orientamento professionale e a chi rivolgersi nei vari Paesi europei, oltre a informazioni su mobilità, iniziative e programmi di istruzione e formazione. Sezioni specifiche sono dedicate alla formazione e all’aggiornamento degli orientatori. Come funziona e cosa offre il portale Cliclavoro Cliclavoro, il portale del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali “per chi offre e cerca lavoro”18, è il punto di incontro per coloro che stanno cercando un’occupazione (giovani, over 50, donne, italiani che vogliono lavorare all’estero o stranieri che cercano lavoro in Italia), per le aziende e per gli operatori (centri per l’impiego e agenzie per il lavoro). Oltre a informazioni di carattere normativo e su bandi e concorsi pubblici, il sito offre tre motori di ricerca: 17 http://www.euroguidance.net. 18 http://www.cliclavoro.gov.it/.

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t cercalavoro, una ricerca fra le offerte di lavoro indirizzata a chi il lavoro lo sta cercando;

t cercacurriculum, una ricerca fra i Cv registrati nel sito per le aziende che

stanno cercando collaboratori; t cercasportello, il motore di ricerca dei centri per l’orientamento al lavoro sul territorio nazionale. Per accedere ai servizi del portale è sufficiente una registrazione online. Dal portale Cliclavoro è possibile accedere a una prima informazione sul Programma Garanzia Giovani, dedicato ai cittadini comunitari o stranieri extra-Ue tra i 15 e i 29 anni, regolarmente soggiornanti, finalizzato ad agevolarne l’inserimento nel mondo occupazionale attraverso politiche attive del lavoro. Nel dettaglio le misure previste da Garanzia Giovani sono: t accoglienza, informazione, adesione al programma; t orientamento; t formazione mirata all’inserimento; t accompagnamento al lavoro; t apprendistato; t tirocinio extracurricolare; t servizio civile; t sostegno all’autoimprenditorialità; t mobilità professionale all’interno del territorio nazionale o in Ue; t bonus occupazionale per le imprese; t formazione a distanza. Le Regioni attuano concretamente le azioni di politica attiva verso i giovani destinatari del Programma, rendendo disponibili le varie misure previste. Hanno una funzione di coordinamento dell’organizzazione della “rete” dei Servizi pubblici per l’impiego e privati accreditati, che avranno il compito di svolgere una funzione di accoglienza, orientamento e individuazione delle necessità e potenzialità dei giovani per individuare il percorso più in linea con le attitudini e le esperienze professionali. Alcune Regioni hanno già avviato le procedure di accreditamento per i soggetti privati che potranno erogare i servizi per il lavoro in ambito regionale19.

19 Cfr. il cap. 1 del presente volume, nella parte relativa all’Unione Europea.

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Gioventu.org20 Si tratta del canale di comunicazione nazionale per i giovani finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e realizzato dall’Agenzia Nazionale per i Giovani. Quest’ultima, in attuazione della convenzione stipulata con il Dipartimento della Gioventù e Servizio Civile Nazionale, ha messo in pratica le raccomandazioni europee per rinnovare l’informazione giovanile, ponendosi l’obiettivo di realizzare un sistema informativo per la promozione delle opportunità in favore dei giovani. Sulla base di queste premesse nasce Gioventu.org, un aggregatore di contenuti a valenza europea e nazionale, progettato per diffondere quotidianamente informazioni, opportunità e occasioni per la crescita socio culturale delle nuove generazioni. I contenuti pubblicati, consultabili anche attraverso canali dedicati come i principali social network (Facebook, Twitter, Youtube, Google+ e Flickr), sono riconducibili a tre tipologie differenti di informazione: t Notizie - news in tempo reale; t Focus On - approfondimenti tematici; t Guide - strumenti e percorsi. Le informazioni sono organizzate secondo intuitivi percorsi tematici per soddisfare le principali esigenze informative del mondo giovanile (lavoro, formazione, esperienze all’estero, protagonismo generazionale, cultura e tendenze, sport e tempo libero, stili di vita e regioni) I Job Aggregators I Job Aggregators sono motori o per meglio dire metamotori di ricerca che, attingendo da diverse fonti e database, sono in grado di produrre moltissimi risultati consentendo un livello alto di personalizzazione della ricerca di offerte di lavoro21. SportelloStage22 SportelloStage è un servizio gratuito gestito da Actl - Associazione per la Cultura e il Tempo Libero per la promozione degli stage, apprendistato e for20 http://www.gioventu.org/. 21 Alcuni esempi di Job Aggregators sono: http://it.indeed.com, http://www.bancalavoro.it. Altre banche dati, a titolo esemplificativo: http://www.monster.it, http://lavoro.corriere.it. 22 http://www.sportellostage.it/.

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mazione. Actl è un’associazione senza fini di lucro, in possesso del riconoscimento giuridico a carattere nazionale. Dal 1986 si occupa di iniziative culturali, formative e di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. SportelloStage offre ai giovani vari servizi gratuiti: offerte di stage costantemente aggiornate consultabili online, sui social network o iscrivendosi alla newsletter settimanale, colloqui di preselezione finalizzati all’inserimento in stage; incontri di orientamento professionale rivolti a diplomati e laureati; incontri individuali di orientamento professionale (Sportello Stage Orienta). SportelloStage supporta le aziende nell’attività di preselezione dei candidati, attraverso il servizio di ricerca e preselezione delle candidature, favorendo l’incontro fra domanda e offerta di stage. Erasmus per il lavoro23 Il nuovo programma Erasmus+ continua a prevedere la mobilità degli studenti per traineeship (ex-Erasmus Placement) come parte dell’Attività chiave 1: mobilità per l’apprendimento. Il Programma Erasmus+ permette agli studenti delle università che hanno aderito al Programma, di accedere a tirocini presso imprese e centri di formazione e ricerca di uno dei Paesi partecipanti al Programma, per lo svolgimento di attività di tirocinio a tempo pieno, riconosciute come parte integrante del programma di studi dello studente dall’università di appartenenza. La permanenza all’estero va da un minimo di 2 a un massimo di 12 mesi per ciclo di studi e lo studente deve essere iscritto all’università (corso di laurea, laurea magistrale o dottorato). Per partecipare al programma lo studente deve rivolgersi all’Ufficio Relazioni internazionali dell’ateneo di appartenenza e partecipare al bando annuale specifico che viene emesso dall’università. Prima della partenza, lo studente Erasmus + è provvisto di: t Learning Agreement per quanto riguarda il programma specifico per il tirocinio, approvato da studente, università e impresa; t Erasmus + Student Chart che definisce i diritti e gli obblighi dello studente rispetto al suo periodo di esperienza di formazione-lavoro all’estero.

23 http://ec.europa.eu/education /opportunities/higher-education /traineeships_en.htm.

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Alla fine del periodo all’estero:

t nel caso di un tirocinio che è parte integrante del curriculum, l’università

lo riconosce utilizzando i crediti Ects. Il riconoscimento si basa sul Learning Agreement approvato da tutte le parti prima dell’inizio del periodo di mobilità; t nel caso particolare di un tirocinio che non fa parte del curriculum dello studente, l’università lo registra nel supplemento al diploma o, nel caso di neolaureati, fornisce un certificato di tirocinio.

Ultimi volumi pubblicati 27 • Lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore. Verso il 2020 26 • Il finanziamento dell’istruzione superiore 25 • Lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore. Dieci anni del Processo di Bologna 24 • La governance delle università 23 • Fabbriche di titoli 22 • L’accreditamento dei corsi universitari 21 • I nuovi titoli accademici

Rivista trimestrale, fondata nel 1980, tratta temi di istruzione superiore e ricerca scientifica. È disponibile gratuitamente sul sito:

Altri contenuti del sito: Notizie sul mondo accademico Approfondimenti su temi universitari Recensioni Elenco dei Quaderni Archivio della rivista

I

l Quaderno, a cura di Benedetto Coccia, analizza la transizione studio-lavoro, compresi gli strumenti che favoriscono il passaggio dai libri alla professione, dal punto di vista sia teorico che pratico. Chi insegna a scrivere un curriculum? Chi offre un metodo efficace per cercare un’occupazione? Chi dà indicazioni su come affrontare un colloquio di lavoro? Spesso i giovani si avventurano nella ricerca del lavoro senza un criterio preciso. La formazione universitaria, molto teorica, da sola non basta. Mancano le competenze trasversali; oppure non è stato acquisito un metodo per selezionare le offerte di lavoro corrispondenti al livello di formazione raggiunto. Autori dei contributi sono Maria Cinque, Manuela Costone, Danilo Gentilozzi e Simona Miano, ricercatori della Fondazione Rui.

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Dallo studio al lavoro

Iniziative, strumenti e criticità nel placement dei laureati

UNIVERSITASQUADERNI

Il Quaderno è frutto della collaborazione tra la rivista “Universitas” e l’Istituto di Studi Politici “San Pio V”.

Dallo studio al lavoro

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